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Adottare l'insegnamento corretto per la pace nel paese - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:35

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Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese

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Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese

tratto dalla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 25

Il mio talento per kosen-rufu

Non furono esattamente queste le parole con cui diciannove anni fa Paola mi fece il suo shakubuku epistolare nella soluzione di un’unica missiva, arrivatami aperta con il timbro della polizia di frontiera di due paesi. Ci vollero un po’ di mesi di pratica come il fuoco prima di imbattermi nel trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese (Rissho ankoku ron), costato a Nichiren una serie di persecuzioni per aver messo in guardia il governo dalle imminenti sciagure cui sarebbe andato incontro il Giappone se non avesse abbracciato «l’unica buona dottrina del Sutra del Loto».
Quando per la prima volta lessi quel titolo impronunciabile, giunta al brano dei quattro quadranti del paese fu come toccare terra. Sentirmi dire una volta per tutte che gli ideali esistono per essere realizzati.
Sempre, negli anni, sono ritornata a quel brano. È il motivo che mi accompagna in tutte le mie più audaci scommesse, quelle che anche quando vinci ancora non ci credi.
Sono arrivata in Italia da un paese sull’orlo della guerra civile con uno zaino, il curriculum di giovane redattrice presso un quotidiano e un documento che mi negava l’accesso a un qualsiasi impiego che non fosse in nero. Nel frattempo, dall’altra parte del confine mia madre stava morendo, la guerra era scoppiata, mio padre costringeva mio fratello a espatriare lasciando gli studi, i miei amici partivano per il fronte o si rifugiavano all’estero, nullatenenti e disertori. I compagni di fede mi spinsero a chiedere un consiglio nella fede. «Nam-myoho-renge-kyo trasforma l’impossibile in possibile».
Una settimana dopo il governo italiano promulgò un decreto legge che mi permise di uscire dalla clandestinità. Da lì avrei ricominciato. L’elenco dei giornalisti disoccupati era lungo e terminava con il mio nome. Riformulai la determinazione. Io sono “raccomandata” dal Gohonzon, pensai. Feci cento lavori diversi: pulizie, assistenza agli anziani, tradussi opuscoli commerciali impoetici oltre ogni immaginazione, passai l’esame di stato per giornalisti professionisti dovendo imparare in due mesi ciò per cui se ne concedevano normalmente diciotto: giurisprudenza, politica, economia, moda persino. Cose mai studiate in vita mia.
I soldi scarseggiavano sempre, la salute anche di più e non c’era rione della città dove non avessi alloggiato. Se ero ancora lontana dal portare ordine e tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese, almeno li stavo perlustrando.
Avuto il tesserino dei giornalisti, decisi che avrei offerto «tutte le mie capacità per la pace nel mondo». Come quando nella Rivoluzione umana Josei Toda esortò gli shoten zenjin: «Tutto il mio lavoro è per kosen-rufu! Perché non mi mandate la carta?». Da questa dipendeva la sopravvivenza dell’impresa editoriale che lui stava rimettendo in piedi con fatiche enormi.
E la carta venne, ossia trovai il lavoro. Più propriamente: lo inventai. Mi proposi come giornalista alla dirigente del locale SERT (Servizio per le tossicodipendenze). Ed ecco l’inviata speciale nel SERT, la prima che si fosse mai vista e chissà se lì soltanto. Ben presto fui chiamata per un analogo lavoro dal direttore del Dipartimento di salute mentale nonché successore di Basaglia, fondai e diressi un mensile per i senza voce, tenni corsi di scrittura e diritti umani a persone con disturbi mentali, detenuti, donne con storie di vita difficili; creai campagne di prevenzione del suicidio e delle morti solitarie. Senza rendermi conto, ero diventata un’esperta di comunicazione sociale, una disciplina che in Italia si stava appena sviluppando per tradursi in un corso universitario tra i più ambiti del settore.
Tutta la mia inventiva per kosen-rufu. Fu così che la città più suicida d’Italia che negli ultimi dieci anni ha dimezzato il più triste dei primati, venne invasa da manifesti con citazioni dal Gosho, dai discorsi del presidente Ikeda, messaggi di speranza sentiti alle riunioni di discussione, ai corsi estivi e quelli per artisti a Trets, parole degli incoraggiamenti di tanti preziosi compagni di strada. Oggi stesso, mentre scrivo, trasmesso da una storica radio viaggia nell’etere il noto principio buddista: “da ora in poi”.
Tutto il mio osare per kosen-rufu. Fu così che un 8 marzo la prima pagina dell’unico quotidiano locale a diffusione regionale titolò: “Il paladino delle donne”. Quel paladino era Nichiren Daishonin, e l’articolo raccontava del rivoluzionario Sutra del Loto che assicura pace e felicità a ogni donna. Intanto le terze pagine stampavano servizi sulla mostra fotografica dei diritti umani promossa dalla Soka Gakkai, recensioni dei dialoghi di Daisaku Ikeda con Gorbaciov e Galtung e sulla rivoluzione umana del re Ashoka. Fu così che il direttore di un giornale fino ad allora non troppo propenso a dare spazio a certi temi prese a commissionarmi commenti su fatti di primo piano ordinando, testuale: «Mi serve uno di quei tuoi articoli spirituali».
Tutto il mio talento per kosen-rufu. Fu così che, perfetta sconosciuta, pubblicai il mio primo romanzo con un importante editore nazionale, venni chiamata in un progetto di letteratura dell’UNESCO e altre parole di Ikeda, citate nei miei scritti, furono pubblicate in tedesco, italiano e inglese.
Tutto ciò non mi ha portato né fama né ricchezza materiale, e anzi, il più delle volte il mio lavoro rimane invisibile, prestato a firme che incidono più della mia, al servizio di un bene comune più grande e necessario. Ogni giorno come tutti io continuo a fare, rinnovando la mai scontata promessa di pregare per i quattro quadranti del paese. Ogni giorno cado e mi rialzo, raccolgo amarezze e indignazioni, effetti che sembrano sempre in ritardo sulle cause poste, perdo la testa e la ritrovo. Ma non me ne curo più di tanto, finché non smetto di camminare, posso tutto. Perché anche quando io me ne dimentico, la mia missione non si dimentica di me. Ci siamo scelte reciprocamente, è questa scelta la nostra felicità. Sappiamo entrambe che saremo giudicate su ciò che avremo saputo costruire, e non su ciò che distruggiamo, come ha detto il nuovo presidente americano Barack Obama nell’inaugurare «una nuova era di responsabilità per il mondo». La stessa cui, in un lontano luglio del 1260, nell’immensa solitudine senza microfoni, altoparlanti e telecamere, dava voce Nichiren. La lunga eco di quella voce siamo noi.

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In questo brano…

16 luglio 1260. Un giorno significativo nella vita di Nichiren Daishonin, in cui il trattato
Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese (Rissho ankoku ron) viene presentato all’ex reggente Hojo Tokiyori. Egli, sebbene ritiratosi a vita privata, rimaneva il personaggio più influente nella scena sociale e politica del Giappone medioevale.
Alcuni elementi contingenti avevano spinto Nichiren, allora trentanovenne, a comporre e presentare il trattato proprio in quel momento: negli anni precedenti si erano susseguiti uno dopo l’altro disastri naturali, tanto che il Giappone e la sua popolazione versavano in condizioni penose.
Studiando i testi buddisti Nichiren era giunto alla conclusione che la causa di queste calamità risiedeva nell’atteggiamento del popolo giapponese che, venerando false dottrine, disprezzava la Legge della vita spiegata dal Buddismo. L’ultima calamità sarebbe stata l’invasione del paese a opera di un popolo straniero, in questo caso quello mongolo.
Il trattato è in forma dialogica fra un viandante e una persona che lo ospita, il dialogo viene scelto anche come massima espressione di rispetto reciproco.
L’essenza del trattato è riassunta dal passo: «Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese». Questi quattro quadranti indicano tutto il mondo.

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