Il percorso del nuovo Centro culturale di Milano è stato lungo e tortuoso: dalle resistenze iniziali all’entusiasmo, abbattendo gli ostacoli grazie al Daimoku dei membri italiani che ha accompagnato i lavori fino alla sua apertura
Nel marzo del 2008 iniziò il trasferimento della sede da via Keplero in centro a Milano, al complesso monumentale Cascina Guardia di Sopra a Corsico. Fu un trasloco suggellato dall’inaugurazione di un parco giochi per bambini adiacente al futuro Centro, affinché fosse subito chiara l’intenzione dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai di creare armonia e collaborazione col comune che avrebbe ospitato la nuova sede.
Cinque anni dopo, finalmente l’apertura del Centro culturale Ikeda di Milano per la pace, che sarà un riferimento per i membri italiani ed europei. L’architetto Giampiero Peia, che ha guidato il progetto insieme alla moglie Marta, descrive così la nuova struttura: «Questa struttura è il più grande Centro buddista in Europa, inserita in un complesso storico monumentale vincolatissimo, una delle più antiche e belle cascine rinascimentali dei Visconti. La sala di culto è stata ispirata dalla metafora della carpa dorata, molto presente nella tradizione iconografica giapponese legata al Buddismo. La carpa rappresenta il coraggio e la trasformazione, ha la forza di risalire la cascata e trasformarsi in drago. La forma, il suo aspetto architettonico, oltre a voler ricordare la forma di un pesce dorato, deriva da precisi studi tesi a ridurre l’impatto volumetrico e a ottimizzare l’interno della sala di culto, soprattutto il rapporto visivo e percettivo con il butsudan e il Gohonzon, affinché possa essere visto in modo ottimale da tutte le novecento persone sedute, senza spreco di spazio e terreno (la riduzione del consumo di suolo è uno dei primi criteri ecologici ed economici)».
Il progetto è concepito prevedendo un enorme risparmio energetico con conseguenti benefici ambientali ed economici. «L’area dove è custodito il Gohonzon – prosegue Peia – è separata dalla sala di culto da grandi pareti scorrevoli e da uno schermo avvolgibile per proiezioni, al fine di garantirne un uso civico per la comunità locale e per grandi eventi che possano accomunare entrambi gli usi (si pensi al valore che lo spazio assumerà in ambito Expo proprio per i temi ambientali e di legame storico con la tradizione agricola e le vie d’acqua che la struttura rappresenta). Questa parte “sacra” dell’edificio consente un’ulteriore entrata di luce naturale attraverso schermi e aperture motorizzate e, nelle mezze stagioni, grazie all’effetto Venturi (un fenomeno fisico), offrirà anche un’efficace ventilazione e ricambio d’aria naturale senza consumo energetico. L’intero complesso non prevede uso di centrali termiche e di idrocarburi o altre fonti non rinnovabili. Il progetto impiantistico ha avuto l’obiettivo principale di rispettare al massimo possibile l’aspetto architettonico».
Dunque non solo un valore spirituale per coloro che fanno parte della SGI, ma anche una risorsa per il territorio fruibile da tutti, praticanti e non, perché la pace sorge ogni volta che si sceglie di creare armonia.