Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
Al cento per cento - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:21

310

Stampa

Al cento per cento

Ingo Diehl, Colonia (Germania)

Dimensione del testo AA

Ho trentasette anni e sono ballerino. Nel dicembre 1998, morì il mio amico e responsabile buddista Robbi de Decker e, dopo la cerimonia funebre nel suo appartamento, sua moglie Carola mi chiese se ora mi sarei occupato io dei giovani uomini di Colonia e di Bonn al suo posto. «Uffa!» pensai. Mi ero sempre tirato indietro da simili responsabilità perché ne avevo già abbastanza dei miei problemi. E, a conferma di quanto sopra, durante la cerimonia, mi si era bloccato un ginocchio, danneggiato in seguito alla mia professione e non potevo più allungare la gamba. Fu proprio questa l’occasione per decidere ancora una volta di risolvere i miei problemi con la fede buddista.
Così accettai la responsabilità dei giovani uomini. In quel periodo fui ingaggiato dall’Opera di Bonn come ballerino: dovevo eseguire un pezzo nel quale danzavo con una gamba sola e così il primo effetto positivo della mia decisione fu che potevo allenarmi sulla gamba sana e continuare a guadagnarmi da vivere. Quando fui operato, alcuni mesi dopo, i medici formularono una diagnosi molto grave: dissero che avevo il ginocchio di un novantenne con gravi problemi. L’artrosi aveva eroso la cartilagine fino alle ossa. Dovevo subito smettere di danzare e forse non avrei neanche più potuto camminare. Ero un ballerino finito e tutto ciò che avevo fatto prima non aveva più importanza. Così, come potevo essere un esempio incoraggiante per gli altri?
Inoltre, dopo aver continuato a lavorare per alcuni anni malgrado forti dolori, ora non ero più disposto ad accettare senza fiatare le strutture gerarchiche del mondo della danza. Dovevo voltare le spalle alla mia professione e fare qualche cosa di diverso? I miei ex colleghi facevano carriera mentre io non avevo la minima idea di cosa avrei potuto fare.
Ma, a causa delle sfide sempre nuove che mi poneva il mio incarico di responsabile, ero costretto a mantenermi attivo e a non arrendermi anche se mi sentivo spesso molto solo sia davanti alle mie difficoltà personali che nella mia responsabilità buddista.
Sebbene i medici me lo avessero sconsigliato, descrivendomi tutti gli ostacoli che avrei incontrato, due settimane dopo l’operazione mi recai a un corso della SGI in Giappone. Un responsabile giapponese mi diede un consiglio nella fede: «Impegnati sempre al cento per cento». Pensai che se avessi portato avanti la mia attività buddista e ogni aspetto della mia vita con questo spirito, avrei potuto ballare di nuovo oppure mi si sarebbe aperta una nuova strada.
Quando tornai dopo dieci giorni in Germania il processo di guarigione era, con grande stupore dei medici, così avanzato che potevo di nuovo camminare normalmente. Recitavo molto per trovare un nuovo significato nella mia vita e comprendere il valore di questa esperienza. Volevo dare basi sicure alla mia professione. Così nell’ottobre 2001 cominciai a studiare per il diploma di maestro di danza. Subito dal primo trimestre mi confrontai con tutto quello che per anni come ballerino avevo cercato di evitare: pressioni, disciplina, poca soddisfazione e visione ristretta della professione; tutto ciò mi dava sempre l’impressione di non essere all’altezza e di trovarmi nel posto sbagliato.
Dopo essermi confrontato con gli altri studenti che manifestavano i miei stessi dubbi, decisi come prima cosa di esporre i miei problemi e fare proposte di miglioramento là dove erano veramente necessarie. Come mi aspettavo i professori non ne furono entusiasti e immediatamente si generarono discussioni e divergenze di opinioni. Durante questo periodo ricordai nuovamente il consiglio ricevuto in Giappone: dare sempre il cento per cento, sia nella società che nell’attività buddista. Malgrado ciò, avevo spesso la tentazione di buttare lo studio alle ortiche.
Una professoressa, che durante gli studi era diventata una buona amica, credeva in me e mi sosteneva. Mi dava la sensazione di essere utile in questa professione e di poter far cambiare qualche cosa, ma il pensiero di dover passare la mia vita in un sistema così rigido mi spaventava.
C’erano difficoltà in ogni campo della mia vita e perciò non mi rimaneva altro che decidere di andare un’altra volta fino in fondo. Nell’attività buddista dei giovani, dove ci eravamo posti grandi scopi, scoprii di poter superare me stesso e cambiare ciò che sembrava impossibile in possibile. Volevo trasmettere questo spirito anche nella mia vita quotidiana; non mi risparmiavo e accettavo tutte le sfide sia nello studio che nell’attività. Cercavo sempre il dialogo con i professori ed ero deciso a diventare un buon maestro. La mia vita consisteva nella SGI e nello studio. Però spesso, quando mi mancavano le forze, si ripresentavano i sentimenti di abbandono e solitudine così familiari. In quei momenti l’attività era l’unica cosa che mi faceva sperare in un cambiamento positivo. La mia tesi di diploma trattava delle difficoltà del sistema di insegnamento e metteva in luce le strutture rigide del mondo della danza.
Nello stesso tempo nell’attività buddista mi veniva chiesto di comprendere come doveva essere un “buon” responsabile. Di nuovo riaffioravano i vecchi dubbi nella mia vita. Era sbagliato da parte mia desiderare membri responsabili e maturi, che non giudicassero secondo i criteri di “buono-cattivo”, “giusto-sbagliato”, “bello-brutto”? E, dall’altra parte, avevo scelto la professione giusta o sarebbe stato meglio fare qualche altra cosa?
Durante un colloquio riguardante il corso di studi venne addirittura messo in forse l’ottenimento del diploma da parte nostra, anche se ci era stato assicurato fin dall’inizio del corso. In altre parole, il riconoscimento di due anni di studio ci veniva tolto poco prima che il corso terminasse. Il sistema mostrava il suo vero volto e i professori si preoccupavano soprattutto della loro carriera.
Cosa fare? Cosa dicevano gli scritti di Nichiren Daishonin sulla “luna di Kyoto che non si poteva vedere se si interrompeva il viaggio prima dell’arrivo” (vedi Lettera a Niike, SND, 4, 245)? Una responsabile mi fece capire che il nostro compito come bodhisattva consiste nell’“aiutare la gente a diventare felice e combattere l’ingiustizia”. Mi decisi ad assumere un avvocato e combattere per la nostra causa. Stavamo già facendo gli esami e la conclusione era incerta. I professori si sentirono aggrediti da me ma io avevo deciso di fare cambiamenti positivi e di vincere. L’atmosfera era così negativa che non potevo andare all’Università senza prima aver recitato Daimoku almeno per un`ora. Parlavo più volte al giorno con il mio avvocato. La corrispondenza tra università, ministero e avvocato riempiva già un fascicolo e la nostra situazione sembrava senza via d’uscita. Ma, più grandi diventavano le difficoltà, più sinceri diventavano i miei sforzi di dare il cento per cento, non arrendermi, e sforzarmi per la felicità degli altri. Non avevo più niente da perdere, perciò ero deciso a percorrere nuove strade anche per quanto riguardava i miei esami, a sperimentare e a rischiare.
In quei momenti capii che non erano le strutture rigide a limitarmi, ma che avrei potuto cambiarle prendendomi fino in fondo la responsabilità delle mie azioni anche se questo avesse significato essere solo. Soltanto perché le difficoltà mi avevano fatto crescere, adesso potevo cambiare qualcosa. Senza la mia attività nella SGI non mi sarei sviluppato così.
Malgrado nel passato non fossi mai stato una cima nello studio, feci tutti gli esami e scrissi anche un’ottima tesi. Una settimana prima dell’ultimo esame la segretaria dell’università informò personalmente il nostro avvocato che avremmo ottenuto il diploma. La professoressa che mi aveva sempre sostenuto durante tutto il corso collaborerà con me anche in futuro. Una docente si disse persino spiacente che al momento non ci fossero posti vacanti all’università e per questo dovessi lasciarli.
Sembrava che l’universo avesse riversato su di me la sua cornucopia. Per i prossimi cinque mesi andrò come capo allenamento a Island Ballet a Reykjavik.
Nel frattempo le mie ginocchia si sono ristabilite e sono deciso a danzare ancora perché… tutto è possibile… soltanto che talvolta lo è, in modo diverso da quello che ci aspettiamo. Ho capito che fare attività buddista significa agire dove ci troviamo e anche le situazioni più disperate possono essere trasformate in qualcosa di positivo.

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata