Arianna racconta come ha trasformato la sofferenza legata al profondo disagio del figlio – una realtà quotidiana fatta di ritiro sociale e ricoveri in psichiatria – in una completa rinascita. Ora il suo desiderio è riuscire a incoraggiare il più possibile i genitori che stanno affrontando difficoltà di malattia o disagio psichico dei figli
Nel 2014 mio figlio Filippo, a tredici anni, decise di rientrare da Berlino dove stava frequentando un’accademia di danza, in una situazione di tristezza e ritiro sociale. Lo stesso anno iniziai a frequentare i miei primi zadankai, incoraggiata da una cara amica.
Nel frattempo la situazione psicologica di mio figlio non migliorava, nonostante fosse riuscito a superare l’esame di terza media. A dicembre ricevetti il Gohonzon e lo posizionai al centro della mia casa e della mia vita.
A gennaio 2015 mio figlio decise di ritirarsi dal liceo, sempre chiuso in camera e senza nessuna affezione alla vita, come recitava la relazione psicologica ricevuta.
La mia pratica quotidiana e la partecipazione costante alle attività della Soka Gakkai, oltre alla responsabilità di gruppo che mi era stata affidata, mi permettevano di trasformare ogni mattina la frustrazione di vederlo in quello stato, e di non mollare.
Filippo si iscrisse di nuovo a scuola e noi ricominciammo a sperare… In realtà, l’incontro con amicizie sbagliate e il suo stato depressivo latente lo portarono a sperimentare le prime droghe.
Da quel momento e per i successivi cinque anni è stato un susseguirsi di situazioni al limite della realtà: tre tentati di suicidio e l’utilizzo di qualsiasi sostanza stupefacente, perché si era messo in testa di sperimentarle proprio tutte. Durante il ricovero dopo il primo tentato suicidio gli fu diagnosticata la sindrome di Asperger dello spettro autistico.
Ciò mi permise di dare risposta a tanti aspetti di lui che non riuscivamo a capire, e che erano alla base della sua sofferenza. Ricoveri in psichiatria, psicologi, psichiatri e servizi sociali sono stati la nostra realtà quotidiana fino all’inizio del lockdown.
In un passo de La rivoluzione umana si legge: «Chiunque penserebbe che la vittoria sia impossibile – disse Shin’ichi – e probabilmente è così che vi sentite adesso. Ma non dimenticate questo meraviglioso Gohonzon che abbiamo, che ha il potere di trasformare ciò che normalmente riteniamo impossibile in qualcosa di possibile. Chi rinuncia ancor prima di provare non conosce il potere della Legge mistica. Nichiren Daishonin è chiaro su questo punto e afferma: “Sto pregando con tanta convinzione come se dovessi accendere il fuoco con legna bagnata o estrarre l’acqua dal terreno riarso, affinché nonostante questa sia un’epoca di disordini, il Sutra del Loto e le dieci fanciulle demoni proteggano ciascuno di voi”» (RU, 10, 26).
Queste parole mi hanno permesso di pregare con tutte le forze per proteggere la vita di mio figlio mentre, dopo il secondo tentato suicidio, lottava in terapia intensiva tra la vita e la morte.
Ho recitato Daimoku tutta la notte, incessantemente, per non permettere a un solo pensiero di sconfitta di farsi strada dentro di me, e alimentando istante dopo istante una fede assoluta.
Pensavo a Nichiren Daishonin a Tatsunokuchi, a quella sfera brillante che attraversò il cielo nel momento cruciale interrompendo la sua esecuzione: fu proprio allora che rivelò la sua vera natura di Budda.
Con questo sforzo di credere al di là delle circostanze, di voler vincere anche per incoraggiare gli altri sono riuscita a coltivare la fiducia che in ogni situazione, anche la più disperata, è possibile mantenere la direzione verso la felicità e la vittoria assoluta.
È stato come trasformare il mio cuore, da sconfitto a vincitore!
A volte facevo fatica ad accettarlo come mio figlio, ma ricordando che mi stava permettendo di fare la mia rivoluzione umana cercavo di concentrarmi non più sulle sue sofferenze, ma sul mio cambiamento. Mi ripetevo che se facciamo il “voto” di essere felici, anche il nostro ambiente si trasforma.
Ho recitato tanto Daimoku per mettere da parte le aspettative e il giudizio verso mio figlio, perché c’era già abbastanza inferno dentro di lui, e per riuscire a guardarlo con la stessa fiducia che Sensei ripone in tutti i giovani.
Un figlio deve sentire che crediamo in lui, nella sua natura di bodhisattva, anche quando sta manifestando tutt’altro.
Perché se non ci crediamo noi, come può crederci lui, che sta lottando nel mondo di inferno?
E così, finalmente abbiamo trovato il medico giusto, una terapeuta di grande umanità che ha deciso di prendersi cura della nostra famiglia e di questo caso difficile di cui nessuno sembrava volersi assumere la responsabilità.
Se avessi dato ascolto a quella vocina che mi diceva “hai già provato tutto”, o “più di così non possiamo fare”, non avrei potuto sperimentare questa immensa gioia e gratitudine che provo nei confronti della vita e di mio figlio.
Oggi, mentre scrivo questa esperienza, mio figlio sta suonando il pianoforte nell’altra stanza, libero da droghe e farmaci, con un diploma di Liceo scientifico, un’esperienza di volontariato vissuta l’estate scorsa insieme ai bambini in Tanzania, e con la decisione di riprendere la danza frequentando un’Accademia a Milano.
Lui che voleva farla finita, ora parla del suo futuro e vuole continuare l’università.
Grazie a Nam-myoho-renge-kyo ho trasformato il veleno in medicina: questo è il principio in cui ho sempre profondamente creduto.
Il Gohonzon, la fede, la pratica, lo studio, la responsabilità nella Soka Gakkai, i preziosi compagni di fede e il mio maestro sempre presente, che ogni volta in cui mi trovo a un punto morto ha per me parole di incoraggiamento e crede sempre nella mia Buddità… Tutto ciò mi ha permesso di continuare ad avanzare: piccoli passi, tanta pazienza e perseveranza.
Così ho potuto fare un pezzo importante della mia rivoluzione umana e desidero che questo mio sentimento di profonda gratitudine sia il motore con cui ripartire ogni giorno.
Inoltre desidero con tutto il cuore poter incoraggiare il più possibile i genitori che stanno affrontando difficoltà di malattia o disagio psicologico dei figli, e di accompagnare quest’anno almeno un giovane a ricevere il Gohonzon.