Vivere coerentemente con gli insegnamenti del Sutra del Loto vuol dire confrontarsi con il sentimento della pietà filiale. Può essere difficile da praticare, ma allenarsi con sincerità a farlo è la strada giusta
«Che cosa ispirò Shakyamuni a dedicarsi per un numero di kalpa equivalenti ai granelli di polvere alla pratica religiosa nell’intento di conseguire la Buddità? Nient’altro che la devozione filiale. Tutti gli esseri viventi dei sei sentieri e delle quattro forme di nascita sono nostri padri e madri. Per questo Shakyamuni, finché non fu in grado di trattarli con devozione filiale, si astenne dal diventare un Budda»
Lettera a Horen, RSND, 1, 456
Nel 1275 il prete laico Horen Nichirai invia a Nichiren Daishonin, allora a Minobu, il discorso letto alla funzione religiosa per commemorare il tredicesimo anniversario della morte del padre, in cui dichiara che da quel giorno ha letto per cinque volte il Sutra del Loto e recitato la parte in versi del capitolo “Durata della vita” (Jigage) quotidianamente. La risposta, Lettera a Horen, ha anche un altro titolo: Come padre e figlio possono ottenere la Buddità. Nichiren gli spiega che la devozione al sutra è la più sincera forma di pietà filiale, perché solo il Sutra del Loto può condurre i propri genitori e tutti gli esseri viventi alla Buddità. Quando il 27 giugno 1992, il presidente Ikeda incontrò noi giovani al Centro culturale di Firenze, ci incoraggiò dicendoci che la Legge mistica ci permette di guidare non solo i nostri genitori, ma anche i nostri parenti e amici, tutte le persone che hanno un legame con noi, anche gli ex fidanzati e le ex fidanzate e persino i defunti, verso la felicità durante le tre esistenze della vita. Ci disse che non ci saremmo dovuti preoccupare di nulla, che non c’era motivo di essere impazienti.
Se penso agli ultimi ventitré anni provo una gioia infinita. Da allora i miei genitori, mio fratello, tre zii, due cugini hanno cominciato a praticare, più o meno tutti i parenti e amici hanno recitato Nam-myoho-renge-kyo e la mia famiglia è diventata così armoniosa, che è difficile pensare che possa essere stata piena di conflitti e di sofferenza.
In questo brano Nichiren Daishonin è molto chiaro su cosa ci può allontanare dal raggiungere la Buddità. Vita dopo vita, chissà quanti padri e madri abbiamo avuto, chissà quanti debiti di gratitudine abbiamo accumulato. Il concetto di pietà filiale va molto al di là della nostra famiglia, riguarda tutte le persone. Per raggiungere la Buddità dobbiamo essere in grado di trattare tutti con devozione filiale. Ogni moto di irritazione, ogni giudizio, ogni sentimento negativo nei confronti degli altri, devono essere campanelli d’allarme per farci capire che non siamo sulla buona strada.
La relazione difficile con mio padre è stata la cosa che mi ha spinto a cominciare a praticare. Vivevamo tutti insieme, ma eravamo profondamente soli. A casa la bocca veniva aperta solo per urlare, figuriamoci se potevano esserci parole di lode o di incoraggiamento! Ogni fase dell’esperienza di trasformazione è stata un traguardo importante nella mia rivoluzione umana: la costruzione del rispetto reciproco, l’emergere di una grande compassione, intesa come profonda comprensione della vita dell’altro, il sostenersi a vicenda. Ogni passo e ogni Daimoku nei sei anni prima che lui cominciasse a praticare, e anche dopo, sono stati mattoni importanti per costruire le basi della mia vita. Tra poco sarà il tredicesimo anniversario della sua morte, e posso solo decidere di seguire l’incoraggiamento che Nichiren ha dato a Horen, impegnandomi a replicare l’esperienza di trasformazione di una relazione umana, ogni volta che c’è n’è bisogno e sempre più velocemente.