Il 24 aprile 1979 Daisaku Ikeda annunciò le sue dimissioni dalla carica di terzo presidente della Soka Gakkai, una posizione che aveva ricoperto per diciannove anni. L’annuncio avvenne durante una riunione dei responsabili di prefettura presso il Centro culturale di Shinjuku, a Tokyo.
Nell’apprendere la notizia, del tutto inaspettata, i membri in Giappone e in tutto il mondo rimasero increduli e confusi.
Nel volume 30 de La nuova rivoluzione umana (pag. 55 e segg.), il maestro Ikeda racconta questi eventi spiegando in modo approfondito le motivazioni della sua decisione.
Il suo intento era innanzitutto di proteggere i membri della Soka Gakkai mettendo fine agli attacchi del clero della Nichiren Shoshu. Infatti, era innegabile che fossero stati i problemi con il clero a dare il via alla decisione di dimettersi. Tuttavia, il suo desiderio era di trasformare quelle dimissioni in una mossa positiva per il futuro.
Proprio mentre il ciclo delle Sette campane volgeva al termine, egli considerava quel momento come una nuova dinamica partenza della Soka Gakkai, «l’inizio di un nuovo, grande viaggio».
Da quel momento era sua intenzione dedicare ancora più energia a promuovere il movimento di kosen-rufu nel mondo, concentrandosi nelle attività di dialogo volte a promuovere la pace, la cultura e l’educazione.
Inoltre, intendeva dedicare sforzi ancora maggiori ai dialoghi interreligiosi per sviluppare la pace mondiale.
Un altro suo desiderio era poter trascorrere più tempo nell’incoraggiare i membri, in particolar modo andando a visitarli a casa, e far crescere successori. La sua maggiore preoccupazione era come passare il testimone alla generazione successiva.
A questo proposito, ne La nuova rivoluzione umana scrive:
«La vera prova per i discepoli non consiste nello sforzarsi mentre ricevono guide e istruzioni ogni giorno dal loro maestro. Quella è la fase dell’allenamento. I discepoli vengono messi davvero alla prova quando il loro maestro non è più direttamente alla guida. Quando il maestro fa un passo indietro, alcuni discepoli ne approfittano per fare ciò che vogliono e dimenticano lo spirito della Soka Gakkai. Qualcosa di simile accadde quando Toda si dimise da direttore generale. Voi non dovete essere quel tipo di discepoli. Alzatevi con determinazione al mio posto! Ognuno di voi deve diventare “Shin’ichi”!» (NRU, 30, 78).
Racconta inoltre:
«Mancava poco alle 22:00 quando Shin’ichi Yamamoto lasciò l’edificio del Seikyo Shimbun e si diresse verso casa.»
Il cielo era coperto di nuvole, che nascondevano la luna e le stelle. Un atto nel dramma della sua vita si era concluso. Pensandoci, fu sopraffatto da un’ondata di profonda emozione. Sua moglie Mineko lo stava aspettando sorridendo all’ingresso della loro casa. Dopo che fu entrato in casa e si fu seduto, lei gli versò una tazza di tè.
«Non sono più il presidente”, disse Shin’ichi. Lei sorrise e annuì: “Hai lavorato molto duramente per tutti questi anni. Sono solo felice che tu sia ancora in salute. Ora avrai il tempo di incontrare molte più persone. Puoi visitare i membri di tutto il mondo. Hai la tua libertà; ora puoi iniziare il vero lavoro”. Per Shin’ichi, fu come se un raggio di sole gli avesse illuminato il cuore.
Da quando sua moglie aveva designato il giorno della sua nomina a presidente “un funerale per la famiglia Yamamoto” erano passati diciannove anni, in cui lei lo aveva sostenuto con sincerità, lavorando al suo fianco. Lei sapeva che Shin’ichi ora era determinato a cominciare a viaggiare per la pace, mirando alla realizzazione di kosen rufu in tutto il mondo. Pieno di profonda gratitudine, Shin’ichi non poté che riconoscere ancora una volta quanto fosse meraviglioso avere una compagna che condivideva le sue lotte”» (NRU, 30, 79).