Tenju Kyoju Homon
Gosho Zenshu pag. 1000
Gli scritti di Nichiren Daishonin vol. 4 pag. 93
C’erano due fratelli chiamati Suri e Handoku[ref]Suri e Handoku: figli di una famiglia di brahmani dell’epoca di Shakyamuni, famosi per essere così stupidi da non sapersi distinguere tra di loro; quando uno veniva chiamato, accorrevano entrambi. Il Daishonin paragona il loro legame all’incrollabile unità dei tre credenti di Shimosa.[/ref]. Quando qualcuno chiamava Suri o Handoku, rispondevano entrambi. Voi tre credenti siete come loro: se uno di voi viene a trovarmi, mi sembra che siate tutti e tre qui.
Nel Sutra del Nirvana si trova il principio dell’alleggerimento della retribuzione karmica. Se il karma pesante del passato non viene espiato in questa esistenza, si dovranno sopportare le sofferenze dell’inferno nel futuro, tuttavia, incontrando grandi difficoltà in questa vita, le sofferenze dell’inferno svaniranno immediatamente. Alla morte si otterranno i benefici dei mondi umani e divini, dei tre veicoli e del veicolo supremo. Il bodhisattva Fukyo non fu deriso, insultato e colpito con pietre e bastoni senza motivo: probabilmente aveva calunniato la vera Legge nel passato.
La frase «dopo aver espiato le sue colpe»[ref]Sutra del Loto, cap. 20.[/ref] indica che il bodhisattva Fukyo poté annullare le colpe delle precedenti esistenze grazie alle persecuzioni che incontrò.
I ventiquattro successori del Budda[ref]Ventiquattro successori del Budda: il numero e l’ordine dei successori del Budda varia leggermente a seconda dei documenti. La traduzione si basa sull’elenco completo del Daishonin.[/ref], il cui avvento era stato da lui profetizzato, erano tutti suoi emissari. Il quindicesimo di questi, il bodhisattva Kanadeva, venne ucciso da un brahmano e il ventiquattresimo, il venerabile Aryasimha, fu fatto decapitare dal re Danmira.
Anche Buddhamitra e il bodhisattva Nagarjuna subirono molte persecuzioni, mentre altri propagarono il Buddismo sotto la protezione di sovrani devoti senza incontrare persecuzioni.
Questo sembrerebbe mostrare che nel mondo vi sono paesi buoni e paesi cattivi e di conseguenza due metodi di propagazione, shoju e shakubuku. Vi furono persecuzioni anche durante il Primo e il Medio giorno della Legge persino in India, il centro del Buddismo. Ora noi siamo all’inizio dell’Ultimo giorno della Legge e in un paese lontano dall’India. Per questa ragione avevo previsto l’insorgere di persecuzioni e le aspettavo da tempo. Ho spiegato questo principio già molto tempo fa, quindi non dovreste meravigliarvi.
Kangyo-soku è uno dei sei stadi della pratica del perfetto insegnamento e sta a indicare che una persona agisce come parla e parla come agisce. Coloro che sono nello stadio di ri-soku e myoji-soku credono nel perfetto insegnamento, ma solo a parole, non con le azioni. Per esempio, molte persone studiano i libri dei tre grandi sovrani e dei cinque imperatori[ref]I libri dei tre grandi sovrani e dei cinque imperatori: erano degli scritti tradizionalmente attribuiti agli otto leggendari governanti dell’antica Cina. Si ritiene che Confucio li abbia incorporati nel Libro dei Documenti, uno dei suoi cinque classici. Il contenuto di queste opere è poco noto, ma si dice che i leggendari regnanti abbiano realizzato forme di governo esemplari.[/ref], ma non vi è neanche un caso su dieci milioni in cui un paese sia stato governato come insegnavano quegli antichi saggi cinesi. È molto difficile costruire una società pacifica. Si può recitare perfettamente il Sutra del Loto, ma è ben più difficile metterne in pratica gli insegnamenti.
Il capitolo Hiyu afferma: «Disprezzeranno, odieranno e nutriranno rancore nei confronti di coloro che leggono, recitano, trascrivono e abbracciano questo sutra». Il capitolo Hosshi afferma: «Poiché odio e gelosia abbondano persino durante l’esistenza del Budda, quanto maggiori saranno dopo la sua scomparsa!». Nel capitolo Kanji si legge: «Ci attaccheranno con spade e bastoni […] saremo esiliati più e più volte». Il capitolo Anrakugyo afferma: «La società sarà piena di ostilità e sarà molto difficile credere». Queste sono parole del sutra, ma è impossibile prevedere quando si realizzeranno. In passato, il bodhisattva Fukyo e il prete Kakutoku le lessero e le sperimentarono nella propria vita.
Ma, a parte i duemila anni del Primo e del Medio giorno della Legge, ora, nell’Ultimo giorno, sembra che in tutto il Giappone soltanto Nichiren abbia fatto lo stesso. Nelle mie attuali condizioni, posso comprendere il dolore provato dai seguaci, parenti, discepoli e credenti dei tanti santi perseguitati al tempo dei sovrani malvagi del passato.
Nichiren ha ora letto interamente il Sutra del Loto. Se anche un solo brano o una sola frase garantiscono l’Illuminazione, quanto maggiori saranno i benefici di chi ha letto l’intero sutra. Sebbene possa apparire presuntuoso, il mio più ardente desiderio è di mettere l’intera nazione in grado di raggiungere l’Illuminazione; tuttavia, in un’epoca in cui nessuno mi ascolta, questo va oltre il mio potere. Concludo per non dilungarmi oltre.
Nichiren
Il 5 ottobre dell’ottavo anno di Bun’ei (1271)
Cenni storici
Il 5 ottobre 1271, tre settimane dopo essere sfuggito alla decapitazione disposta dal governo militare dì Kamakura, Nichiren Daishonin scrisse questa lettera a tre dei suoi principali discepoli, Ota Saemon, Soya Nyudo e Kimbara Hokyo. Probabilmente uno di loro gli aveva fatto visita durante la sua reclusione a Echi, nella residenza del vice governatore dell’isola di Sado, Homma Rokuro Zaemon. In questo periodo, dei fanatici del Nembutsu e di altre sette incendiarono delle case di Kamakura, accusandone i seguaci di Nichiren, per far sì che il governo non lo rilasciasse, anzi lo esiliasse definitivamente. Il governo decise di confinarlo nell’isola di Sado, luogo ben noto per la sua inospitalità o meglio, per essere una meta senza ritorno.
Al momento di scrivere questa lettera, Nichiren Daishonin era già stato segretamente informato della sua condanna e lo aveva comunicato a Shijo Kingo. La tentata esecuzione capitale, l’esilio, gli incendi di Kamakura e i conseguenti arresti, le confische dei beni e le persecuzioni avevano profondamente demoralizzato i discepoli del Daishonin. Egli s’impegnò subito a temperare l’abbattimento e correggere i dubbi dei suoi discepoli, spiegando loro che praticare il Buddismo della vera causa non significava diventare un bersaglio perpetuo delle nefandezze altrui, ma al contrario che questi avvenimenti non facevano altro che dimostrare la verità di quanto predetto dal Sutra del Loto: Nichiren Daishonin era il Budda originale dell’Ultimo giorno della Legge, e le sue persecuzioni e le sue sofferenze erano una manifestazione importante e inevitabile di questa rivelazione.
Affidarsi alla Legge che Nichiren aveva percepito nella profondità del Sutra del Loto avrebbe permesso a ciascuno di alleggerire e cancellare il proprio karma attuale e passato, mutabile e immutabile, leggero e pesante. In questa lettera, il Daishonin incoraggia i suoi discepoli a cancellare, a trasformare il proprio karma “leggendo” il Sutra del Loto con la loro stessa vita. Li assicura che la suprema Legge di Nam-myoho-renge-kyo è tanto grande da minimizzare e perfino cancellare gli effetti delle cause negative, perché per quanto gravi possano essere, la vita è infinitamente superiore e contiene tutte le cause, le buone e le cattive, e così come le ha accolte se ne può liberare. Non dubitando in Nam-myoho-renge-kyo, si può trasformare ogni causa negativa in un meraviglioso nutrimento per sé e in un grande incoraggiamento per chi ci è vicino. Come ha scritto Nichiren Daishonin: «Sebbene io e i miei discepoli possiamo incontrare delle difficoltà, se non nutriamo dubbi nel nostro cuore, raggiungeremo naturalmente la Buddità».
Spiegazione
C’erano due fratelli chiamati Suri e Handoku … mi sembra che siate tutti e tre qui.
In apertura del Gosho, Nichiren Daishonin esprime con grande semplicità la sua affettuosa ammirazione per il legame di fede che unisce i suoi tre discepoli. Il paragone con i due fratelli Suri e Handoku, posto all’inizio, può apparire stravagante, se si considera che i due erano noti per la loro stupidità, tanto grande che non sapevano neppure distinguersi fra loro. Il carattere provocatorio di questo confronto rimanda invece alla virtù che Nichiren vuol mettere in evidenza fra i suoi discepoli: «Se uno di voi viene a trovarmi, mi sembra che siate tutti e tre qui». Il confronto apparentemente offensivo diviene così la più alta lode per il vero spirito di itai doshin che li unisce. Anche in un’altra occasione Nichiren Daishonin loda un credente per il suo candore, per il suo affidarsi a Nam-myoho-renge-kyo, come un neonato al latte della madre: senza alcun dubbio, senza perplessità, senza timore… Nello stesso modo, in questo Gosho egli sembra lodare i suoi discepoli per l’unità dei loro ideali, della loro amicizia, della loro fede, che – priva di interessi personali, di secondi fini, di rivalità e rancori – impedisce a ogni cuore di cader vittima dei tre veleni di Avidità, Animalità e Collera.
Il compito di ciascuno di noi che sosteniamo il Buddismo della vera causa, è quello di tessere una forte rete di amicizia basata sulla fede, per cui ci sentiamo liberi dalle influenze esterne come i due fratelli Suri e Handoku. La loro unione, assunta a simbolo, illustra l’aspirazione a «superare tutte le differenze» in modo da «divenire inseparabili – come scrive Nichiren – come i pesci e l’acqua in cui nuotano». In questa rete di amicizia la gentilezza e la compassione accendono la fiducia nel cuore di ogni persona e guariscono ogni ferita. Ne La Saggezza del Sutra del Loto il presidente Ikeda ci dice che niente può toccare più profondamente il cuore di una persona della gentilezza. Essa è il vero “potere morbido”, un’espressione in cui “morbido” significa compassione e “potere” significa forza. “Morbido” implica una gentilezza senza limiti, che è sostegno a una forza altrettanto illimitata. A sua volta, la forza sostiene la gentilezza, perché senza forza non riusciremmo a essere gentili con gli altri, e questa forza nasce dallo spirito coraggioso di chi, senza risparmiare la propria vita, ricerca e propaga la Legge mistica costantemente alimentandosi a essa. Alla base della cultura, della pace, dell’educazione c’è la compassione, la gentilezza verso gli esseri umani. Perciò, chi è investito di un qualunque incarico o responsabilità deve saper esercitare un “potere morbido”, agire con forza e gentilezza, esercitare la compassione, cioè riconoscere e sostenere chi soffre, chiunque sia, sempre con pazienza e gentilezza. Un responsabile è colui che risponde con sincera semplicità alla voce della gente e sa farsene interprete. Niente è più forte del grido della gente. «Solo quando le grida della gente – scrive Daisaku Ikeda – influenzano e muovono la società, nasce la vera democrazia» (Saggezza, 4, 176).
Nel Sutra del Nirvana si trova il principio … grazie alle persecuzioni che incontrò.
Nel pensiero buddista, la dottrina del karma ha un ruolo centrale. Essa afferma che ogni essere vivente porta in sé il cumulo degli effetti di cause poste non solo in questa vita, ma in tutto il suo infinito passato. Ogni parola, pensiero o azione si imprime nella vita individuale e contribuisce a formarne il destino, come un continuo flusso di dare e di avere. La pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin riesce a sconfiggere il peso di tante cause negative e a minimizzarne gli effetti. Scriveva Richard Causton: «Tutti vorremmo vivere felici, ma nessuno in questa vita può sfuggire a una certa quantità di dolore. La sofferenza ci investe quando ci troviamo di fronte a problemi e ostacoli, tanto che impieghiamo la maggior parte del nostro tempo a cercare di evitarli, anche se questi fanno intrinsecamente parte della vita. Nel tentativo di eludere i problemi non facciamo altro che farli “slittare” in avanti, nel futuro. Quando poi ce li troviamo inevitabilmente di fronte essi ci appaiono accresciuti se non addirittura ingigantiti, e risolverli diventa molto più difficile.
Il profondo nesso fra problemi e sofferenza porta le persone a confondere gli uni con l’altra. Per esempio chi è disoccupato con tutta probabilità è anche infelice, e allora è portato a pensare di essere infelice perché è disoccupato. Anche supponendo che con un lavoro si possa essere meno infelici, (il che è comunque da dimostrare, visto il numero di coloro che si lamentano del proprio impiego), non si è infelici perché si è disoccupati, ma perché ci si sente incapaci di trovare lavoro. Dunque non sono tanto i nostri problemi a causarci sofferenza quanto la nostra incapacità di risolverli.
Questa affermazione può sembrare lapalissiana, ma a ben guardare la differenza è fondamentale. Quando ci sentiamo in grado di superare i problemi anche dopo lungo impegno e notevoli sforzi, essi diventano semplicemente “sfide”. In poche parole, il fatto che i nostri problemi siano fonte di sofferenza oppure di “crescita” dipende esclusivamente dal nostro atteggiamento nei loro confronti, e nei confronti di noi stessi. […] Ciò non significa negare le difficoltà o ignorare i problemi che affliggono la società moderna: la fame nel mondo, la minaccia di una guerra nucleare, l’aumento del degrado ambientale, ecc., non spariranno per miracolo da un giorno all’altro soltanto perché un certo numero di persone comincerà a guardarle in modo diverso. E non significa nemmeno sottovalutare la realtà fisica del dolore di chi soffre di una grave malattia. Anche in questo caso, la natura di ogni difficoltà è strettamente collegata alla propria forza: quando siamo deboli, i problemi appaiono enormi e a volte insormontabili; quando siamo forti, tutti gli ostacoli vengono ridimensionati» (DuemilaUno, n. 78, pagg. 6-7).
Per il buddista, la sofferenza non è fonte di abbattimento, di crisi, ma strumento di crescita interiore. Nessuno dovrà lamentarsi per le prove a cui è sottoposto. Il bodhisattva Fukyo, “Mai Sprezzante”, s’inchinava davanti a chi lo colpiva con pietre e bastoni dicendo: «Nutro per voi un profondo rispetto; non oserei mai trattarvi con disprezzo o arroganza. Perché? Perché voi tutti state praticando la via del bodhisattva e conseguirete certamente la Buddità». Egli avvertiva che la sofferenza impostagli dalle violenze altrui contribuiva in modo determinante al suo riscatto, alla liberazione dalla negatività del suo karma: e, dunque, a maggior ragione, egli s’inchinava a chi gli offriva un ottimo nutrimento per crescere.
Secondo il Buddismo, la sofferenza, sia personale o sociale, sia che coinvolga l’intera umanità, non solo non si può evitare ma è assolutamente essenziale. Come dice Nichiren Daishonin, «solo sconfiggendo un potente nemico, si può provare il proprio reale valore», sviluppare il nostro potenziale di esseri umani. Il che significa recitare Daimoku con tutto il cuore, “con un solo cuore, una sola mente” con tutta la sincerità e la forza di chi non vuole dubitare, di chi ha deciso che vincerà sicuramente; di chi vuole trasformare ogni veleno in una medicina meravigliosa per sé e per gli altri, e sentire il proprio cuore che si allarga di gioia e di immensa gratitudine. Per compiere la nostra rivoluzione umana abbiamo bisogno di recitare con la più grande concentrazione, pregare «intensamente – afferma il Daishonin – come se dovessi accendere il fuoco con legna bagnata o estrarre l’acqua dal deserto» (SND, 7, 172). Il Gohonzon non risponde a una preghiera astratta o indulgente. Josei Toda era solito ripetere: «Chi recita implorando di ottenere dei benefici senza votarsi al Gohonzon ha un atteggiamento pigro e irresponsabile. Coloro che pregano con tutto il cuore e lottano per kosen-rufu stanno costruendo un baluardo di sicurezza e di tranquillità nella loro vita. Nell’attività che svolgiamo nella Soka Gakkai, non c’è sforzo che vada sprecato. Quando preghiamo al Gohonzon con tutta la nostra vita, sicuramente un sentiero si aprirà davanti a noi». In apparenza, la nostra può sembrare una recitazione calma e serena, ma non è una via facile da percorrere. Ci può accadere di recitare a lungo senza che dentro di noi niente si muova: questa sensazione di vuoto può essere un artificio del nostro egoismo che, odiando soffrire, depone una lastra di silenzio per farci credere di aver vinto la pena, mentre cerca di coprirne una particolarmente grossa. Se usiamo Nam-myoho-renge-kyo l’amaro sapore della sofferenza comincerà a farsi percepire e a spronarci nel Daimoku con sempre maggiore intensità, in una lotta all’ultimo respiro contro le pressioni della negatività e dell’oscurità, fino alla completa trasformazione della nostra vita. Quando, sotto l’albero di Bodhi fu tentato dal re dei demoni Mara, Shakyamuni gli rispose: «Tu puoi sconfiggere un codardo, ma un coraggioso ti vince. Io lotterò. Preferisco lottare e perdere la vita che essere sconfitto da te e sopravvivere». A queste parole il demone sparì. Il Buddismo è una lotta con ogni tipo di demoni e di forze negative inerenti la vita. Senza lottare e vincere questi nemici, non c’è Illuminazione, dice il presidente Ikeda. Non c’è gioia. Non c’è rivoluzione umana. Non c’è Buddismo.
Kangyo-soku è uno dei sei stadi della pratica … metterne in pratica gli insegnamenti.
Il Daishonin fa poi riferimento a ri-soku e myoji-soku, gli stadi di coloro che conoscono i principi del Buddismo, ma poi non ne attuano alcuno nelle loro azioni, come alcuni governanti che lodano i testi della saggezza di Confucio ma il loro comportamento nel gestire il potere, nell’occuparsi della felicità dei loro popoli non riflette le parole che professano. Sappiamo che per ognuno di noi è già molto difficile recitare il Sutra del Loto alla perfezione, ma infinitamente più arduo è metterne in pratica gli insegnamenti, così come il Daishonin ce li propone. Molti si accontentano dei benefici del momento, quando in effetti sono pieni di infiniti desideri; poi, di fronte al più lieve contrattempo, cominciano a dubitare nel Gohonzon. Il presidente Ikeda dice che pregare con un dubbio nella mente è come cercare di trattenere l’acqua nella vasca dopo aver tolto il tappo. Tutta la nostra fortuna e i nostri benefici se ne vanno. Poiché la ricerca della Buddità è un dono concesso a ogni essere vivente, tutti coloro che credono nel Buddismo della vera causa si devono sentire impegnati a confrontare quotidianamente le loro azioni con la fede che professano; ma molto maggiore – dice Nichiren – è l’impegno che nella realizzazione dei princìpi del Buddismo, devono porre i governanti e i sovrani, dai quali dipende la felicità delle genti da loro guidate. Nello stesso modo, severo e impegnativo è il compito cui sono chiamati i responsabili della nostra organizzazione: se “molto difficile è costruire una società pacifica”, non meno problematico e gravoso è mantenere la calma, la serenità, il rispetto reciproco fra tutti i membri che compongono una “piccola” società come la nostra. Si può leggere tutta La saggezza del Sutra del Loto, riempirsi la bocca di citazioni, esibire dotti commenti sui Gosho e sulle guide del presidente Ikeda, ma poi non avere il coraggio di tradurre la dottrina in azioni concrete, in manifestazioni esplicite della propria fede e delle proprie convinzioni nella società sofferente. Di fronte a un malato, il nostro primo compito è certamente quello di fare shakubuku, avviarlo ad abbracciare la fede in Nam-myoho-renge-kyo, ma attuarne l’insegnamento significa anche stargli vicino, fargli visita, chiamare un medico per curarlo nell’immediato, non lascialo mai solo. Richiamare la grande energia vitale con una preghiera piena di fiducia ci permette di spezzare le catene della sofferenza, e far così percepire a chi soffre la nostra continua, affettuosa presenza. Se ci troviamo di fronte due amici che, pur professando Nam-myoho-renge-kyo, si trovano a polemizzare fra loro, e non riescono a conciliare le loro posizioni, il nostro compito non è di farli precipitare nel mondo di Collera, ma invitarli a comunicare, a incontrarsi in un dialogo quotidiano fino alla soppressione di ogni dissidio. Far rispondere alle parole le azioni concrete significa essere in «kangyo-soku, uno dei sei stadi della pratica del perfetto insegnamento».
Il capitolo Hiyu afferma: … perseguitati al tempo dei sovrani malvagi del passato.
Il presidente Ikeda ci dice che il beneficio che riceviamo quando cominciamo a praticare è come una piccola montagna. L’illimitata forza vitale del Budda è una montagna grandiosa. Nel nostro cammino dalla “piccola montagna” alla “montagna grandiosa” bisogna attraversare una “valle”: solo affrontando e sconfiggendo i demoni, gli ostacoli e i tre potenti nemici, simboleggiati dall’immagine della valle, possiamo salire la “grandiosa montagna” della Buddità. Già nel Primo e Medio giorno, vi erano state persecuzioni persino in India, il centro del Buddismo: questi nemici sono la manifestazione sociale dell’Ultimo giorno della Legge, intriso di odio e di gelosia. Nel tredicesimo capitolo del Sutra del Loto si legge questa descrizione del primo dei tre potenti nemici:
«Ci saranno molte persone ignoranti / che ci malediranno e parleranno male di noi…» (SDL, 13, 253).
In questo tipo di nemici che “attaccano con spade e bastoni”, insultano ed esiliano, si raffigurano i laici ignoranti, che niente sanno della nostra fede, eppure sono forti nemici del vero insegnamento. Questo tipo di persone non si preoccupa mai di scoprire da sé la verità. Poiché mancano della capacità di distinguere tra il vero e il falso, seguono ciecamente l’autorità, si appoggiano completamente a essa e ne eseguono gli ordini.
Del secondo dei tre potenti nemici si dice:
«In quell’epoca malvagia ci saranno monaci / di saggezza perversa, adulatori e sleali, / che pretenderanno di aver conseguito ciò che non hanno conseguito, / che saranno arroganti e presuntuosi» (SDL, 13, 253).
Queste sono persone che hanno studiato il Buddismo, però la saggezza che hanno acquisito può essere definita solo come “perversa”, perché da un lato fanno di tutto per entrare nelle grazie del potere e dall’altro si mostrano arroganti con le persone che giudicano deboli.
Del terzo dei tre potenti nemici, nel Sutra del Loto è scritto:
«Oppure vi saranno monaci… / che pretenderanno di praticare la vera Via / e guarderanno con disprezzo il genere umano. / Avidi di vantaggi materiali e sostegni, / predicheranno la Legge ai laici… / e saranno rispettati e riveriti dal mondo» (SDL, 13, 253).
Ancora più pericolosi dei secondi nemici sono questi monaci che “guardano con disprezzo il genere umano”, “falsi santi”, che si considerano saggi venerabili. Questo atteggiamento è esattamente il contrario dello spirito del Sutra del Loto che ci insegna che tutti gli esseri viventi sono infinitamente degni di rispetto, e questi monaci non hanno lo spirito di aiutare le persone che soffrono o di dedicare la propria vita a kosen-rufu, e sono destinati a diventare nemici dei devoti del Sutra del Loto. Essi, come Nikken, sono degli ipocriti che usano il Buddismo per il proprio interesse personale, eppure sono riveriti come se fossero grandi saggi. Il compito dei devoti non è quello di dissentire in silenzio da loro, ma di individuare questi falsi santi, non lasciarsi incantare dalle loro parole e dai loro atteggiamenti, saper leggere in ciò che essi dicono quanto c’è di inautentico, a volte di offensivo per i nostri principi.
Nichiren ha ora letto interamente il Sutra del Loto … questo va oltre il mio potere.
Nichiren conclude il Gosho riferendo della lettura di tutto il Sutra del Loto che egli ha compiuto. È vero, egli dice, anche una sola frase può consentire l’Illuminazione, ma i benefici che si possono trarre dalla completa conoscenza del testo di Shakyamuni saranno tanto maggiori. È, questo, l’invito ad affidarci al sutra non con fretta e superficialità, ma con modestia e con pienezza d’animo, ritornando più e più volte sulle stesse pagine, coscienti che ogni frase è un contributo all’approfondimento della nostra fede, ma il sutra nel suo insieme è uno strumento formidabile per la nostra crescita interiore, per trasformare qualsiasi veleno in una medicina meravigliosa per sé e per tutti gli esseri umani, per sentire la sofferenza come un’esperienza gioiosa che dà scopo, motivo e coraggio a noi e agli altri. Ma questo “leggere” che consente l’Illuminazione deve essere interpretato non solo come riferimento al fatto materiale, allo sfogliare delle pagine, ma significa anche averle fatte proprie, aver vissuto interiormente i principi, aver respirato la saggezza che il testo contiene, aver fatto corrispondere alle parole le azioni concrete di tutta la nostra esistenza. Eppure, nonostante sia cosciente di aver fatto tutto questo, il Daishonin viene preso da un certo timore: quello di apparire presuntuoso esprimendo il desiderio di aver indicato a tutti noi la via verso l’Illuminazione. È amara la sua constatazione, a conclusione del Gosho: «In un’epoca in cui nessuno mi ascolta, questo va oltre il mio potere». Egli sembra aver immaginato un’età di forte materialità, di violenza e brutalità, in cui la voce del Budda non riesca a giungere a tutti gli uomini, incapaci di ascoltare, stravolti da superficiali “valori” quotidiani. E ci invita così a rafforzare il nostro impegno a vivere e diffondere con rinnovata intensità Nam-myoho-renge-kyo nella più vasta comunità, investiti da un’onda potente di gratitudine che colmi il nostro cuore di una gioia meravigliosa: la gioia di condividere il Budda con i compagni nella fede e di vivere con loro una ammirevole vita da esseri umani.