Nella ricerca di un senso più profondo di appartenenza, Josué avvia il percorso per la cittadinanza italiana e per ottenere una cattedra d’insegnamento musicale. Nell’azione stessa di fare del bene ed essere un esempio per gli altri trova il coraggio per vincere su ogni paura e realizzare i suoi sogni
Un giorno di primavera di dieci anni fa compresi che per molto tempo mi ero visto inconsapevolmente come uno straniero che, ovunque fosse, era sempre di passaggio.
Ma a un certo punto, mentre recitavo Daimoku, quel senso di non appartenenza mi apparve chiaro. E arrivò anche una forte intuizione: finché io non avessi costruito nel mio cuore una casa in cui accogliere me stesso, non sarei stato in grado di far crescere delle solide radici neanche all’esterno.
Decisi allora che avrei dedicato la mia pratica a questo scopo e ricevetti il Gohonzon. Era il 2012. Ricordo che chiesi a un amico chi fosse quel “signor Ikeda” di cui si parlava tanto. E ricordo bene la sua risposta: «Il presidente Ikeda è uno che, quando sei con lui, ti fa sentire la persona più importante al mondo». Decisi di conoscere questo maestro, leggendo le sue parole e osservando il cuore dei suoi discepoli.
Con il passare del tempo, imparai da lui ad associare a ogni mio obiettivo personale quello più grande della pace nel mondo. Così, anche la mia ricerca di una casa interiore si trasformò nel mio più grande sogno: diventare un Bodhisattva della Terra.
Nell’estate di cinque anni fa tornai in Messico, la mia terra di origine.
Mi sentivo stanco, come se avere sempre un piede fuori dalla porta cominciasse a pesarmi. Sentivo di aver concretizzato poco ultimamente, di aver bisogno di una forte scossa per ripartire. E in effetti, la notte del 7 settembre del 2017, mentre ero in cucina con alcuni parenti, la terra iniziò a tremare. Ciò che inizialmente sembrava uno di quei sismi lievi frequenti nel sud del Messico, dopo qualche secondo si trasformò nel più forte terremoto al mondo degli ultimi sette anni (8.2° Richter). Vedendo i muri che si scuotevano con violenza pensai: “Qui davvero è finita”.
Soltanto vedere mia madre che si era svegliata e correva verso la strada mi fece reagire. Così, corremmo anche noi dietro a lei per accudirla. Eravamo tutti fuori… casa mia era ancora in piedi e la mia famiglia era salva.
Non posso non provare gratitudine per l’enorme fortuna che ebbi nel poter essere lì, accanto a loro, proprio quella sera, e anche della grandissima protezione che avvolse la mia famiglia.
Quella grande scossa andò a smuovere qualcosa di grande anche dentro di me.
Come se, risvegliatomi da un letargo, mi accorgessi che non c’era più tempo da perdere, che era il momento di riprendere in mano la mia vita.
All’indomani del terremoto iniziai il lungo percorso per richiedere la cittadinanza italiana, azione che da anni continuavo a rimandare come espressione del mio senso di non appartenenza. Rientrato in Italia, decisi di tornare in Conservatorio per fare la specializzazione in didattica, così da poter accedere al concorso statale per la docenza nella scuola media.
Quest’azione in particolare rappresentava la mia scelta di restare qui in Italia e di meritare un futuro migliore.
Il primo giorno al Conservatorio ero molto spaventato, la mia oscurità si fece sentire forte ma la mia fede è stata più grande della paura.
Ricordai che il nostro maestro ci sprona a dedicare ogni nostra sfida personale al bene di tutta l’umanità. Decisi, quindi, di entrare con coraggio in quell’aula e di essere una luce per gli altri. Nei giorni successivi notai che tra gli iscritti, erano pochi quelli presenti in aula.
Tante persone avevano già un lavoro o una famiglia e non potevano partecipare alle lezioni.
Io, invece, avevo avuto una grande “fortuna” a riuscire a incastrare perfettamente tutto tra scuola, lavoro e attività. Decisi allora che ogni sera avrei trascritto i miei appunti delle lezioni e per diversi mesi, a tarda notte, li inoltravo ai miei compagni di classe.
Una di loro mi disse un giorno: «Si vede che non sei di qui. Noi qui non lo facciamo».
Le spiegai con gentilezza che ognuno di noi può fare la differenza. Effettivamente, poco dopo cominciò anche lei a fare delle azioni per sostenere l’intera classe e vidi che ne era orgogliosa.
Alla mia professoressa che temeva che i miei compagni potessero non dimostrarmi gratitudine, raccontai che sono buddista, e che la più grande ricompensa per noi sta nell’azione stessa di fare del bene agli altri perché questo “cura” il nostro cuore, senza aspettarci nulla in cambio. Lei mi ringraziò.
Effettivamente preparare ogni giorno gli appunti per la classe si rivelò un metodo efficacissimo di studio, e un grande beneficio: superai brillantemente tutti gli esami e la mia paura iniziale diventò un non vedere l’ora di tornare in Conservatorio.
La cosa più bella fu che, studiando da quegli appunti, diversi amici superarono gli esami insieme a me!
Poi è scoppiata la pandemia.
Ogni giorno recitavo almeno un’ora di Daimoku, studiavo il Buddismo venti minuti e chiamavo almeno tre compagni di fede, così riuscii a mantenere uno stato vitale elevato, colmo di gratitudine e speranza. Ad aprile di quest’anno ho iniziato il concorso per la scuola pubblica. Ricordo la solita paura di non essere in grado, ma riconoscevo sempre più, con chiarezza anche il mio valore e il mio coraggio. Nel frattempo, fui convocato dal Comune di Pordenone: finalmente avevo la cittadinanza italiana!
Affrontai l’ultima prova del concorso esattamente il giorno del decimo anniversario di quando avevo ricevuto il Gohonzon.
Il Daishonin scrive: «Anche se può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga a ovest, non accadrà mai che la preghiera di un devoto del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306).
Dopo aver superato le prove con un punteggio così alto da vedermi assegnata la sede che desideravo, si è avverato un altro sogno: poter continuare a fare attività nel mio amato capitolo Pordenone.
Vi auguro una potente e bellissima “scossa” (simbolica, naturalmente), una di quelle che fanno tanto bene al cuore.
