Cosa accade al sangha dopo la morte di Nikko e Nichimoku Shonin? Abbandoni e momentanei recuperi della dottrina originale del Daishonin si susseguono fino all’avvento di Nichikan, il grande riformatore che nella prima metà del XVIII secolo ripristinò lo studio degli insegnamenti e si impegnò a far crescere nuovi discepoli
Non esistono resoconti sulla vita laica del sangha dopo la morte di Nikko Shonin e Nichimoku Shonin. Conosciamo però le cronache della scuola Fuji: una lunga serie di vicende che evidenziano l’abbandono dell’insegnamento del Daishonin da parte del clero, con momentanei ritorni alla dottrina originale. Si può comunque dedurre quanto grande fosse tra i credenti laici la confusione sulla pratica buddista. I cinque monaci anziani erano ormai tornati al Tendai e avevano bruciato tutti gli scritti del Daishonin redatti in kana, il sistema fonetico del popolo. E Nichiren non era più riconosciuto come Budda originale.
Nel 1333 il terzo patriarca Nichimoku morì nella neve mentre viaggiava verso Kyoto per inoltrare le rimostranze buddiste all’imperatore. Uno dei suoi discepoli, Nichigo, rivendicò la successione in contrasto col quarto patriarca Nichido, perciò il sangha si spaccò in due creando un conflitto che sarebbe durato settantadue anni. Il sangha si divise addirittura sulla struttura del Gongyo: un monaco, Nichidai, sosteneva che l’insegnamento teorico e quello essenziale del Sutra del Loto avessero la stessa profondità; un’idea notevolmente differente dalla concezione del Daishonin. Nichido affermava giustamente che, per quanto il capitolo “Espedienti” (Hoben) fosse inferiore al capitolo “Durata della vita del Tathagata” (Juryo), doveva essere recitato per scartarne il significato letterale e interpretarlo alla luce del capitolo “Durata della vita”.
Lo spirito di itai doshin, essenziale alla propagazione, era davvero lontano.
All’inizio del quindicesimo secolo appariva chiara la necessità di una spinta riformatrice. Il nono patriarca Nichiu si incaricò di realizzare il “ritorno all’ortodossia”: egli comprese che nella scuola Fuji si era persa la linfa vitale dell’insegnamento di Nichiren, cioè il conseguimento della Buddità nella forma presente e la propagazione della Legge. Constatò anche la scomparsa dello spirito della propagazione e della confutazione delle false dottrine. Si dedicò quindi alla propagazione assentandosi per lunghi periodi dal Taiseki-ji e spingendosi fino al nord del Giappone. Approfittando della sua assenza, il monaco incaricato dei servizi di guardia, d’accordo con i monaci anziani, vendette il Taiseki-ji a un signore della zona, per un’esigua somma. Il Taiseki-ji cambiò proprietario e divenne, per sei anni, luogo di altri culti. Al suo ritorno, Nichiu per prima cosa espulse i monaci colpevoli e ricomprò il Taiseki-ji.
Ultimo stratagemma monacale di questo periodo fu il concetto di “cuore della Legge” (hokon) per descrivere la trasmissione della Legge da un patriarca all’altro, come se una sorta di “entità spirituale” passasse durante il trasferimento della carica, come “acqua versata da un recipiente all’altro”, permettendo così al successore di raggiungere subito l’Illuminazione.
Ma il Gosho afferma: «Nichiren si sforzò di risvegliare tutti gli abitanti del Giappone alla fede nel Sutra del Loto, affinché potessero loro stessi condividere questa eredità e conseguire la Buddità» (Gosho Zenshu, 1337). Il “cuore della Legge” è un’invenzione esoterica dei monaci volta a creare sui credenti laici un’autorità maggiore venata di superstizione.
Nel 1718 Nichikan Shonin – che iscrisse il Gohonzon davanti al quale i membri della Soka Gakkai oggi recitano Daimoku – venne nominato ventiseiesimo patriarca. Consapevole della confusione dottrinale, ripristinò all’interno della scuola lo studio degli insegnamenti, impegnandosi a far crescere nuovi discepoli. Pur essendo proibito il dibattito religioso, Nichikan non si sottrasse al confronto scritto con altre correnti buddiste, sottolineando anche l’importanza della propagazione: «Le menti di coloro che dimenticano i quattro princìpi fondamentali e la pratica di shakubuku – scrisse – sono simili a quelle di coloro che disprezzano la Legge». Il coraggio di Nichikan ispirerà il primo consistente movimento laico di propagazione.
A Kanazawa, nei pressi di Nagano, molti laici cominciarono a praticare grazie a Fukuhara Akifusa, che aveva approfondito la fede sotto la sua guida.
L’area di propagazione si estese fino a regioni lontane dai templi della scuola Fuji. Nel 1726, grazie a questo movimento, a Kanazawa furono convertite dodicimila persone.
Nichikan morì il 19 agosto 1726 mentre recitava Daimoku. Il giorno prima aveva composto la sua ultima poesia: «Eterni sono l’acqua e il vento, uguali il Budda e il comune mortale. Fusi sono l’universo e la mia vita che serenamente procede. Il fiore della mia vita ora appassisce nell’Ultimo giorno della Legge eppure proviene dal seme di un passato senza inizio».
Ma prima di arrivare al 1930 – data della fondazione della Soka Gakkai e dell’inizio della propagazione mondiale – il sangha del Daishonin doveva passare ancora attraverso grandi difficoltà.