Nonostante l’ansia e la delusione, Giulia ogni volta si rialza e davanti al Gohonzon decide di vincere. Continuando giorno dopo giorno sulla strada della sua rivoluzione umana, alla fine riesce a realizzare il sogno di lavorare a un suo progetto europeo radicato nei princìpi del Buddismo e in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030
Pratico dal 2004 e aver conosciuto questo Buddismo è stata senz’altro l’esperienza più rivoluzionaria della mia vita. Una rivoluzione silente, a volte, ma fatta anche di vittorie esplosive, come quella che sto per raccontarvi.
Ricordo perfettamente il 3 maggio dell’anno scorso, era una primavera bellissima, eravamo chiusi in casa da quasi due mesi, in pieno lockdown, e io stavo sperimentando un senso di fallimento sul lavoro, di angoscia personale e professionale mai provati prima. Avevo un lavoro bello e qualificato sulla carta, ma frustrante e faticoso nella realtà.
Erano sette anni ormai, da quando avevo finito il dottorato, che provavo a fare domande e colloqui, a scrivere progetti di ricerca per riuscire a tornare nell’ambito a cui sentivo di appartenere, quello della ricerca, ma le porte si chiudevano una dopo l’altra, le valutazioni erano sempre buone ma le risposte negative. E io cadevo, ma ogni volta mi rialzavo recitando Daimoku davanti al Gohonzon.
L’anno scorso, il 3 maggio, pervasa dal senso di fallimento e dalla mancanza di speranza, ho deciso di scrivere comunque a Sensei per esprimergli la mia gratitudine per tutto ciò che avevo imparato e conseguito grazie alla pratica buddista, perché volevo puntare lo sguardo oltre il mio senso di sconfitta e immobilità. Gli ho raccontato della mia famiglia e delle mie figlie, della mia casa, dell’attività e anche del mio lavoro tanto detestato, che comunque continuavo a fare al meglio, con dedizione e senso di responsabilità.
Tutte le tappe del mio percorso sono sempre state costellate dall’offerta per kosen-rufu perché volevo che ogni mia esperienza, anche negativa, fosse comunque una causa di vittoria.
A febbraio del 2020, per l’ennesima volta, non ho passato per un pelo la selezione per un progetto europeo a cui tenevo enormemente, un progetto tra l’altro di storia ambientale, costruito sugli obiettivi dell’Agenda 2030 e radicato nei princìpi buddisti di esho funi e interdipendenza. La delusione è stata fortissima, non avevo vinto per uno 0,50 di punteggio!
Mi sono detta che quello scarto non poteva essere solo legato a qualche difetto del progetto, quanto piuttosto a un altro passo da fare nella mia fede.
Non avevo idea di cosa potesse significare, ma ho studiato e praticato tanto per colmare quella distanza dalla vittoria, e soprattutto ho iniziato a fare Daimoku non tanto per raggiungere l’obiettivo, quanto perché emergesse il mio vero io, per fare il mio hosshaku kempon, per andare sicura verso me stessa. Leggevo spesso quel brano del Gosho che dice: «Perciò la preghiera del devoto del Sutra del Loto otterrà risposta come l’eco risponde al suono, come l’ombra accompagna il corpo, come la luna che si riflette sull’acqua limpida» (Sulle preghiere, RSND 1, 302), e praticavo per ritrovare quella naturalezza nella fede, per essere quell’acqua limpida in cui la luna piena della realizzazione si rispecchia.
Nel frattempo le cose sul lavoro sono precipitate, ho passato mesi terribili: alcuni cambiamenti organizzativi tiravano fuori il peggio di me e mi sono ritrovata immersa in un mondo di collera fino ad allora sconosciuto.
Non dormivo la notte per la rabbia e la frustrazione, e avevo veri e propri attacchi di panico quando andavo al lavoro. Ero stanchissima e sempre sotto pressione, mentre riemergevano anche seri problemi di salute. Recitavo Daimoku con le lacrime agli occhi per lavorare comunque al meglio e perché emergesse un successore per essere libera di andarmene.
Pur alzandomi alle 5 e mezza del mattino per andare a lavorare non ho mai trascurato la mia pratica mattutina, per mettere ogni giorno una causa di trasformazione del karma. A settembre ho coraggiosamente ripresentato il mio progetto, impugnando la spada della fede, con tutta me stessa, mettendo a tacere sia la paura del fallimento sia la vocina dentro di me che diceva che non avevo più l’età per una borsa di ricerca. Negli anni precedenti omettevo la data di nascita nel curriculum, perché mi sembrava di essere “fuori tempo massimo”, ma nel progetto di settembre la data di nascita c’era perché stavo recitando Daimoku per essere me stessa, perché dal Buddismo ho imparato che siamo noi che creiamo il tempo giusto per la nostra vita.
Mentre aspettavo i risultati della selezione avevo un vero e proprio terrore della disillusione.
Non avevo ancora il coraggio di crederci fino in fondo: e se avessi perso, come avrei potuto continuare ancora a mettermi obiettivi e a incoraggiare le persone? Nell’attività intanto ci stavamo impegnando per far nascere il nostro meraviglioso territorio Eridano, di cui sono fiera di fare parte e che – grazie alla responsabilità nel Gruppo donne – mi ha aiutata a costruire la forza di essere me stessa.
Il 2021 è l’Anno della speranza e della vittoria e Sensei ha scritto che se non c’è speranza, siamo noi che dobbiamo crearla (cfr. NR Selezione gennaio, 8). Praticavo e sentivo che dovevo tirare fuori un coraggio mai sperimentato prima, il coraggio della fede.
Scelgo di vincere o di perdere? Riesco con il mio Daimoku a bucare la realtà come “la freccia del generale Tigre di Pietra” (cfr. RSND, 1, 846)? Non potevo aspettare la realizzazione, dovevo decidere io di vincere, in prima persona, davanti al Gohonzon.
L’8 febbraio è arrivata la grande prova concreta: il progetto che sognavo da anni ha vinto la selezione ed è stato finanziato con una prestigiosa borsa “Marie Curie”!
Per i prossimi due anni lavorerò in due diverse università europee, mi dedicherò alla ricerca e guadagnerò più del doppio del mio attuale stipendio. Piena di gratitudine ho subito festeggiato questa vittoria con un’offerta per kosen-rufu. Non so dire quante volte sono caduta e mi sono rialzata in questo percorso e quanto è stato difficile, ogni volta, rimettermi con fiducia davanti al Gohonzon: in ogni caso è proprio vero che la perseveranza è la strada del Budda.
In questi mesi ho parlato con decine di donne per incoraggiarle sul lavoro e sono felice di poter dedicare questa grande vittoria a Sensei e a tutti i miei compagni di fede che mi hanno sempre incoraggiata e sostenuta.