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14 agosto: il mio punto di partenza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:12

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14 agosto: il mio punto di partenza

Pubblichiamo un saggio in cui Daisaku Ikeda racconta del primo incontro con il suo maestro Josei Toda, avvenuto il 14 agosto 1947. All’epoca il giovane Ikeda aveva diciannove anni. Dieci giorni dopo, il 24 agosto, decise di entrare a far parte della Soka Gakkai

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Pubblichiamo un saggio in cui Daisaku Ikeda racconta del primo incontro con il suo maestro Josei Toda, avvenuto il 14 agosto 1947. All’epoca il giovane Ikeda aveva diciannove anni. Dieci giorni dopo, il 24 agosto, decise di entrare a far parte della Soka Gakkai

Quella del 14 agosto 1947 era una serata tranquilla. Le famiglie avevano già finito di cenare e in tutto il vicinato regnavano quiete e silenzio; si udivano solo i passi di un gruppo di persone che camminavano in fretta mentre faceva buio. Erano diretti a casa della famiglia Miyake, nel quartiere Ota, a Tokyo, per partecipare a una riunione della Soka Gakkai.
Come sono passati in fretta questi anni!
Fu il giorno fatidico della mia vita, il giorno nel quale promisi a Josei Toda di unirmi alla Soka Gakkai. E dieci giorni più tardi, il 24 agosto, intrapresi il cammino della fede.
Avevo diciannove anni quando avvenne quell’incontro cruciale e Toda, il mio maestro, mi aspettava come un padre gentile. Fu un momento solenne e senza tempo che abbracciava le tre esistenze di passato, presente e futuro. Era il giorno del voto di un discepolo, della mia promessa di diventare discepolo di Toda e dedicare la mia vita a kosen-rufu.
La riunione di quella calda sera di mezza estate, esattamente due anni dopo la fine della guerra, fu la rappresentazione vivente di come varie persone comuni avessero ritrovato speranza nella vita. Ma fuori, nelle strade prive di illuminazione, era buio pesto e molte zone del quartiere erano ancora costellate dalle macerie carbonizzate e spettrali lasciate dai bombardamenti.
I comuni cittadini di buon cuore, fra i quali vi erano state così tante vittime, continuavano a soffrire profondamente e io, pur essendo giovane, non riuscivo a smettere di chiedermi chi fosse il responsabile di tutto quel dolore.
Avevo la tubercolosi e alla fine della giornata una febbriciattola costante mi lasciava fiacco e spossato. Stavo cercando una stella polare, una bussola che mi desse direzione e speranza. Così mi fidai delle parole di un caro amico che mi aveva invitato a un incontro sulla “filosofia della vita” e, senza realmente capire di cosa si trattasse, mi recai nel luogo di riunione.
Credo di essere arrivato verso le otto di sera, visto che fuori era già completamente buio. Mentre mi toglievo le scarpe sulla soglia, dall’interno risuonò una voce animata, anche se un po’ roca. Era la prima volta che udivo la voce di Josei Toda. Stava tenendo una lezione su Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, il trattato in cui Nichiren Daishonin dichiara la sua filosofia per la realizzazione di una società pacifica. In seguito venni a sapere che faceva parte di una serie di lezioni su questo trattato che Toda aveva iniziato da poco e che stava portando avanti insieme ad altre lezioni sul Sutra del Loto fin dall’anno precedente.

La passione di Josei Toda
Durante quella riunione Toda pronunciò, con tutta la passione e la determinazione di cui era capace, un sonoro monito rivolto alla società. Era un ruggito di leone che proclamava l’essenza del Buddismo del Daishonin.
Nella sua lezione Toda non esponeva un Buddismo antiquato e ormai morto, bensì rivelava un grande cammino che avrebbe condotto a un futuro luminoso, un cammino colmo di fortissima convinzione e dinamismo.
Se il 15 agosto 1945 era stato il giorno in cui il Giappone aveva annunciato la sua sconfitta nella Seconda guerra mondiale, il 14 fu quello in cui aveva accettato formalmente la Dichiarazione di Potsdam con la quale le Forze alleate dettavano al Giappone le condizioni per la fine alla guerra. Perciò il 14 agosto di fatto sancisce il crollo effettivo del militarismo giapponese con la sua visione miope e totalmente chiusa al mondo esterno. Durante gli anni in cui fu al potere, il regime militarista giapponese oppresse e punì crudelmente i sostenitori della libertà e della pace, e tutte le persone che avevano idee basate su una visione corretta della vita.
Anche se il Giappone aveva arrogantemente invaso molti dei suoi vicini asiatici, ostentava un’aria di superiorità e attraverso la falsa propaganda che veniva diffusa proclamava che quelle vergognose azioni imperialiste in realtà facevano parte di una “guerra sacra” per liberare i fratelli asiatici dal colonialismo occidentale.
Una sorta di infantilismo immaturo era alla base di quegli atti folli e malvagi!

L’incontro tra Toda e Ikeda
In un paese ancora sofferente per i postumi di una sconfitta avvilente era destino che io incontrassi Toda proprio quel giorno, il 14 agosto, due anni dopo la fine della guerra. Io ero un giovane dall’ardente spirito di ricerca e Toda un pioniere, un leader che abbracciava una grande filosofia di pace e aveva intrapreso una battaglia cruciale per kosen-rufu, dando origine a un nuovo e vigoroso movimento popolare. Contemporaneamente, la sera stessa, una nuova nazione asiatica contava i minuti per sventolare la bandiera che avrebbe sancito la propria indipendenza. Infatti era la vigilia della Dichiarazione di indipendenza dell’India, la terra in cui era nato il Buddismo. In un discorso pronunciato davanti al Parlamento indiano a Nuova Delhi, nella tarda serata di quel 14 agosto, il primo presidente indiano Jawaharlal Nehru (1889-1964) disse: «Allo scoccare della mezzanotte, mentre il mondo dorme, l’India si risveglierà alla libertà e alla vita. C’è un momento che nella storia si verifica solo raramente, in cui si esce dal vecchio per entrare nel nuovo».
Mentre il popolo dell’India – che nei tempi antichi era chiamata “Terra della Luna” – apriva gli occhi sulla libertà, io incontravo per la prima volta la luce del Buddismo del sole, e la mia vita si risvegliava.

Qual è il modo corretto di vivere?
Alla fine della lezione Toda avviò un dialogo informale. Masticava caramelle al mentolo ed era assolutamente aperto e naturale. Non aveva niente di quell’atteggiamento condiscendente, tronfio e arrogante che caratterizzava molti leader religiosi e politici; era semplicemente se stesso. Anche se era il nostro primo incontro, mi sentii libero di porgli tutte le domande che avevo nel cuore. Così mi buttai e gli chiesi: «Signore, qual è il modo corretto di vivere?».
Quando era scoppiata la guerra io avevo tredici anni e quando finì ne avevo diciassette.
Il periodo più delicato della mia giovane vita era trascorso fra le nubi oscure della guerra. In più soffrivo di tubercolosi. La guerra mi minacciava dall’esterno e la tubercolosi dall’interno; così, in un modo o nell’altro, l’ombra della morte aleggiava sempre su di me. Poi, con la sconfitta del Giappone, la mia visione della vita e del mondo era andata totalmente in frantumi.
Qual era la vera strada per un essere umano? A cosa dovevo dedicare la mia vita? Toda mi diede una risposta chiara, piena di convinzione, senza nessuno di quei giochetti intellettuali che mirano a oscurare il vero punto della questione.
Ero stanco dell’atteggiamento di sufficienza e paternalismo col quale gli adulti si rivolgevano ai giovani, e quindi la sincerità di Toda mi toccò particolarmente.
Anch’io non potevo sopportare i politici e gli intellettuali che dopo aver tessuto le lodi della guerra, appena questa era finita si erano improvvisamente mutati in pacifisti convinti.
Il fatto che Toda fosse stato perseguitato dalle autorità militari e avesse trascorso due anni in prigione per le sue idee fu determinante nel farmi decidere di diventare suo discepolo.
Volevo essere una persona in grado di opporsi a qualsiasi guerra futura, anche se ciò avesse dovuto significare il carcere; volevo vivere da persona coraggiosa che non si piega davanti ad alcun tipo di oppressione. E cercavo una filosofia pratica che mi permettesse di diventare una persona del genere.

La relazione tra maestro e discepolo
Ero soltanto un giovane comune che cercava una strada nella vita. Sono convinto che, se ho potuto condurre una vita dedita al massimo bene, è proprio perché mi sono dedicato con tutto il cuore al sentiero di maestro e discepolo. In un discorso che tenni al Teachers College della Columbia University, negli Stati Uniti (giugno 1996), dichiarai, come se mi stessi rivolgendo a Toda: «Il novantotto per cento di ciò che sono ora l’ho imparato dal mio maestro». Quella di maestro e discepolo è una relazione fra esseri umani che non ha paragoni. Seguendo il cammino di maestro e discepolo possiamo migliorare noi stessi; in ciò risiede l’essenza dell’esistenza umana.
Vorrei trasmettere tutto ciò che possiedo ai miei giovani successori: vorrei affidare il futuro a loro.
Desidero che voi, i miei discepoli, comprendiate profondamente il mio cuore su questo punto.

Scriviamo una storia di vittorie
Fu sempre il 14 agosto, nell’estate del 1952, cinque anni dopo il mio primo incontro con Toda, che misi piede per la prima volta a Osaka e diedi inizio a una grande battaglia per kosen-rufu.
Il sole era appena tramontato quando il treno sul quale viaggiavo attraversò il ponte sul fiume Yodogawa per entrare nella  stazione di Osaka. L’arrivo di Toda era previsto per il giorno successivo. Avevo giurato a me stesso di sostenere il mio maestro dietro le quinte per costruire una grande cittadella di kosen-rufu a Osaka che avrebbe eguagliato, anzi superato, Tokyo. Questo significava prendere coraggiosamente l’iniziativa in prima linea per espandere kosen-rufu. Così, subito dopo il mio arrivo, corsi a uno zadankai nella città di Sakai. Il giorno dopo si sarebbe tenuto un seminario sul Buddismo presso la sala Otemae, di fronte al castello di Osaka, in cui Toda era l’oratore principale e sarei intervenuto anch’io.
Visto che avevo un po’ di tempo prima dell’inizio della riunione, uscii all’esterno per aiutare i membri di Osaka a diffondere i volantini che pubblicizzavano l’evento. Sulla superficie di quei fogli da poco prezzo “danzavano” parole colme del desiderio appassionato di condividere il Buddismo con gli altri.
Come membro della squadra distribuivo i volantini ai passanti esortandoli a partecipare, e ben presto mi ritrovai con la camicia zuppa di sudore. Nessuno apprezzava i nostri sforzi; vedevo solo volti sospettosi e sguardi che riflettevano un misto di ostilità e curiosità. Ma io li guardavo a mia volta e continuavo semplicemente a rivolgermi a loro con tutta la mia energia e sincerità giovanile.
Tutto il mio essere era colmo della gioia indicibile di poter lavorare al fianco del mio maestro per realizzare assolutamente il suo grande desiderio di kosen-rufu.
Il sentiero di maestro e discepolo non si trova in qualche luogo lontano, ma nelle nostre lotte concrete per la felicità degli altri.
Quattro anni dopo, durante la storica campagna di Osaka del 1956, insieme ai compagni di fede realizzammo una vittoria epocale accogliendo nella Soka Gakkai 11.111 nuove famiglie in un solo mese, tutt’oggi un risultato che non è mai stato eguagliato.
Essere vittorioso è il tratto distintivo di un discepolo autentico. Perché quando un discepolo viene sconfitto, a essere sconfitti sono sia lui sia il suo maestro.
In questo ventunesimo secolo stiamo avanzando intrepidi verso una nuova, imponente catena montuosa. Miei fieri compagni di fede! Scriviamo ancora una volta una luminosa storia di gioia e di trionfo senza precedenti, che duri per l’eternità.
Seguiamo per sempre il cammino di maestro e discepolo e coroniamo la nostra vita con la vittoria assoluta!
Toda disse: «Anche fra i leader della Gakkai, più una persona è negligente, più tende a diventare arrogante. I responsabili che hanno una pratica e una comprensione del Buddismo veramente solide e che si applicano con diligenza nello studio del Buddismo non sono mai arroganti». E ci ammoniva sempre: «Senza passione non si mette in moto niente!».

(Seikyo Shimbun, 14 agosto 2002)

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