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Anelare a vedere il Budda - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:15

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Anelare a vedere il Budda

Anelare con forza a vedere la Buddità, in noi stessi e negli altri, è la chiave per vivere un’esistenza basata su un profondo rispetto. Questo, in sintesi, il messaggio di Suzanne Pritchard, responsabile europea della Divisione donne e giovani donne, che ha partecipato alla due giorni

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Anelare con forza a vedere la Buddità, in noi stessi e negli altri, è la chiave per vivere un’esistenza basata su un profondo rispetto. Questo, in sintesi, il messaggio di Suzanne Pritchard, responsabile europea della Divisione donne e giovani donne, che ha partecipato alla due giorni

Pratico il Buddismo da trentasette anni, sono sposata e non ho figli. Ho suonato il fagotto in un’orchestra fino al 2003 quando, a quarantasette anni, ho iniziato a lavorare nel campo dell’insegnamento della comunicazione; nel 2007 sono diventata dipendente della SGI del Regno Unito e attualmente ricopro il ruolo di direttore della rivista Art of Living.
Vorrei commentare la frase del Sutra del Loto che noi recitiamo due volte al giorno: isshin yokken butsu fuji shaku shinmyo, tradotto come «desiderano con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita» (SDL, 302). La prima volta che ho provato a recitare Daimoku con questo atteggiamento è stato quando io e il mio futuro marito, prima di sposarci, ricevemmo un consiglio nella fede dal primo direttore generale inglese Richard Causton. Per me questo fu il punto di partenza verso l’apertura al coraggio, alla speranza, alla vittoria e alla felicità nella mia vita.
In sintesi, il consiglio fu di impegnarci a rispettarci reciprocamente visto che l’amore è un’emozione meravigliosa, ma anche mutevole. Il Buddismo sottolinea l’importanza di coltivare il rispetto, che può essere paragonato alla corrente che scorre incessantemente nelle profondità dell’oceano, senza tenere conto di ciò che accade in superficie. Così, iniziai a recitare Daimoku per rispettare profondamente la vita del mio compagno. La prima cosa che notai fu che molto spesso nella società ciò che passa per rispetto è in realtà radicato nel mondo di Animalità: noi “rispettiamo” le persone che detengono il potere o uno status sociale. Nel Buddismo, invece, il rispetto è riconoscere e far tesoro dell’umanità della persona e del suo potenziale di Buddità. E così mi sono accorta che non sapevo bene neanche cosa volesse dire rispettare davvero la mia vita, e quella del mio partner. Recitando Daimoku per mettere in pratica quel consiglio, mi sono resa conto di tre cose.
Il primo significato di “desiderare con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita” è che di fronte al Gohonzon noi aneliamo a risvegliare la nostra Buddità per vivere in modo tale da essere di ispirazione per gli altri. Il Gohonzon è l’oggetto di devozione per osservare la mente del Budda e andiamo lì davanti per pregare con tutto il nostro essere, per tirare fuori la passione, il potere, la creatività, cambiare le circostanze e offrire una prova concreta. «Quando veneriamo il Myoho-renge-kyo – scrive il Daishonin – che è nella nostra vita come oggetto di culto, la natura di Budda che è in noi viene richiamata dalla nostra recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e si manifesta. Questo si intende per Budda» (RSND, 1, 789).
Nonostante la teoria, però, invece che osservare la nostra natura di Budda spesso ci troviamo a osservare le zone della nostra vita che non ci soddisfano, qualche volta anche nei minimi dettagli. Ma il Gohonzon non è l’oggetto di devozione per osservare la mente del fallimento; non è l’oggetto di devozione per osservare la mente della debolezza; non è l’oggetto di devozione per osservare il terribile karma economico; non è l’oggetto di devozione per osservare la sfilza di relazioni andate male e un altro fallimento che incombe all’orizzonte.
La mia esperienza è che, quando non riconosco la mia natura di Budda, il centro della mia vita viene occupato da tutte le cose per cui sono infelice, e quando non sono capace di vedere la Buddità dentro di me diventa più difficile vederla negli altri. Poiché siete responsabili, dedicate il vostro tempo prezioso a lavorare per la felicità dei membri, e per questo è vitale che davanti al Gohonzon voi “ricarichiate” le batterie. Altrimenti è facile sentirsi sovraccaricati, inizierete a lesinare la vostra vita e a provare rancore.
Ho notato che il tranello in cui cado è quello di dire a me stessa: «Questo è troppo, non lo posso fare». In altre parole sto dicendo a me stessa: «Non sono un Budda». Questa è una specie di arroganza inversa: Shakyamuni dice che sono un Budda, Nichiren Daishonin dice che sono un Budda, Ikeda dice che sono un Budda, ma noi pensiamo di sapere bene di non essere assolutamente un Budda. È proprio quando perdo di vista la natura di Budda insita in me e inizio a “lesinare la mia vita”. In altri termini mi sento sotto pressione e provo rancore!
L’unico modo per superare questo sentimento è cogliere l’opportunità per pregare davanti al Gohonzon “con tutto il cuore per vedere il Budda”, così da raggiungere una comprensione ancora più profonda. Sono arrivata a capire che questo tipo di preghiera scaturisce dallo stesso impulso a parlare del Buddismo con gli altri, ma in questo caso lo spirito di shakubuku è diretto verso se stessi.
Il secondo significato di “desiderare con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita” è anelare a vedere la natura di Budda negli altri e aiutarli a risvegliarsi alla loro Buddità. Questo vale sia con una persona che magari abbiamo appena accompagnato a una riunione buddista, sia con i nostri compagni di fede: si tratta di permettere loro di comprendere più profondamente la grandezza della loro vita.
Anelare a vedere il Budda in me e anelare a vederlo negli altri, non sono due cose separate: più io decido di stabilire questa dinamica di profondo rispetto nella mia vita e più riesco ad abbracciare la vita di chi mi sta intorno. E più cerco di risvegliare negli altri la consapevolezza della loro natura di Budda, più forte diventa la tendenza alla Buddità nella mia vita.
Parlando del voto del Budda e di condividere lo stesso voto del maestro, possiamo notare due aspetti: la determinazione a vivere una vita tale da poter ispirare gli altri; il desiderio di risvegliare gli altri alla loro grandezza per espandere una rete di pace nella società.
Questo è il modo di vivere dei Budda. Questo è il modo in cui hanno vissuto i primi tre presidenti. E questo ci porta al terzo significato di “desiderare con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della vita”: anelare a ricercare sempre il cuore del maestro e farlo proprio nel modo più coerente a se stesse.
Una volta ho sentito dire dal presidente Harada che la sua sfida era quella di mantenere sempre il suo maestro al primo posto nella mente. Come già saprete, all’inizio dell’anno il presidente della Soka Gakkai giapponese Minoru Harada ci ha trasmesso ciò che gli aveva detto sensei: «Questi prossimi due anni saranno i più cruciali per la Soka Gakkai e la SGI. Se noi riusciremo a superare le prossime lotte, riusciremo a sviluppare ulteriormente kosen-rufu. Io farò del mio meglio. Non è semplice da capire, c’è un profondo significato in ciò che sto dicendo» (cfr. NR, 484, 11).
Per me questi due anni rappresentano l’opportunità di allenare me stessa nel mantenere al primo posto dei miei pensieri il mio maestro. Sto recitando Daimoku con un’unica mente per vedere il cuore del mio maestro in ogni attimo della mia vita perché so che questo mi permette di manifestare la massima felicità. C’è un brano del presidente Ikeda dedicato alle donne che amo in modo particolare: «La vera forza motrice per cambiare i tempi sono le preghiere delle donne e la loro attività che è ben radicata nella vita quotidiana. La forza delle donne può essere paragonata a quella della terra. Quando la terra si muove qualsiasi cosa ne viene influenzata. Bastioni di potere vengono abbattuti e perfino montagne che sembrano irremovibili vengono spostate. La forza delle donne è illimitata; niente la può sovrastare».

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