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24 agosto: l’inizio del mio viaggio di non dualità di maestro e discepolo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:30

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24 agosto: l’inizio del mio viaggio di non dualità di maestro e discepolo

Lo scopo del Buddismo è sostenere ogni persona verso la realizzazione di un’autentica felicità. Non si tratta solo di una pratica individuale volta al raggiungimento di una serenità slegata dalla realtà o di un semplice cambiamento di punto di vista sui problemi e gli avvenimenti della vita. Grazie al Buddismo e alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, possiamo far emergere un’enorme forza dalla nostra vita per affrontare le difficoltà e conquistare la felicità.

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Presentiamo un saggio inedito in cui il maestro Ikeda racconta del suo primo incontro con Josei Toda e di quando aderì alla Soka Gakkai nell’agosto del 1947

Dalla sofferenza sorge la forza e nasce la salute […] La sofferenza ci rende tenaci e ci rafforza» scrisse il poeta Herman Hesse (1877-1962).
Sono passati cinquantacinque anni da quando incontrai per la prima volta il maestro della mia vita, Josei Toda, a uno zadankai nel quartiere di Ota, la sera del 14 agosto 1947 (il saggio è del 2002, n.d.r.).
Quanta convinzione nelle sue parole! Quanto era logica e coerente la sua lezione sul trattato di Nichiren Daishonin Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese! Decisi immediatamente di diventare suo discepolo e da quel giorno il mio voto e il mio impegno per realizzare kosen-rufu con lo stesso spirito e la stessa dedizione del mio maestro divennero una passione che ardeva sempre più intensa nel mio cuore.

14 agosto: quella cerimonia solenne nella quale intrapresi il mio viaggio per realizzare kosen-rufu nel mondo è incisa indelebilmente nella mia vita.
Il mio maestro aprì la strada con coraggio verso il compimento del grande desiderio di kosen-rufu – che è il cuore stesso del Buddismo del Daishonin – e dopo aver conseguito lo scopo fondamentale della sua esistenza, fece ritorno con grande dignità al Picco dell’Aquila.
Per cinquantacinque anni, come discepolo di Josei Toda, ho lottato senza sosta per la causa del bene e sono stato bersagliato da innumerevoli attacchi e calunnie, proprio come insegna il Daishonin, ma sono andato avanti a testa alta, sullo stesso cammino di giustizia del mio maestro. Non mi sono mai fermato un solo giorno. E i miei compagni di fede hanno lottato al mio fianco con la stessa dedizione. Abbiamo lottato e abbiamo vinto. Non abbiamo rimpianti.
Vivo ogni giorno apprezzando come il più alto onore il fatto di essermi potuto unire al mio compassionevole maestro attraverso le tre esistenze di passato, presente e futuro.
E sono fiero di essere il suo diretto discepolo. Ho trionfato su tutto. Non sono stato sconfitto. Un discepolo deve vincere assolutamente. Questa è l’essenza del Buddismo di Nichiren Daishonin, l’essenza della Soka Gakkai e il cuore della non dualità di maestro e discepolo.

Il 24 agosto, l’anniversario del giorno in cui ho abbracciato la fede, è la data in cui rinnovo ogni volta la mia determinazione per kosen-rufu. Anche quest’anno mia moglie Kaneko e io, che siamo anche compagni di fede, abbiamo festeggiato questo anniversario in buona salute e con una determinazione ancora più forte.
Miei cari compagni che amo con tutto il cuore, che avete lottato insieme a me attraverso le più grandi difficoltà per il bene della Legge mistica! Pregando incessantemente per la salute, la vittoria e la felicità di ognuno di voi, miei eroici amici, ho coronato di vittoria questi cinquantacinque anni.
«Per vivere nel bene, cercate di farlo». Sono le profonde parole dello scrittore russo Lev Tolstoj (1828-1910).
Il 24 agosto 1947 era domenica e faceva molto caldo. Il viaggio da Ota al tempio di Suginami sembrò estremamente lungo per me che soffrivo di tubercolosi e di pleurite. Mi parve che la lettura di Gongyo e la recitazione del Daimoku durante la cerimonia di consegna del Gohonzon non finissero mai. E non essendo abituato a stare seduto sulle ginocchia così a lungo, sentivo le gambe intorpidite. Ho ancora un vivido ricordo del disagio fisico e delle complesse emozioni di quel giorno. Era proprio come cita il Daishonin nei suoi scritti: «Il superficiale è facile, ma il profondo è difficile. Il cuore di un coraggioso lascia il superficiale e cerca il profondo» (Sulla profezia del Budda, RSND, 1, 357). A quel tempo non avevo ancora una piena comprensione dei profondi insegnamenti del Buddismo e la mia famiglia era fortemente contraria alla mia decisione. Ma al di là di questi ostacoli superficiali, io mi sentivo profondamente attratto dalla personalità di Josei Toda. Egli credeva in me e diceva: «Forza! Non esitare! Sfida il tuo spirito di ricerca insieme a me! Studia e pratica con coraggio, come si addice  a un giovane!». E io, con l’intuito dei giovani, sentivo di poter seguire quell’uomo che era stato in carcere durante la guerra per la causa della pace e del Buddismo. In tal senso, il 24 agosto segnò il mio ingresso all’“università Toda”. Una vita dedita alla verità ha inizio dalla relazione maestro-discepolo.
A quello zadankai dove ci incontrammo per la prima volta, il signor Toda stava spiegando Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, un’opera che il Daishonin aveva sottoposto al governo militare il 16 luglio 1260, secondo il calendario lunare in uso in Giappone. Tuttavia, è interessante notare che secondo il calendario giuliano in uso a quell’epoca in Occidente, quella data corrisponde al 24 agosto 1260.
Quello stesso giorno, nel 1947, mi lanciai coraggiosamente nel movimento della Soka Gakkai per concretizzare l’ideale del Daishonin di “adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”, ovvero la realizzazione della pace e della felicità per tutta l’umanità sulla base dei princìpi del Buddismo.
Nichiren Daishonin scrive: «Se la propagate [la dottrina dei tremila regni in un singolo istante di vita], i demoni sorgeranno certamente. Se così non fosse, non ci sarebbe modo di sapere che questo è il vero insegnamento» (Lettera ai fratelli, RSND, 1, 446), e ancora: «Senza grandi difficoltà non esisterebbe il devoto del Sutra del Loto» (Una nave per attraversare il mare della sofferenza, RSND, 1, 29). Egli dichiara che il fatto di incontrare persecuzioni dimostra che stiamo seguendo l’insegnamento corretto. A meno che non incontriamo grandi ostacoli, non possiamo definirci autentici praticanti che si impegnano per propagare la Legge mistica.
Subito dopo aver presentato il suo trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese alle autorità del governo, il Daishonin dovette affrontare la persecuzione di Matsubagayatsu e l’anno seguente l’esilio a Izu. Successivamente subì la persecuzione di Komatsubara, la tentata esecuzione a Tatsunokuchi e il successivo esilio nell’isola di Sado. Infatti scrive: «Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ho subìto ripetute persecuzioni. Le persecuzioni minori sono troppo numerose per poterle enumerare, ma le persecuzioni maggiori sono quattro» (L’apertura degli occhi, RSND, 1, 213).
Nel Gosho La pratica dell’insegnamento del Budda il Daishonin scrive: «Dal giorno stesso in cui si ascolta questo sutra e si prende fede in esso, si dovrebbe essere assolutamente preparati ad affrontare la grande persecuzione dei tre tipi di nemici che adesso, dopo la morte del Budda, sarà sicuramente ancora più intensa» (RSND, 1, 346).
Poco dopo aver iniziato a praticare, queste parole del Daishonin mi colpirono con forza e permearono tutta la mia vita.
Presi una profonda determinazione, ero pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Ecco perché, anche adesso, non ho timore di calunnie e soprusi.
Non mi sono fatto sconfiggere dagli innumerevoli attacchi verbali né dagli insulti.
Durante la guerra il primo presidente della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi fu arrestato per le sue idee e in seguito morì in carcere. Il nostro secondo presidente Josei Toda rimase in prigione per due anni.
Entrambi sono meravigliosi esempi di cosa significa non lesinare la propria vita per il bene della Legge. I miei predecessori hanno superato serenamente le dure persecuzioni che li colpirono e hanno trionfato su di esse considerandole una conseguenza naturale per coloro che sostengono l’insegnamento corretto. In questo modo hanno scritto una storia gloriosa di altruistica dedizione alla Legge. La loro nobile vittoria illumina le loro vite per sempre. La loro eredità vive nel mio cuore come il gioiello splendente di un’invincibile determinazione a essere sempre vittoriosi.
Nel settembre 1948, a poco più di un anno dalla mia conversione, mi ritrovai a correre dal mio posto di lavoro a Ota, fino a quella che era la sede della Soka Gakkai a Nichi Kanda. Ero stato appena ammesso alla serie di lezioni di Toda sul Sutra del Loto. Spronando il mio corpo esausto ad avanzare mi dedicai anima e corpo ad approfondire la comprensione del Buddismo con lo spirito di ricerca tipico dei giovani.
Per quanti impegni avessi, non mancai nemmeno una lezione.
Non posso negare che gli insegnamenti impliciti nelle profondità del Sutra del Loto fossero difficili da capire, ma le lezioni infinitamente profonde e piene di convinzione di Toda mi elettrizzavano e mi commuovevano. Niente è più nobile che vivere in accordo con le proprie convinzioni, indipendentemente da ciò che gli altri dicono e dall’opinione della società.  E mentre ci avviamo verso un futuro sempre più difficile e incerto, è meraviglioso abbracciare una fede che ci permette di apprezzare il significato profondo della nostra vita e ci dà la forza di adempiere la nostra missione e responsabilità di realizzare la pace e la prosperità di tutta l’umanità.
La realtà storica è che le religioni più elevate di ogni tempo e luogo conducono a una fioritura di cultura e alla creazione della pace. Questa è una formula universale.
Nel nostro dialogo di trent’anni fa il grande storico britannico Arnold Toynbee (1889-1975) affermò: «Una religione futura che dia vita a una nuova civiltà deve poter fornire al genere umano i mezzi per affrontare e vincere i mali che minacciano la sua sopravvivenza» (Dialoghi. L’uomo deve scegliere, Bompiani, pag. 312). Quanto è vero! Disse anche che questo era il motivo per cui voleva incontrare me, che praticavo una religione di questo genere.
Le sue parole rimarranno per sempre nel mio cuore.

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