Strutturata nella forma dialogica, si conclude la serie dedicata alla storia della comunità buddista e del suo mondo. Questa volta i termini della riflessione sono democrazia e organizzazione. Guardando al futuro, ovviamente non c’è una risposta unica ma si possono trarre solo conclusioni… in cammino
Perché una comunità religiosa deve essere organizzata?
Nel 1987, alla conferenza euro-africana di Parigi, Daisaku Ikeda affermò: «Potremmo paragonare kosen-rufu a una corrente: l’organizzazione esiste per aprire la strada alla corrente dello sviluppo della nostra fede. L’organizzazione di kosen-rufu irriga la grande regione della vita umana. Trasmette al cuore di ognuno conforto, incoraggiamento e vitalità. […] In realtà chi beneficia dell’organizzazione e ne ha fatto abitudine, spesso non ne comprende più l’ importanza. Quando rimaniamo lontani dall’organizzazione che ci permette di approfondire la nostra fede, sentiamo profondamente la sua utilità. Anche il corpo umano è una perfetta organizzazione: un organismo vivente è il risultato dell’armonioso funzionamento di tutti gli organi interni. Se ogni parte non comunica con l’insieme, le funzioni vitali non possono compiersi perfettamente. Lo stesso vale per la società umana. Se miriamo allo sviluppo di kosen-rufu è impossibile restare fuori dalla “corrente del grande fiume” dell’organizzazione. Senza di essa le attività di kosen-rufu non possono progredire. Non si può approfondire la fede, né realizzare la rivoluzione umana. Quando kosen-rufu sarà realizzato, probabilmente l’organizzazione non sarà più indispensabile, ma non è realistico pensarci adesso. Inoltre, è evidente che la struttura dell’organizzazione si modificherà in funzione del progresso di kosen-rufu. Alcuni criticano il principio stesso dell’organizzazione, pensando che la sua esistenza limiti la loro libertà: questa è una visione parziale del concetto di organizzazione. La fede non è qualcosa che si può realizzare unicamente per se stessi. In ogni caso una “fede solitaria” si traduce alla fine in una pratica egoistica. Quindi non è un reale allenamento, ed è dunque impossibile forgiare uno spirito incrollabile e una vita pura. È solo attraverso il contatto tra persone diverse e l’incoraggiamento reciproco che si può approfondire la fede. In ciò si trova la ragion d’essere dell’organizzazione».
A questo punto la domanda successiva è:
Quale relazione c’è tra democrazia e la struttura di una comunità buddista?
Il tema andrebbe visitato sia all’interno di un dibattito sulla democrazia, sia – soprattutto – dal punto di vista dell’insegnamento di Nichiren Daishonin.
Dal complesso discorso che nel corso dei secoli ha permesso il continuo approfondimento del ruolo della democrazia, si potrebbe estrarre la definizione minima di democrazia come “metodo per prendere decisioni collettive”.
Un gruppo si può definire democratico quando vengono rispettate due regole: a) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente b) la decisione viene presa dopo una libera discussione.
Le difficoltà si presentano quando una democrazia politica non riesce a trasformarsi in democrazia sociale e abbandona i suoi valori fondamentali. «Quando parliamo di democrazia – scriveva il filosofo Norberto Bobbio – non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita. Nella democrazia siamo impegnati non soltanto come cittadini aventi diritti e doveri, ma anche come esseri umani che debbono ispirarsi a un certo modo di vivere e comportarsi con se stessi e con gli altri».
Le otto puntate precedenti di questa serie dedicata alla comunità buddista avevano lo scopo di rispondere ai quesiti iniziali chiarendo che la vita di un sangha poggia sulla visione buddista della vita universale e non su un sistema rappresentativo così come lo conosciamo noi.
La visione del presidente Toda
Queste stesse domande furono poste al presidente Toda nell’immediato dopoguerra. «I princìpi fondamentali della democrazia – rispose a un giovane – sono la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza: li condivido nel modo più assoluto. Tuttavia, alla luce dell’insegnamento di Nichiren Daishonin, questi princìpi esprimono solo una parte della verità». Toda intendeva dire che i sistemi democratici hanno il limite di evidenziare solo aspetti parziali della vita e quindi non tengono conto della Legge di causa ed effetto, dell’interdipendenza di tutti gli esseri viventi, delle tre esistenze di passato, presente e futuro, della non-dualità di corpo e mente e, soprattutto, della suprema santità della vita. Princìpi questi sui quali si fonda invece la struttura buddista del sangha. «Ecco allora che – continua Toda – sebbene la democrazia oggi sostenga i princìpi di libertà e uguaglianza, si tratta in realtà di una interpretazione superficiale di questi concetti» (cfr. RU, 2, 30).
Perché il sangha Soka Gakkai è organizzato?
«Le religioni – scrive Daisaku Ikeda nel suo dialogo col sociologo Brian Wilson – derivano gran parte della loro influenza dall’insegnare come raggiungere l’armonia con le origini dell’universo. La parola religione ha un’etimologia latina e significa “legare di nuovo” [religo], ciò significa ri-stabilire legami con la causa ultima. Il carattere cinese con cui è scritta la parola giapponese per religione, shukyo, significa “insegnare l’origine delle cose” […]. È vero che alcuni leader molto spirituali hanno mostrato forti resistenze alla forma organizzativa. È invece interessante notare come il Buddismo l’accolga di buon grado. Infatti l’Ordine, o sangha, il corpo organizzato di monaci e fedeli, è annoverato tra i tre tesori ai quali tutti i buddisti professano fede. Questo accade perché il Buddismo è maggiormente interessato alla crescita dell’individuo in questa esistenza e a contribuire al benessere di tutta la società. Per questa ragione il Buddismo accoglie, invece di rifiutare, l’elemento organizzativo».
Lo scopo fondamentale della comunità buddista Soka Gakkai è quello di trasmettere a ogni suo membro la pratica corretta dell’insegnamento di Nichiren Daishonin in modo da realizzare la pace mondiale (kosen-rufu). Per questo motivo il nostro sangha non può abbracciare una forma di “democrazia rappresentativa” attraverso la quale la comunità è gestita da membri “eletti” da altri membri. Non dimentichiamo che il presidente Toda aveva pensato a una struttura che funzionasse come un organismo vivente.
In un organismo vivente possiamo individuare due aspetti fondamentali: l’assoluta importanza di ogni singola funzione e l’obiettivo comune di tutte le funzioni, cioè il mantenimento ottimale della vita. La “democrazia” di un organismo vivente si bilancia in questo modo. Il Budda originale Nichiren Daishonin si riferisce ai due medesimi aspetti della vita quando spiega come debbano unirsi in comunità i suoi discepoli: «In generale che i discepoli di Nichiren, preti o laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi, stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. In ciò consiste il vero scopo della propagazione di Nichiren. Se è così anche il grande desiderio di un’ampia propagazione potrà realizzarsi. Ma se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi, stessa mente”, sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190).
«L’insegnamento buddista – scrive sensei – attribuisce una grande importanza al senso di gratitudine: gratitudine verso i genitori, il maestro, la società e tutto il genere umano. Esso considera la nostra esistenza inseparabile dalle altre forme di vita e ci insegna a essere grati per l’esistenza delle altre persone come per la nostra. Il principio di itai doshin si basa su questo elemento. La società in cui viviamo è pervasa di antagonismo ed egoismo, e piena di persone che vedono soltanto le differenze che esistono tra loro. Dobbiamo saper riconoscere questa realtà. C’è però una forza capace di superare tutti gli ostacoli e di creare una società in cui prevale la vera umanità, nonostante la realtà che ci circonda: questa forza siamo noi. Inseparabili, secondo lo spirito di itai doshin, dobbiamo procedere verso il compimento della grande missione affidataci da Nichiren Daishonin. Il Gohonzon e il Gosho sono la base su cui poggia la nostra unità. Le persone che seguono solamente le proprie opinioni e i propri istinti personali saranno alla fine in contraddizione con loro stesse (divise nel corpo e nella mente) e cadranno in un vortice di lamentele e di scontentezza, di odio e gelosia. Dove invece prevale lo spirito di itai doshin, ognuno saprà riconoscere le battaglie che gli altri, ciascuno secondo le proprie capacità, stanno combattendo. Risulterà così chiaro come ogni membro, assumendosi le responsabilità che gli competono, contribuisce alla crescita graduale dell’intero movimento, nonché al proprio sviluppo» (cfr. La vera entità della vita, lezioni sugli scritti di Daishonin, esperia, Milano, 2005, pag. 121).
Conclusioni in cammino
Il tema che si sta affrontando è in costante divenire e, per adesso, le uniche conclusioni sono quelle che Ikeda scrive nella Nuova rivoluzione umana: «Ovviamente era importante che la Soka Gakkai agisse in accordo con i princìpi democratici, e in effetti essa aveva fatto costanti progressi in quella direzione. Tuttavia i fondamenti della fede non possono essere modificati sulla base del consenso o delle opinioni sociali. Per fare un esempio, anche se il mondo intero dovesse negare che Nam-myoho-renge-kyo è la Legge suprema dell’universo, sarebbe un grave errore accettare una tale affermazione. Allo stesso modo, la relazione maestro e discepolo, che costituisce l’essenza del Buddismo, non può essere giudicata sulla base delle comuni regole e norme sociali. […] La democrazia si fonda sulla regola della maggioranza, ma il regno della fede non è retto da tale principio. E sebbene le norme sociali siano un’espressione delle tendenze e dell’orientamento generali dei tempi, sarebbe un terribile errore attribuire loro un valore assoluto. […] Chi dubita della validità del mondo della fede, sta andando incontro a morte spirituale» (NRU, 18, 32).
Il sangha, la comunità buddista