Scoprii che mia madre non si era mai sentita valorizzata come figlia e come donna. Capii che nemmeno io, di riflesso, vedevo il mio valore. Provai una profonda compassione per il suo dolore e recitammo Daimoku insieme
Ho incontrato il Buddismo nel 2002, grazie alla mia titolare: diceva che avevo un potenziale inespresso. Stavo sempre in un angolo e mi sentivo insoddisfatta nonostante avessi una bella famiglia, un lavoro che amavo, un mare di amicizie e un fidanzato del quale ero innamorata. Decisi di provare. Alla mia prima riunione di discussione spiegarono che la vita è come uno specchio che, appannato dalle sofferenze, può essere lucidato recitando ogni giorno Nam-myoho-renge-kyo. Cominciai a fare Daimoku fidandomi di queste parole e da quando ho ricevuto il Gohonzon ho deciso di incoraggiare le persone con la mia vita. Mi sfidai subito facendo attività byakuren, parlando di Buddismo agli altri e sperimentando la gioia di accompagnare le persone a ricevere il Gohonzon. Poco dopo il mio gruppo si divise e mi fu affidata la responsabilità del nuovo gruppo.
La mia vita si stava aprendo e i miei desideri con essa: sentii in modo chiaro che la mia relazione sentimentale, così com’era, non mi bastava più, che desideravo una famiglia. Nel frattempo fu diagnosticato un tumore al seno a mia madre. Pensavo che il dolore mi avrebbe schiacciata, invece la mia condizione vitale era alta e sentivo che la situazione era protetta dalla mia preghiera, diventata anche più profonda grazie all’attività byakuren. Durante i nostri lunghi dialoghi, nelle sale d’attesa scoprii che mia madre non si era mai sentita valorizzata come figlia e come donna. Capii che nemmeno io, di riflesso, vedevo il mio valore. Provai una profonda compassione per il suo dolore e recitammo Daimoku insieme. L’operazione andò bene e non necessitò di ulteriori cure.
In seguito, riemerse il desiderio di convivere col mio ragazzo, con la promessa a sensei che sarei diventata felice. Da quel momento gli ostacoli si susseguirono in maniera serrata, ma una frase di Gosho mi incoraggiava ogni volta ad andare fino in fondo: «Il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni, se ti fermi all’undicesimo come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (RSND, 1, 911). Andai a vivere col mio fidanzato, ma dopo solo un mese capii che non ero felice in quella situazione, così feci le valige e tornai a casa, scoprendo poi che mi tradiva da mesi. Per dieci anni ero vissuta nella sua ombra plasmandomi su di lui ma ora dovevo costruire la mia identità.
Mi fu proposta la responsabilità di capitolo e accettai con il desiderio che emergessero giovani donne. Ero decisa a volere una casa tutta mia, aperta a kosen-rufu, ma arrivò un nuovo amore con promesse di vita insieme. Gli anni passarono e il mio obiettivo si allontanò, finché un giorno decisi di riprendere da dove avevo interrotto e andai a vivere da sola. Le cose col mio fidanzato precipitarono, capimmo che non avevamo più lo stesso progetto e decidemmo di separare le nostre strade. Comprai casa e la resi disponibile per l’attività, le giovani donne del capitolo da cinque divennero venti e quando credevo di avere già dato il mio contributo alla Divisione giovani, assaporando l’idea del passaggio di Divisione, mi fu proposta la responsabilità di territorio. Decisi che nei due anni successivi avrei dato il doppio, nonostante il senso di inadeguatezza che mi accompagnava sempre.
Durante i preparativi del primo corso del territorio Emilia, fu diagnosticato un tumore ai polmoni a mio padre e la disperazione mi pervase. Feci il grande sforzo di trasformare la paura e decisi che sarei stata il pilastro della mia famiglia. Mi buttai nei preparativi del corso, sperimentando un Daimoku che non lasciava spazio al dubbio. I tempi tra accertamenti e intervento furono brevi: il chirurgo disse che il tumore era più piccolo del previsto e dopo una settimana mio padre fu dimesso. Questa esperienza mi diede il coraggio di prendere delle decisioni: interruppi l’ennesima relazione sentimentale che mi rendeva infelice, così come un secondo lavoro di truccatrice in cui da troppo tempo lavoravo gratuitamente, capendo che quello che facevo aveva valore. Oggi io e la mia titolare stiamo realizzando il nostro sogno di lavorare in spazi più adatti alle nostre esigenze riqualificando la nostra professionalità e, di pari passo, sto realizzando il mio “obiettivo impossibile”: ho incontrato Marco con cui sto costruendo una relazione fatta di progetti comuni. Le giovani donne sono state la scintilla per cui lottare e le occasioni di attività nella Divisione giovani mi hanno permesso di sviluppare un forte io.