Il presidente Ikeda, incoraggiato in gioventù dal suo maestro ad approfondire la vita attraverso i libri, sostiene la preziosità di confrontarsi con storie e realtà differenti. Toda riteneva infatti che la lettura fosse fondamentale per aprire la mente e creare un’epoca di speranza
Ho udito ciò che i parlatori dicevano, il discorso del principio e della fine,
ma io non parlo del principio e della fine.
Non ci fu mai più inizio di quanto ce n’è ora,
né più gioventù o vecchiaia di quanta ce n’è ora,
né più cielo o più inferno di quanto ce n’è ora.
Urgere, urgere, urgere
sempre l’urgere procreante del mondo.
Dalla confusa oscurità gli opposti eguali avanzano,
sempre sostanza e accrescimento, e sesso,
e intrecciarsi di identità, e sempre distinzione, sempre
riproduzione. […]
Lascio me stesso alla terra per nascere dall’erba che amo,
se ancora mi vuoi cercami sotto la suola delle scarpe.
Difficilmente saprai chi io sia o che cosa significhi,
e tuttavia sarò per te salutare,
e filtrerò e darò forza al tuo sangue.
Se non mi trovi subito non scoraggiarti,
se non mi trovi in un posto cerca in un altro,
da qualche parte starò fermo ad aspettare te.
Questi meravigliosi versi sono tratti dalla raccolta Foglie d’erba di Walt Whitman; Daisaku Ikeda spesso raccomanda la lettura di questo autore, e lo descrive come un uomo le cui parole fanno sgorgare ottimismo e vitalità nel cuore di chi legge. Questo poema in particolare, il Canto di me stesso, fu composto nell’America del 1855; la prima volta che mi capitò sotto gli occhi non potei fare a meno di sacrificare la pagina facendole una bella orecchia, in alto a destra, promettendo a me stessa che avrei approfondito la questione. Sono passati tre anni e questo libro l’ho riaperto per caso, oggi. Lo comprai il primo anno di università, pensando alle tante volte in cui avevo letto l’incoraggiamento di sensei a fare la conoscenza di questo illustre personaggio del Rinascimento americano. Leggendo quei versi, li trovai, allora come oggi, pervasi da uno spirito umanitario, illuminato, traboccanti di forza vitale, come un grido che trova eco nel mio cuore e da lì riparte, per essere ascoltato ancora una volta. Quelle parole colme di coraggio avevano il potere di risuonare nel profondo del mio essere e riuscivano a farmi muovere, ripartire, credere ancora.
Ikeda racconta: «Una volta finita la guerra, nessuno di noi sapeva che cosa fare; non c’era più niente di sicuro a cui aggrapparsi. […] Ogni sera mi veniva la febbre, ogni giorno affrontavo mille difficoltà; ero esausto nel corpo e nello spirito. L’unica cosa in cui trovavo ristoro erano i libri, ma in quei giorni perfino i libri erano difficili da trovare. […] Quando comprai Foglie d’erba, quella raccolta di poesie divenne per me un vero e proprio tesoro. Vi lessi il Canto della strada aperta e memorizzai i versi che sentivo risuonare dentro di me. Ogni volta che li recitavo, sentivo vivere nel mio cuore lo spirito del grande poeta. In questo modo venivo incoraggiato e innalzavo il mio stato vitale» (NR, 504,7).
Sapere che sensei, negli anni d’oro della sua giovinezza, aveva fatto scorrere le dita su quegli stessi versi e il suo cuore aveva pulsato a ritmo delle stesse virgole, saggiamente posate da Whitman qua e là, mi emoziona.
Mi emoziona profondamente.
Non solo macchie sul foglio
Josei Toda afferma: «Se le più giovani generazioni di questo paese sviluppano l’abitudine a leggere e a riflettere, la prossima epoca sarà incredibilmente piena di speranza» (NR, 485, 9). Quando lessi queste parole rimasi molto colpita: per me la letteratura è vita, da quando ne ho memoria. Non saprei definirla in modo diverso, ma questa citazione di Toda ha aperto uno squarcio dentro di me. Il maestro Toda aveva fiducia, era convinto che, se i discepoli si fossero impegnati nelle vie della riflessione e della lettura, ciò avrebbe portato un grande beneficio alla società. «Un’epoca incredibilmente piena di speranza» potrebbe dunque diventare realtà anche attraverso la lettura?
Dal canto mio ho sempre amato leggere, fin da quando imparai a capire il significato di quelle macchie sul foglio. Spesso preferivo leggere che parlare, ascoltare quello che i personaggi avevano da dire, e le storie, le avventure, gli amori, i luoghi, i voli, i tuffi e le vite. Anche mentre preparavo l’esame di maturità, di notte, dedicavo quella mezz’ora a me stessa, al mio spirito; sentivo e sento costantemente il bisogno di annaffiare quella parte profonda di me, di Gioia, situata più o meno sotto allo stomaco, e che scalpita: vuole sapere, viaggiare, emozionarsi, accogliere il mondo in una piccola testa e crescere insieme. Ma forse Toda intendeva qualcosa di più del mero piacere individuale della lettura, perché altrove dice: «Si tratta di una cosa utile, perché il lettore trasferisce nella propria esperienza ciò che legge. Così, leggendo molte opere, il nostro bagaglio di esperienze può crescere senza limiti. Voi che siete giovani dovreste leggere il più possibile, cercando di avvicinare autori stranieri di ogni epoca. Sarete in grado di acquisire conoscenze che prima o poi vi torneranno utili. Ma ricordate quello che vi ho detto poco fa: non leggete i romanzi superficialmente; cercate invece di coglierne tutte le sfumature di significato, altrimenti non riuscirete ad apprezzarne il valore intrinseco» (NR, 321, 16).
Mi sono spesso chiesta da cosa derivi la straordinaria apertura mentale di Daisaku Ikeda, la sua grande libertà di espressione, la capacità di formulare un giudizio sui più disparati argomenti; credo sia dovuta al perfetto equilibrio tra la saggezza emersa dalla pratica buddista e la conoscenza derivata dalla gran quantità di libri letti in giovane età presso l’ “università Toda”.
In realtà la sfida ad allenarsi ad aprire la vita e la mente è qualcosa a cui non possiamo sottrarci, se abbiamo scelto di praticare questo Buddismo; d’altra parte, il beneficio che ne consegue, cioè “sentire” veramente la vita altrui, è qualcosa di indescrivibile e che non potremmo raggiungere in modo diverso da questo.
Quanti e quali viaggi ho compiuto con sensei! Leggendo il Diario giovanile ho sentito una meravigliosa giovinezza ben spesa, di cui nulla è andato sprecato. Sfogliando quelle pagine pensavo: «Così si diventa maestri di dialogo! Costruttori di pace! Adesso tocca a noi!». Immaginavo i viaggi in treno, il sapore dei cibi, i visi rischiarati dagli incoraggiamenti, l’odore dell’aria, i viali alberati, la fatica fisica di sensei, la sua malattia, mi sentivo accanto a lui e non potevo fare a meno di tifare per lui.
Aprirsi al nuovo
Mai dimenticherò il mio primo ingresso, all’età di dodici anni, in casa Bennet, dove, attirata dal profumo del tè, ho spiato da dietro le tende di pesante velluto rosso le sale da ballo e i vestiti, e i gentiluomini eleganti dell’Inghilterra ottocentesca contendersi la più bella; ho accompagnato Elizabeth alla ricerca di se stessa e dell’amore oltre l’orgoglio e il pregiudizio. A quindici invece, mi sono accucciata, silenziosamente, nel campo di frumento dorato, ascoltando il fruscio del vento che muoveva dolcemente le spighe, ascoltando, da lontano, la volpe e il Piccolo Principe tendersi la mano per la prima volta, e mi commossi con loro. Non mi feci sfuggire l’occasione di andare a caccia di balene, desiderai, facendomi guidare dal guascone di cavalcare la luna; scalai le montagne cilene, respirai l’aria umida nella foresta amazzonica e mi sentii in pace con l’universo immersa in quel silenzio. Quando poi partecipai alla Resistenza italiana fra i monti e nelle città, sentii suonare la campana, e mi chiesi per chi; calpestai migliaia di bianchi petali mentre passeggiando nel quieto e disperato giardino dei ciliegi, aspettavo che il suo amaro destino si compisse. Così tutte le vite che ho accolto mi ripagavano immensamente, il loro coraggio era il mio, la mia lotta era la loro.
Sono ricordi dolci e amari, poiché nulla potrà sostituire l’emozione di una prima lettura, come l’incontro con una persona, o con qualcosa di nuovo, perché rappresenta l’istante in cui la nostra vita si apre. Entra una novità e le facciamo posto, anche se ne abbiamo ancora un po’ paura. Nella mia esperienza ho spesso provato la difficoltà ad accogliere il nuovo, il diverso, il cambiamento sentendomi come sulla soglia di un bivio, perché in quel caso le scelte sono due: aprire o chiudere. Ecco, in quel momento sì, è necessario essere coraggiosi, perché indietreggiare di fronte al cambiamento significa restare a guardare e non partecipare; e io, sarà perché ormai ho imparato a vivere come se stessi anch’io scrivendo la mia storia, amo continuare a essere la protagonista, proprio come nei libri che ho letto. E i protagonisti si sa, sono loro a muovere la storia.
I miei viaggi in metropolitana
Questi sono solo alcuni dei viaggi che ho potuto compiere stando spesso in piedi, nella metropolitana affollata. Capita spesso, infatti, di non avere tempo, di pensare di essere troppo indaffarati per poter leggere, ma: «Amici miei! Riflettete sulle vostre vite ancora una volta! Non è che non avete tempo, è che non siete decisi nel vostro cuore. Voi siete limitati dal tempo. Potete facilmente ricavare una mezz’ora la mattina. Il treno è la migliore biblioteca per leggere un libro. A volte sprecate il vostro tempo pigramente. Nell’arco di una giornata, potete facilmente trovare una o due ore per leggere e almeno una mezz’ora per pensare. Il punto è se voi stessi cercate di creare questa tendenza, oppure no» (NR, 485, 9): sono parole di Toda che non lasciano spazio all’interpretazione.
Il presidente Ikeda scrive: «Cultura significa proprio “coltivare lo spirito”, […] La cultura è espressione dell’impulso interiore a coltivare la propria umanità, spesso prigioniera e spesso inespressa, fino a far sbocciare i fiori più belli» e ancora: «L’arte è il grido dell’anima, che parte dal punto più profondo dell’essere. […] L’arte è l’emozione di esprimere la vita profonda della persona esattamente così com’è» (Cultura, arte e natura, Esperia 2012, pag. 6).
Esprimere se stessi, dunque, così come si è, coltivare la propria umanità e il proprio spirito; queste parole mi rigenerarono e ancora adesso nel rileggerle mi sento libera; forse perché sento la vita profonda del mio maestro che mi spinge ad aprirmi al mondo, a mostrarmi e accogliere, conoscere, far entrare il mondo in me.
Qualcosa di simile mi disse un giorno Virginia Woolf, mentre aspettavo l’arrivo della professoressa in aula: «Tutto questo […] dovrai esplorare reggendo saldamente in mano la lampada accesa. Ma soprattutto dovrai illuminare la tua stessa anima, con le sue profondità e superficialità, e le vanità e le generosità, ed essere in grado di dire cosa significano per te la tua bellezza o la tua semplicità, e in che rapporto stai col mondo cangiante e mutevole» (V. Woolf, Una stanza tutta per sé, Einaudi, pag. 185).
Questa esplorazione è tuttora in atto, la mia lampada la tengo ben stretta, ogni volta che sento arrivare la notte so che sono io che ne regolo l’intensità e la potenza. Il punto cruciale è che tocca a noi, non ad altri, andare incontro, a passi piccoli ma decisi e costanti, verso il mondo, verso l’esterno, verso tutti coloro che sono altro da me, verso te che sei qui, davanti a questa pagina.
La letteratura come tutte le arti, costituisce un mezzo per scoprire “me stessa in relazione a…”, perché per scrivere il grande romanzo della nostra esistenza abbiamo bisogno di co-protagonisti, voci narranti e, non per ultimi, di antagonisti.
«Tutta la grande letteratura, antica e moderna, è un ponte che collega un essere umano a un altro, uno spirito a un altro. La qualità della nostra vita è determinata da quanti ponti riusciamo ad attraversare», scrive Ikeda (Cultura, arte e natura, pag. 64).
O, a volte, da quanti libri riusciamo ad aprire.