Quest’anno le riunioni dei Gruppi uomini, donne e giovani della terza settimana del mese si ispirano al libro Cos’è la felicità. Nel mese di novembre approfondiamo la seconda e ultima parte del sesto capitolo: “La vita e la morte”. In queste pagine alcuni responsabili di regione dell’Emilia Romagna Ovest condividono le loro riflessioni sui temi principali di questo capitolo
Roberto Buconi, responsabile del Gruppo uomini
Rossella Taglini, responsabile del Gruppo donne
Vincenzo Moramarco, vice responsabile del Gruppo giovani uomini
Clara Restori, responsabile del Gruppo giovani donne
Alla luce degli incoraggiamenti del presidente Ikeda, qual è la chiave per trasformare le sofferenze di nascita e morte?
Roberto: Sensei spiega che la chiave per conseguire la Buddità in questa esistenza e trascendere le sofferenze di nascita e morte è la fede. Lo scopo della fede è diventare felici, la fede è l’eterno tesoro e il sostegno degli esseri umani.
Nichiren Daishonin ci ha insegnato che i tre tesori della vita sono i tesori del forziere, i tesori del corpo e i tesori del cuore. Tuttavia la ricchezza, la salute, la gioventù, le capacità personali e anche lo status sociale – pur rappresentando degli aspetti importanti – non sono in grado da soli di apportare autentica felicità alla nostra vita. Solo i tesori del cuore che possiamo accumulare grazie alla nostra fede nella Legge mistica ci consentono di sperimentare la felicità assoluta e di trasformare le sofferenze di nascita e morte.
Il potere della fede, spiega il presidente Ikeda, è vasto come l’universo e può trasformare il nostro ambiente e il mondo intero; è fonte di gioia inesauribile, di saggezza e compassione e ci permette di utilizzare i tesori del corpo e del forziere e di realizzare una felicità eterna.
Il presidente Ikeda scrive in questo capitolo: «Anche se siete tristi e colmi di sofferenza e vi sentite come se non poteste più andare avanti, se continuerete comunque ad avanzare coraggiosamente, vivendo la vostra vita senza farvi sconfiggere, arriverete un giorno a capire il significato di quelle sofferenze che state attraversando. Questo è il potere della fede ed è anche l’essenza della vita» (pag. 130). Puoi condividere una tua breve esperienza che rispecchi queste parole di Sensei?
Rossella: Dieci anni fa mio padre è morto improvvisamene, la vita lo ha lasciato in pochi secondi proprio tra le mie braccia e un dolore immenso mi ha travolto. Non riuscivo a smettere di piangere, mi sentivo sopraffatta dall’emotività, ricordo che anche davanti al Gohonzon continuavo a piangere e singhiozzare.
Un senso di morte antico, profondamente radicato in me stava affiorando per essere illuminato e trasformato.
Continuando a recitare Daimoku tutto quel dolore si è trasformato in un forte desiderio di essere felice e di vivere ogni giorno con gioia.
Nel Gosho La Porta del Drago Nichiren Daishonin scrive: «Dovresti essere disposto a offrire la tua vita per il Sutra del Loto. Pensa a questa offerta come a una goccia di rugiada che si unisce di nuovo al grande mare, o come a un granello di polvere che ritorna alla terra. […] Ci auguriamo che i meriti ottenuti grazie a questi doni possano estendersi in lungo e in largo a tutti, così che noi e gli altri esseri viventi possiamo conseguire tutti insieme la via del Budda» (RSND, 1, 891).
Grazie al potere della fede e della pratica ho potuto sperimentare una vera gioia e un profondo senso di missione proprio nella sofferenza della morte.
Da quel momento mi sento profondamente cambiata, ogni giorno assaporo la meraviglia della vita e mio padre con il suo umorismo, la sua forza e il suo coraggio continua ad accompagnarmi nel mio cuore.
In che modo, grazie alla pratica buddista, la malattia può diventare la causa per una condizione di felicità assoluta ed eterna?
Vincenzo: In caso di malattia abbiamo la possibilità di recitare ancora più Daimoku.
In questo capitolo Sensei spiega che il Daimoku, animato da una fede indomita e accompagnato dall’impegno appassionato per kosen-rufu, ci permette di fare della malattia un punto di partenza verso la felicità invece che un declino verso l’infelicità.
In tal modo ci dirigiamo non solo verso una condizione di salute ritrovata, ma verso una felicità indistruttibile, la Buddità.
Scrive Sensei: «Finché avremo una fede forte non c’è dubbio che potremo trasformare la nostra situazione in direzione della salute, della felicità, della Buddità.
Dalla prospettiva dell’eternità della vita che attraversa le tre esistenze di passato, presente e futuro, possiamo fare avanzare la nostra esistenza nella migliore direzione possibile, verso la felicità. È importante continuare a pregare con sincerità mantenendo nel cuore il nostro impegno appassionato per kosen-rufu durante tutta la vita. Una tale determinazione nella fede è la forza primaria per superare con serenità le sofferenze di nascita e morte» (pag. 136).
«Praticare la via del Budda significa condividere attivamente le gioie e le sofferenze degli altri: mai dare le spalle a chi è turbato e in difficoltà ma sentirsi toccati dalle esperienze degli altri come se fossero le proprie. Attraverso un simile impegno, non solo chi è direttamente afflitto dalla sofferenza ma anche chi l’abbraccia empaticamente recupera il proprio senso di dignità» (pag. 143). Qual è il significato di queste parole alla luce della tua esperienza personale?
Clara: Ciò che ci accomuna come esseri umani è la vita stessa, intesa come valore da proteggere e apprezzare sempre. Condividere attivamente le gioie e le sofferenze degli altri è il fulcro della pratica buddista.
Nella mia esperienza, recitare Daimoku per sentire e per conoscere il cuore dell’altro è il primo passo per una vita felice.
Ma questo non basta, per essere autenticamente felice so che è importante andare verso l’altra persona e sostenerla sinceramente.
Quando mi riesce, imparo molto di me stessa e amplio il mio stato vitale, soprattutto quando una persona vive una difficoltà che io non ho mai provato, come una malattia o un lutto importante. In queste circostanze è necessario pregare per sviluppare una maggiore sensibilità e studiare il Buddismo, per trovare l’incoraggiamento migliore e sostenere al meglio quella persona.
Condividere attivamente gioie e sofferenze significa non lasciare indietro nessuno coltivando con cura le relazioni; è la possibilità per sperimentare quanto il Daimoku possa sempre sostenere la vita.
Riferimenti:
La vita e la morte, cap. 6, pagg. 127-144, pubblicato anche su BS, 171, 23-34