Grazie alla fede nella Legge mistica, Massimo trasforma una vita segnata dall’infelicità, dalla depressione e dal gioco d’azzardo, e risolve profondamente la relazione con il padre fino a sentire gratitudine per la bellezza della vita
Ho incontrato il Buddismo nel 2004, in un momento molto buio della mia vita: soffrivo di depressione e attacchi di panico, ero un giocatore d’azzardo e per non farmi mancare niente pagavo profumatamente cartomanti e veggenti per ottenere fortuna e felicità, ma in realtà ero sempre più infelice e avevo voglia di morire.
La mia compagna di allora, membro della Soka Gakkai, mi parlò del Buddismo dicendomi di cercare la felicità dentro di me e che avevo il potere di trasformare completamente la mia vita.
Poco dopo ci lasciammo. In quel momento toccai il fondo e non sapendo più cosa fare iniziai a praticare. Cosa avevo da perdere?
Iniziai subito a recitare Daimoku sforzandomi di mettere in pratica le frasi del Gosho e gli incoraggiamenti del presidente Ikeda.
L’azione più difficile, che mi rendeva più felice, era incoraggiare gli altri e fare shakubuku; pian piano mi sentivo rinascere, sgorgava in me una serenità mai provata prima e la gioia di vivere. Ho parlato del Buddismo a più di cento persone, a volte sono stato deriso, ma non per questo mi sono fermato. Ho provato un’immensa gioia quando dieci di queste persone, tra cui mia sorella, hanno ricevuto il Gohonzon. Anche mia madre, pur non essendo membro della Soka Gakkai, ogni tanto recita Daimoku insieme a me e legge regolarmente le nostre riviste.
Come scrive Nichiren Daishonin: «Dove c’è una virtù invisibile ci sarà una ricompensa visibile» (RSND, 1, 806).
Ho trovato un buon medico e una buona cura per la depressione e gli attacchi di panico, e ho smesso di giocare d’azzardo, migliorando diversi aspetti della mia vita.
Nel 2020, in piena pandemia, in un momento professionale molto impegnativo, le condizioni di salute di mio padre si sono improvvisamente aggravate. Gli accertamenti medici hanno evidenziato la recidiva di un tumore e ci hanno detto che gli restavano pochi mesi di vita.
Ero paralizzato dalla paura della morte e dall’idea di separarmi da mio padre che, oltre a darmi la vita, mi aveva fatto crescere come uomo e come imprenditore. È qui che ho potuto constatare ancora una volta la fortuna di avere incontrato un maestro che ci incoraggia a non essere “mai sconfitti”.
Ho iniziato a recitare molto Daimoku affinché questa esperienza potesse rafforzarmi ancora di più, sperimentando il potere del Gohonzon.
Ho condiviso quotidianamente con i miei compagni di fede tutto ciò che provavo, senza vergognarmene, e questa condivisione è stata fondamentale. Recitando profondamente Daimoku, nel mio cuore sono riuscito a lasciar andare mio padre, libero, verso la sua felicità eterna.
Ogni giorno andavo a trovarlo in ospedale e recitavo Daimoku al suo orecchio. Una sera ha ripreso coscienza e ha aperto gli occhi: ho raccolto il coraggio e gli ho chiesto scusa per tutte le volte in cui l’avevo criticato, gli ho detto quanto l’amassi e quanto era stato bravo come padre. Ho sentito un’immensa leggerezza nel cuore e quanto sia potente “il disarmo interiore” di cui ci parla il nostro maestro.
Due ore dopo mio padre se n’è andato serenamente.
Dopo questa esperienza ho sentito ancora di più la fortuna di aver incontrato il Gohonzon, il maestro Ikeda e la famiglia Soka, e sento con certezza di poter trasformare tutto il veleno in medicina. Sono sempre più deciso a portare avanti il movimento di kosen-rufu incoraggiando e facendo conoscere il Buddismo a più persone possibili, trasmettendo loro quanto sia bella e preziosa la vita.