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Questo è il potere della preghiera - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:21

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Questo è il potere della preghiera

Ilenia Cefalì, Vercelli

Grazie alla pratica buddista, Ilenia decide di spazzare via quel senso di colpa che la porta a disprezzarsi e di essere una persona profondamente felice. Il Daimoku sarà la migliore medicina per ricominciare a vivere con fierezza e fiducia

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Grazie alla pratica buddista, Ilenia decide di spazzare via quel senso di colpa che la porta a disprezzarsi e di essere una persona profondamente felice. Il Daimoku sarà la migliore medicina per ricominciare a vivere con fierezza e fiducia

Nove anni fa è venuta a mancare mia madre, l’unica persona che mi era rimasta vicino dopo la morte di mia nonna. Mio padre infatti non accettò i miei gravi problemi di salute, in quanto sono nata senza tiroide e cardiopatica.
Il rapporto tra me e mia mamma era molto intenso, un amore amplificato da una profonda simbiosi. A causa dei miei ripetuti ricoveri tra Italia e Francia, si è dovuta licenziare dalla fabbrica dove lavorava. Ho sempre sentito dentro di me un profondo senso di colpa per tutto ciò a cui lei aveva rinunciato, ero molto esigente verso me stessa, e pensavo di non fare mai abbastanza.
Quando mia madre si ammalò gravemente ed entrò in coma, la mia fortuna fu che già recitavo Nam-myoho-renge-kyo.
Una frase dal Gosho Felicità in questo mondo mi incoraggiò in quel periodo: «Non permettere mai che le avversità della vita ti preoccupino, nemmeno i santi o i saggi possono evitarle. […] Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?» (RSND, 1, 607).
Dopo la sua morte il mio malessere e il senso di colpa si impossessarono di me sempre di più, fino ad arrivare ad ammalarmi, perdere il lavoro e di conseguenza la casa, ritrovandomi senza un tetto sulla testa.
Una mia compagna di fede mi sostenne tantissimo: fu uno scambio da vita a vita per cui ancora oggi provo immensa gratitudine.
In quei mesi recitavo tanto Daimoku.
Intrapresi il percorso per ottenere una casa popolare. Il Comune però non aveva case disponibili e non c’era posto in casa famiglia, così finii per strada: io, il mio cane e la mia macchina. Il senso di sconfitta mi attanagliava. Era un dolore così forte e subdolo da farmi scivolare nel nulla, mi stavo punendo, non volevo amarmi perché ritenevo di non meritarlo. Ma c’era una cosa che continuavo a fare: Daimoku. Era l’unica cosa che poteva salvarmi, sentivo che era la migliore medicina per continuare a vivere.
Incontrai un’altra compagna di fede che mi portò davanti al Gohonzon e con grande compassione, severamente, mi fece capire in quale buco nero ero finita, e che ancora non avevo davvero affrontato la perdita di mia madre. Un giorno, mentre recitavo Daimoku, scoppiai in un pianto disperato buttando fuori tutto. La mia flebile preghiera pian piano diventò un ruggito: “Adesso basta, io merito di essere felice!”.
Poco dopo, il Comune mi affidò una stanza in casa famiglia. La vita lì era difficile, non accettavo quel luogo che non sentivo mio. C’erano troppa rabbia e sofferenza che si aggiungevano alla mia.
Decisi di basarmi sul Daimoku e iniziai a pregare per la felicità di tutte quelle persone che stavano vivendo un’esperienza simile alla mia. Ciò mi diede tanta forza.
Il Buddismo afferma che la luce del Daimoku che noi recitiamo raggiunge ogni angolo dell’universo, illuminando anche coloro che si trovano nell’inferno della sofferenza dopo la morte.
Decisi profondamente di essere una persona felice, indipendentemente dalla situazione in cui mi trovavo. Capii che, nonostante tutto, al livello più profondo io ero sempre stata protetta. Mi liberai di ogni peso. Questo è il potere della preghiera.
Dieci mesi dopo il Comune mi consegnò le chiavi di un piccolo alloggio provvisorio, ma tutto mio. E dopo due mesi mi arrivò un lavoro in regola, anche se per poche ore e a tempo determinato. Era un inizio.
Arrivò una nuova sfida: il difficile rapporto con la mia responsabile al lavoro. Dovevo riuscire a vedere in lei un Budda nonostante gli attacchi che minavano la mia autostima. Decisi che avrei vinto anche in quella situazione. Approfondii lo studio del Buddismo.
Il Daishonin scrive: «Le sfortune di Kyo’o Gozen si trasformeranno in fortuna. Raccogli tutta la tua fede e prega questo Gohonzon. Allora, che cosa non può essere realizzato?» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365).
Intensificai il mio Daimoku, parlai del Buddismo a una donna che viveva una situazione simile alla mia, trasformando così il mio karma in missione.
Un giorno arrivò una chiamata dalla responsabile dell’emergenza abitativa: era finalmente arrivata la casa popolare, quella definitiva, la mia casa! Il mio cuore scoppiava di gioia!
Ora posso accogliere i miei compagni di fede e le persone che desiderano conoscere il Buddismo e prendere in mano la propria vita decidendo di essere felici nonostante le sofferenze. Qui ho conosciuto una mia vicina di casa a cui ho parlato di Buddismo, che ha iniziato a praticare e poi ha deciso di diventare membro della famiglia Soka. Che felicità! È stata la risposta al desiderio che porto nel cuore: che il gruppo dove faccio attività buddista cresca e si divida tantissime volte!
Attraverso il Daimoku e impegnandomi con tutta me stessa, ho trasformato anche il rapporto con la mia responsabile a lavoro che adesso mi vuole a stretto contatto con lei, e dopo tanti rinnovi di contratto, sono stata assunta a tempo indeterminato.
Con il cuore colmo di gioia ho imparato che in ogni luogo dove vado, se porto con me il desiderio di vedere le persone felici, posso risvegliare in loro lo stesso desiderio. Questa è la mia missione.
Ringrazio la mia mamma per avermi regalato questa vita, sono grata per averla avuta come mamma e so che il nostro legame non potrà essere mai spezzato.
Ho inciso nel cuore queste parole del mio maestro che scrive: «Qualunque cosa accada, non perdere la consapevolezza del tuo valore e non arrenderti mai. È veramente felice la persona che vive fino in fondo con dignità, fierezza e fiducia in se stessa, sempre guardando avanti» (La mappa della felicità, Esperia, 21 aprile).

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