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25 novembre: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:10

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25 novembre: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita dall’ONU nel 1999 e celebrata ogni anno il 25 novembre, serve a ricordarci che la violenza di genere è purtroppo ancora una realtà diffusa che dobbiamo assolutamente eliminare se vogliamo costruire una società pacifica in cui i diritti umani vengano rispettati

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La violenza contro le donne, le ragazze e le bambine è una piaga sociale, un problema che pervade il pianeta, e non solo da oggi, storicamente basato sulla discriminazione di genere: una violazione dei diritti umani, un fenomeno che si è dimostrato trasversale a culture e società diverse in tutto il mondo.
Il Buddismo considera il rispetto della dignità della vita di ogni persona come il principio fondamentale.
«Le vittime di violenza – scrive il presidente Ikeda – sono ferite nel profondo dello spirito, così come nel fisico. Esse perdono la fiducia nella propria umanità e spesso si sentono macchiate nella dignità, come se le loro esistenze fossero state annullate. In caso di violenza, vi prego di ricordare che, qualsiasi cosa accada, il vostro valore come esseri umani non cambierà. Fate appello a tutte le vostre forze» (In cammino con i giovani, Esperia, pag. 110).
Bisogna prima di tutto avere chiara la radice della violenza: la discriminazione e il radicamento di stereotipi femminili in tutti gli ambiti, da quello privato a quello sociale, politico, ovunque.
Le basi della prevenzione della violenza poggiano su aspetti educativi e culturali. Per questo l’educazione è fondamentale.
Occorre una società in cui prevalga un approccio orientato alla cura e al rispetto, in cui la libertà delle donne sia rispettata senza se e senza ma. Essere protagoniste è necessario per ispirare e guidare l’affermazione di diritti umani ancora troppo spesso violati e di valori che riconoscano la dignità a tutte e tutti.
Ne abbiamo parlato con la presidente del Telefono Rosa, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, nell’intervista a seguire.

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Focus – Intervista

Educare le giovani generazioni per eliminare la violenza di genere

Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente dell’Associazione nazionale delle volontarie del Telefono Rosa ONLUS

Che cosa significa per lei la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, e che tipo di messaggio vorrebbe trasmettere in questa occasione?

Il 25 novembre e l’8 marzo sono occasioni importanti perché tutti parlano della violenza sulle donne, ma non si può parlare della violenza solo due giorni l’anno! Dovremmo prendere atto che la violenza è una piaga sociale di cui dobbiamo occuparci ogni giorno, ed è importante parlarne con tutti, ma soprattutto con i giovani.
Come Telefono Rosa, per il 25 novembre abbiamo affittato il Teatro Quirino per incontrare 800 ragazzi e ragazze della Regione Lazio, e in più si collegheranno circa 4.000 ragazzi delle scuole di Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. Sono diciotto anni che portiamo avanti questo progetto: tra il 25 novembre e l’8 marzo organizziamo incontri con gli studenti, di persona o da remoto, per spiegare loro le varie forme di violenza – fisica, economica, lo stalking – a cui assistono o che loro stessi mettono in atto, perché purtroppo sappiamo bene quante violenze vengono inflitte nella scuola alle persone più fragili. Noi chiediamo loro di girare un video con il telefonino, in cui rappresentare o denunciare una particolare forma di violenza, e per l’8 marzo organizziamo un incontro finale dove vengono proiettati e premiati i video più riusciti.
Cerchiamo di organizzare molte iniziative di sensibilizzazione tra i giovani, perché la violenza è una questione culturale e se non interveniamo sui giovani non riusciremo mai a estirparla.

Quali sono le cause principali della violenza di genere?

La violenza di genere affonda le sue radici nella mancanza di cultura del rispetto dei diritti umani. C’è una mancanza di cultura atavica, non solo in Italia. Sto portando avanti un progetto per conto della Comunità europea per cui mi confronto con le realtà della Romania, Polonia, Grecia, Spagna e Belgio, e devo prendere atto che anche in questi paesi c’è una notevole violenza nei confronti della donna che si verifica all’interno della famiglia, ma anche nel posto di lavoro e nelle scuole.

Come si può prevenire questa forma di violenza?

Con il lockdown abbiamo assistito a violenze inaudite nei confronti delle donne perché con le famiglie costrette in casa 24 ore su 24, le persone si sono rivelate spesso violente, e molte donne ci hanno chiesto aiuto, a volte chiudendosi in bagno… Abbiamo cercato di dare loro aiuto e sostegno psicologico da remoto. Ecco, questo è stato un campanello d’allarme che ci ha spinte a chiedere alle istituzioni un piano organico di preparazione all’interno della scuola, e fin dalla più tenera età, per aiutare i bambini e le bambine a capire cos’è la violenza di genere e cosa significa il rispetto dell’altro.
Ad esempio, abbiamo realizzato un progetto in una scuola materna a Roma che ha dato ottimi risultati, perché abbiamo raggiunto gli insegnanti con un corso ma, cosa ancora più importante, abbiamo potuto raggiungere i genitori che sono propensi ad ascoltarci se non altro perché vogliono sapere che cosa diciamo ai loro figli, almeno finché sono piccoli… Non possiamo demandare tutto alla scuola perché anche l’educazione all’interno della famiglia, da parte dei genitori, deve essere improntata alla parità. Le ragazze domandano ad esempio: «Perché come rientro a casa mia madre mi chiede di darle una mano a far partire la lavatrice e non lo chiede a mio fratello?».
È la verità, noi mamme tendiamo a chiedere alle nostre figlie questo tipo di collaborazione, che dovremmo chiedere in ugual misura ai figli maschi, perché entrambi debbono concorrere all’andamento della casa. Ecco perché dico che è importante intervenire nella scuola, ma anche sulle famiglie.

Alla luce della sua lunga esperienza di attivista, che cosa è cambiato nell’atteggiamento delle donne e degli uomini riguardo alla violenza?

Nel 1988 abbiamo fondato il Telefono Rosa per condurre un’indagine sulla violenza all’interno delle famiglie, con l’intento di chiuderlo dopo 3–4 mesi, a lavoro concluso. Ma poi ci siamo accorte che purtroppo le disparità tra uomo e donna e la violenza erano talmente tante che abbiamo continuato.
Cos’è cambiato in questi trentaquattro anni? Devo dire che i media sono stati un veicolo importantissimo, ma anche la scuola. Abbiamo lavorato per rendere consapevoli le donne che non sono sole, perché generalmente le donne che subiscono violenza vengono isolate dal violento e quindi tendono a non denunciare, a non informarsi, restano tagliate fuori… In questi anni abbiamo cercato di far capire loro l’importanza di denunciare, l’importanza delle associazioni. Sono state approvate tante leggi, sono state create case rifugio, case di accoglienza, case di semi-autonomia, affinché le donne che decidono di intraprendere un percorso siano consapevoli di non essere sole, che hanno vicino le associazioni e le istituzioni.
Tuttavia mancava un tassello: cercare di raggiungere anche gli uomini violenti perché comprendano cosa significa la violenza, e finalmente quest’anno per la prima volta è stato stabilito un piano affinché gli uomini che fanno violenza possano accedere ai centri e intraprendere dei percorsi, anche all’interno delle carceri o in caso di arresto domiciliare… Tuttavia mi sembra che ancora non ci sia consapevolezza, né da parte degli avvocati né da parte degli uomini violenti, riguardo ai benefici che avrebbero da questo tipo di percorso. Su questo c’è ancora molto da lavorare.

Perché tante donne hanno ancora resistenza a denunciare?

Una caratteristica della violenza all’interno delle mura domestiche è il fatto che il violento – lo ripeto perché è un aspetto importantissimo – cerca di isolare la vittima che si sente sola e in balìa della persona che le fa violenza, fisica ma anche psicologica, quindi non è più lucida, non sa che c’è la possibilità di uscire da quel cerchio di fuoco, è impaurita e non ha una visione chiara dei passi che deve fare e di ciò che l’aspetta in futuro. Per questo non mi stanco di ripetere alle donne che esistono le associazioni, chiedete aiuto perché non sarete sole!
Ricordo che quando abbiamo aperto il Telefono Rosa spesso le donne vittime di violenza si sentivano dire, anche da parte delle forze dell’ordine: «Tuo marito in fin dei conti è il padre dei tuoi figli, cerca di sopportare…» e persino le mamme, le sorelle, le amiche dicevano che i panni sporchi è meglio lavarli in famiglia, che «con il tempo ci si abitua…». Ecco, oggi invece ci capita di accogliere delle donne accompagnate dal padre oppure dal fratello, e questo è importantissimo perché è evidente che il soggetto che accompagna la donna ha capito che cos’è la violenza.

Che ruolo possono avere i mass media?

I media hanno un ruolo molto importante perché fanno conoscere a un numero notevole di donne come difendersi dal violento e quali sono le leggi, le norme che regolano la vita comune. Noi usiamo molto i social, ma non tutte le donne sono ancora preparate a utilizzarli.
Inoltre cerchiamo di entrare nelle scuole affinché siano i giovanissimi a trasmettere questo messaggio alle loro mamme e ai loro padri, in questo senso conto molto di più sui bambini che sui ragazzi grandi, perché quando tornano a casa riferiscono ai genitori quello che hanno ascoltato. Spesso assistiamo a sentenze dei tribunali che gridano vendetta e io mi arrabbio molto perché sono messaggi negativi che vengono mandati a tutta la società, sono messaggi che destabilizzano la parte offesa e incoraggiano la parte violenta.

Nel Buddismo il rispetto della dignità della vita è centrale. C’è un messaggio in particolare che vuole trasmettere ai giovani su questo tema?

Dobbiamo concentrarci sul rispetto, il rispetto è una cosa dovuta alla donna.
Se partiamo dal concetto che uomo e donna sono persone, il rispetto deve essere verso ogni persona. Purtroppo anche tra le ragazze serpeggia la violenza, anche nelle scuole alcune partecipano ad atti di violenza nei confronti dei più deboli. Il rispetto si deve a tutti, tanto più alle persone che hanno meno capacità di difendersi e di affrontare la vita comune.
Alle ragazze dico: non fatevi assoggettare, assolutamente! Se la persona con cui uscite pretende di leggere il vostro cellulare non è per affetto, siatene certe, non ne ha nessun diritto. Non lo deve fare e vi prego di fare particolare attenzione all’utilizzo dei telefonini.
Vi racconto un episodio recente: una studentessa è andata in un centro commerciale con la madre e mentre si misurava dei pantaloni si è accorta che dal camerino a fianco, sotto, spuntava il telefonino di un ragazzo che la stava filmando. La ragazza si è ovviamente risentita, ha chiamato la madre, ma nessuno dei commessi è intervenuto. Si sono dovute difendere da sole!
Anche i carabinieri hanno cercato di convincere la ragazza a non denunciare, perché “non sarebbe servito a niente”.
Quelle foto, quei filmati vengono venduti e una volta entrati in circolazione non li puoi più fermare.
Allora dico a tutte le ragazze: fate attenzione, e se succede qualcosa andate a denunciare e pretendete che la denuncia ci sia, perché alla fine sarà un alto numero statistico che ci consentirà di intervenire.
La solidarietà, ecco quello che manca oggi. Nessuno interviene nel momento in cui vedi che una persona ha bisogno, e questo è terribile.

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Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa Onlus

L’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa Onlus nasce a Roma nel febbraio 1988, quando tre donne decidono di portare allo scoperto il fenomeno della violenza sommersa, nascosta tra le mura domestiche.

Oggi l’Associazione è presente in tutto il territorio nazionale.
La Rete Nazionale dei Telefoni Rosa per aiutare le vittime segue un piano organico e omogeneo attuando le medesime linee guida, portate avanti dalla sede di Roma attraverso la sua trentennale esperienza.
L’obiettivo dell’Associazione è sostenere e tutelare le donne vittime di violenza e i/le loro figli/e minori. Al centralino del Telefono Rosa, attivo 24 ore su 24, rispondono le volontarie offrendo alle donne la possibilità di ricevere gratuitamente ascolto, accoglienza, sicurezza e protezione.

Per saperne di più www.telefonorosa.it

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Violenza sulle donne, 10 modi per combatterla

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, UN Women, l’ente sovranazionale delle Nazioni Unite che si occupa della tutela e dell’empowerment femminile, ogni anno da trent’anni promuove la campagna “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” (25 novembre – 10 dicembre), unendosi a vittime e attiviste per far luce sulla necessità di finanziamenti, servizi essenziali, prevenzione e dati che possano dar vita a soluzioni più efficaci.
Cosa può fare ognuno di noi per cercare di porre fine alla violenza sulle donne in modo sicuro e di impatto? UN Women ha stilato un decalogo per cui tutti possiamo trasformarci da semplici cittadini ad attivisti. Perché la fine della violenza sulle donne riguarda tutti, non solo le donne

1. Ascoltiamo e crediamo alle vittime
Quando una donna condivide la sua storia di violenza, fa il primo passo per interrompere il ciclo di abusi. Sta a tutti noi darle lo spazio sicuro di cui ha bisogno per parlare ed essere ascoltata. È importante ricordare che quando si discutono casi di violenza sessuale, la sobrietà, i vestiti e la sessualità di una vittima sono irrilevanti. L’autore è l’unico colpevole di aggressione e deve assumersene da solo la piena responsabilità.

2. Educhiamo le future generazioni e impariamo da loro
Gli esempi che diamo alle nuove generazioni modellano il modo in cui pensano al genere, al rispetto e ai diritti umani. Evidenziamo gli stereotipi che i bambini incontrano costantemente, sui media, a scuola, nella vita, e insegniamo loro che va bene essere diversi. Incoraggiamo una cultura dell’accettazione e dell’accoglienza. Parliamo con loro di consenso, autonomia corporea e responsabilità, e ascoltiamo anche quello che hanno da dire sulla loro esperienza del mondo.
Educhiamoli sin da piccoli ai diritti delle donne.

3. Chiediamo risposte e servizi adeguati allo scopo
I servizi per le vittime di violenza di genere sono essenziali. Ciò significa che case rifugio, centri antiviolenza, numeri verdi, servizi di consulenza devono essere facilmente reperibili e disponibili per chi ne ha bisogno, anche e soprattutto ora, durante la pandemia di coronavirus.

4. Comprendiamo cos’è il consenso
Frasi come «Mi sembrava che ci stesse» o «Chiaramente lo voleva» o «Ma si sa, è un uomo» tentano di offuscare i confini sul consenso sessuale, attribuendo la colpa alle vittime e fornendo un alibi agli autori dei crimini che hanno commesso.

5. Riconosciamo i segnali di abuso
Esistono molte forme di abuso e tutte possono avere gravi effetti fisici ed emotivi. Per citare le più subdole: il partner controlla il cellulare, impedisce alla compagna di uscire senza di lui o di vedere le amiche, pretende che lei risponda sempre e subito a ogni sua chiamata o messaggio, non le permette di avere un’indipendenza economica, la insulta per l’aspetto fisico o quello emotivo. Se sei vittima di uno o più di questi comportamenti o conosci qualcuno che li subisce, non aspettare un minuto di più e denuncia: meriti sicurezza e sostegno.

6. Sensibilizziamo, anche sui social
La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani che si perpetua da decenni. È pervasiva, ma non inevitabile, a meno che non restiamo in silenzio. Mostriamo la nostra solidarietà alle vittime e la nostra posizione per i diritti delle donne, scrivendo post sull’argomento, condividendo sui social.

7. Prendiamo le distanze dalla cultura dello stupro
Nella cultura dello stupro è l’ambiente sociale che consente di normalizzare e giustificare la violenza sessuale, alimentata dalle persistenti disuguaglianze di genere e dagli atteggiamenti riguardo al genere e alla sessualità. Denominarlo è il primo passo per smantellare la cultura dello stupro. Ogni giorno abbiamo l’opportunità di esaminare i nostri comportamenti e le nostre convinzioni alla ricerca di pregiudizi che consentono alla cultura dello stupro di continuare. Partiamo da noi.

8. Sosteniamo le organizzazioni femminili
Sosteniamo le organizzazioni locali e nazionali che danno potere alle donne, amplificano la loro voce, supportano le vittime e promuovono l’accettazione di tutte le identità di genere e le sessualità.

9. Riteniamoci reciprocamente responsabili
La violenza può assumere molte forme, comprese le molestie sessuali sul posto di lavoro o negli spazi pubblici. Prendiamo una posizione, richiamandola ad alta voce quando ne notiamo una: commenti sessuali inappropriati, battute sessiste, fischi di approvazione non vanno mai bene. Creiamo un ambiente più sicuro per tutti, invitando i nostri conoscenti a riflettere sul proprio comportamento e parlando chiaramente quando qualcuno supera il limite, oppure chiedendo l’aiuto di altri se non ci sentiamo al sicuro. Come sempre, ascoltiamo le vittime e assicuriamoci che abbiano il supporto di cui hanno bisogno.

10. Conosciamo i dati e chiediamone di più
Per combattere efficacemente la violenza di genere, dobbiamo comprendere la questione.
La raccolta di dati pertinenti è fondamentale per attuare misure di prevenzione efficaci e fornire ai sopravvissuti il giusto supporto.
Mediante azioni condivise, possiamo chiedere al governo di investire nella raccolta di dati sulla violenza di genere (a questo link, un’opportunità di farlo: www.data.unwomen.org).

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Un gesto per segnalare la violenza

Un gesto che vale come urgente richiesta d’aiuto che tutti dobbiamo saper riconoscere e replicare se ce ne fosse bisogno: è il Signal for Help che l’associazione Canadian Women’s Foundation ha lanciato nell’aprile 2020 in piena pandemia e che sta diventando piano piano popolare in tutto il mondo.

Un modo silenzioso per lanciare l’allarme di essere vittima di una violenza domestica, segnala il pericolo in corso e avvisa l’interlocutore che a sua volta dovrà rivolgersi al numero anti-violenza 1522, gratuito e da rete fissa o mobile.

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