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Il premio più bello - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:44

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Il premio più bello

Giuliana Franzosi, Novara

Avevo ricevuto il più bel dono che avessi mai potuto chiedere. Ho provato dentro di me cosa vuol dire vincere, la certezza che Nam-myoho-renge-kyo tiene vivo l’ardore di un giovane guerriero

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Avevo ricevuto il più bel dono che avessi mai potuto chiedere. Ho provato dentro di me cosa vuol dire vincere, la certezza che Nam-myoho-renge-kyo tiene vivo l’ardore di un giovane guerriero

Pratico il Buddismo da dieci anni ed è stato durante gli ultimi quattro che ho trovato finalmente la strada verso il mio cambiamento. Non sono sempre andata avanti spedita, anzi. Spesso sono avanzata in modo incerto, con la pila sulla testa come uno speleologo, a volte vedendo chiaro, a volte procedendo a tentoni, ma senza mai perdere il contatto con quel segnale senza il quale non avrei nemmeno saputo se stavo andando avanti o nella direzione opposta.
Mi sembrava di aver sempre subito ingiustizie senza capire che in questo modo, in fondo, pretendevo dagli altri una protezione che nemmeno io ero in grado di garantirmi: ero passiva ma anche arrogante nell’aspettarmi un aiuto esterno, che immancabilmente non arrivava.
Io per prima non mi assumevo la responsabilità della mia vita fino in fondo e di conseguenza anche nel lavoro il mio impegno è sempre stato denigrato. Due anni fa ho partecipato a un progetto di ricerca diretto da un mio collega: l’avevamo scritto insieme, mettendo in piedi un intero gruppo di lavoro, e per i meriti sugli argomenti lui ricevette una promozione, sicuramente meritata poiché è davvero una persona eccezionale sia da un punto di vista professionale che umano. A quel punto avrei dovuto prendere il suo posto per continuare a gestire questo lavoro ma, inaspettatamente, la responsabilità del progetto venne data a una collega, alla quale avrei dovuto rendere conto di tutto. Tutti gli anni dedicati alla mia ricerca andavano a vantaggio di chi non avrebbe nemmeno potuto apprezzare il lavoro fatto. Poco tempo prima, il nostro lavoro era stato presentato tra le candidature per ENI Award, un alto riconoscimento per la ricerca scientifica che viene dato in Italia dalla Presidenza della Repubblica. La mia delusione era tale che sembrava non mi importasse più nemmeno di concorrere per quel riconoscimento, ma nonostante ciò mi sforzai di recitare Daimoku anche per chi mi aveva portato via ogni possibilità. Piangevo e recitavo per comprendere la causa di quella sofferenza e trasformarla. A poco a poco capii che se stavo così male era perché il merito non riconosciuto dal mio ambiente di lavoro era solo un’eco esterna della mancanza di valore che io stessa mi attribuivo. Ma allora… Tutto dipendeva da me! Presa dall’insofferenza mista al desiderio di andare “avanti sempre avanti qualunque cosa accada”, come ci incoraggia a fare il presidente Ikeda, decisi di reagire: quel premio doveva essere mio. Mi resi conto però che c’era qualcosa che non suonava bene in questo “mio”. Era forse il mio piccolo io che pretendeva riconoscimenti? Oppure era la giusta ribellione contro un’ingiustizia? La mia determinazione era orientata verso il “prendere” (onore, notorietà), o verso il “dare” (incoraggiamento per gli altri, prova concreta, ispirazione)? Sentii che volevo dedicare quella vittoria a sensei, il mio maestro, perché se dovevo vincere non era per me, non era per prendermi una rivincita contro chi si guadagnava da vivere come me, ma doveva essere per kosen-rufu, per raccontare la mia esperienza a chi aveva bisogno di sentirsi un vero e dignitoso essere umano. Così ritrovai serenità, mi dedicai all’attività per gli altri e cercai di seguire le guide del mio maestro, compreso il recitare per ringraziare il mio capo di avermi dato l’opportunità di crescere. Non è stato per niente facile; ma con la fiducia che attraverso questa pratica si può trasformare l’impossibile in possibile continuai a impegnarmi per mesi nel mio lavoro, perché avevo capito che era proprio lì che dovevo fare la mia rivoluzione umana. L’anno successivo una mattina aprii distrattamente la posta elettronica e mi balzò subito all’occhio una mail della direzione di ENI: «Gentile dottoressa, a nome della commissione scientifica, abbiamo il piacere di annunciarle che è la vincitrice del premio ENI Award 2011» e il 6 giugno 2011 al Quirinale ricevetti il premio dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano!
Non sto a raccontare tutto quello che accadde in due mesi. Non vedevo l’ora di mandare le foto e la notizia al nostro maestro ma feci passare un po’ di tempo e questa attesa non si rivelò un caso, perché il premio doveva consistere anche in un riconoscimento economico, che avrei accettato con piacere perché vivendo sola con due figli avevo davvero bisogno di soldi. Però, come scrive Nichiren Daishonin nel Gosho Gli otto venti (RSND, 1, 705), feci l’errore di lasciarmi trasportare dalla lode e dal piacere e ben presto arrivarono la sofferenza e il biasimo. I tre colleghi che condividevano il premio con me ricevettero l’aumento mentre io non ebbi niente. Perché mi accadeva tutto questo? Ancora delusione e sconforto, che però questa volta durarono davvero molto poco, dissolti in fretta davanti al Gohonzon. Capii subito che dovevo andare fino in fondo e cominciai a sentire gratitudine per questa nuova occasione per dire davvero “adesso basta”; non dovevo perdere di vista il Gohonzon, non dovevo fare del mio posto di lavoro e della mia posizione il mio oggetto di culto, non dovevo dimenticarmi di ringraziare per quello che avevo avuto, e non dovevo dimenticare la mia promessa. Presi carta e penna e scrissi al presidente Ikeda, con la piena consapevolezza di aver riportato una grande vittoria, e anche del fatto che scrivere al mio maestro mandandogli la mia foto insieme al presidente Napolitano era per me un grande onore, non una prova di bravura, ma una prova di fede e di lotta per kosen-rufu! Era ormai l’inizio di dicembre e sentivo che qualcosa in me stava cambiando: passai alcuni giorni a fare anche sei ore di Daimoku, come se sentissi una spinta che mi portava a dire: «Adesso basta, ora non si torna più indietro». Il 31 dicembre recitando Daimoku sentii il grande desiderio di fare un’altra promessa a me stessa e a sensei: quella di essere felice, ma questa volta davvero. Avevo compreso che credere nella mia dignità era il primo passo per fare la mia rivoluzione umana, e i giorni che seguirono furono una sfida dietro l’altra. Dal primo gennaio 2012 non ho più ceduto, ho fatto una fatica enorme in tante situazioni, ma con il cuore fermo, perché avevo promesso a sensei di seguire le sue parole, esattamente come lui decise di fare con il suo maestro Toda. Una sera, dopo un meeting, tornando a casa pensai: «Fino a qualche giorno fa pensavo che mi sarebbe piaciuto ricevere la risposta di Ikeda, ma ora capisco che in realtà lui mi ha già risposto: perché questa energia nuova e questa determinazione sono per me il più grande dono che possa aver ricevuto». Dopo tre giorni, il 31 gennaio, ricevetti un breve incoraggiamento da sensei!
Era passato esattamente un mese dalla mia promessa e ora davvero avevo ricevuto il più bel dono che avessi mai potuto chiedere. Ho provato dentro di me cosa vuol dire vincere, la certezza che Nam-myoho-renge-kyo tiene vivo l’ardore di un giovane guerriero e quanto sia importante riuscire a trasmettere agli altri tutto ciò. Toda diceva: «Il modo in cui pianificate e portate avanti le attività dell’organizzazione, il tipo di indicazioni che date ai membri per incoraggiarli ad alzarsi da soli e ad agire, sono cose della minima importanza. Sono piuttosto la vostra passione e l’assoluta convinzione nella fede che spingono l’organizzazione ad avanzare».
Ed è con questa grande passione che facciamo la nostra rivoluzione umana. Da allora sono diventata capo di un progetto ambientale con l’Uni­versità di Stanford e, non ultimo, da tre mesi sono leader di un nuovo progetto di ricerca sulla chimica verde. Ora la mia sfida è scegliere sempre di avere solo il Gohonzon come oggetto di culto e di continuare a sceglierlo ogni giorno, anche trenta volte al giorno. Questo è il premio più importante, che dedico al presidente Ikeda, a sua moglie Kaneko e alla mia vita.

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