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“Il voto”, puntate 1-6 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:59

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“Il voto”, puntate 1-6

Comincia l’ultimo capitolo dell’opera. È il marzo del 1982. Shin’ichi Yamamoto visita il Kansai, luogo in cui scorre la linfa vitale dello spirito di maestro e discepolo, per partecipare al Festival culturale dei giovani per la pace, alla presenza di centomila giovani.

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CONTESTO STORICO
Comincia l’ultimo capitolo dell’opera. È il marzo del 1982.
Shin’ichi Yamamoto visita il Kansai, luogo in cui scorre la linfa vitale dello spirito di maestro e discepolo, per partecipare al Festival culturale dei giovani per la pace, alla presenza di centomila giovani.

Il testo di queste puntate è tratto dal libro Il voto edito da Esperia.

Nella narrazione l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[1] Le porte di una nuova era vengono aperte dai giovani. L’emergere di un flusso costante di giovani talenti che manifestano pienamente le proprie potenzialità è essenziale per lo sviluppo ininterrotto di qualsiasi organizzazione, società o nazione. Proprio per questo motivo Shin’ichi Yamamoto aveva sempre concentrato la sua attenzione e le sue energie sulla crescita dei giovani.
I requisiti fondamentali che permettono a un giovane di diventare un successore nel movimento di kosen-rufu sono coltivare una fede incrollabile, sviluppare se stessi e forgiare il carattere basandosi sulla consapevolezza della profonda missione dei Bodhisattva della Terra. È inoltre di estrema importanza che i giovani realizzino una crescita personale tramite lo sviluppo di qualità quali lo spirito di sfidare se stessi, la perseveranza e il senso di responsabilità.
Per offrire ai giovani l’opportunità di allenare queste qualità, Shin’ichi aveva proposto di organizzare, a livello di prefettura e di regione, dei Festival culturali imperniati sui giovani.
I Festival culturali della Soka Gakkai sono celebrazioni delle persone comuni, in cui le persone possono esprimere la gioia e la vitalità acquisite attraverso la pratica del Buddismo del Daishonin. Sono immagini in miniatura della coesistenza pacifica tra esseri umani, che illustrano la bellezza e la forza dell’unità derivanti dalla fiducia e dall’amicizia. Sono feste piene di speranza, che esprimono il voto di realizzare kosen-rufu, ovvero la pace mondiale. Il Kansai fu la prima regione in Giappone a organizzare un Festival culturale di questo tipo in un periodo in cui la Soka Gakkai, mirando al ventunesimo secolo, stava facendo passi da gigante nel suo sviluppo. Il 22 marzo 1982 si svolse il primo Festival culturale per la pace dei giovani del Kansai allo stadio Nagai di Osaka.
Nel 1966 si era già svolto un altro storico raduno nel Kansai, che aveva ispirato molte persone in tutto il Giappone e anche nel resto del mondo. Quell’evento, organizzato all’aperto allo Stadio Koshien nonostante il maltempo, era stato soprannominato con orgoglio il “Festival culturale del Kansai sotto la pioggia”.
A quell’epoca, il primo ministro cinese Zhou Enlai invitava i suoi più fidati collaboratori, che stavano studiando la Soka Gakkai, a guardare i filmati di quel Festival. Lin Liyun, che in seguito avrebbe fatto da interprete all’incontro tra Shin’ichi e il premier Zhou nel 1974, era una di loro. In seguito, ebbe modo di commentare: «Vedere quei giovani tutti infangati che si esibivano con gioia sotto la pioggia fu di grande ispirazione. Avevo la sensazione che la Soka Gakkai fosse un’organizzazione che affondava le sue radici tra le persone comuni. Mi resi conto che si trattava di un’organizzazione importante per la costruzione dell’amicizia tra Cina e Giappone». I giovani del Kansai erano decisi a fare di questo nuovo Festival culturale un’occasione ancora più emozionante, sia per le prestazioni ginniche e l’espressione artistica, sia per la forza con cui avrebbero trasmesso lo spirito della Soka Gakkai.

[2] Nel novembre del 1981, quando mancavano ancora alcuni mesi all’evento, Shin’ichi si era recato a Osaka per partecipare alla terza riunione generale del Kansai.
In quell’occasione, alcuni giovani gli avevano detto: «Faremo del nostro Festival culturale, che si terrà il prossimo marzo, un evento che mostrerà al mondo quanto la Soka Gakkai sia radicata nella nostra regione, nonché la forza del legame tra il maestro e i discepoli Soka! Centomila giovani l’aspettano!».
Shin’ichi percepì in quelle parole la passione dei giovani, che irradiava una luce calda e luminosa. In origine, il Festival culturale era stato programmato per durare due giorni, dal 21 al 22 marzo 1982, ma la sessione del 21 marzo fu cancellata a causa delle forti piogge. Arrivato a Osaka quella sera, Shin’ichi si diresse subito a una riunione degli staff dell’evento per incoraggiare i giovani, che erano senza alcun dubbio profondamente delusi. Al Festival, i giovani del Kansai avrebbero tentato di formare una piramide umana di sei livelli, una formazione ginnica molto difficile. Nell’aprile del 1981 una squadra di giovani della circoscrizione di Koto era riuscita a realizzarne una durante una riunione amichevole con i membri provenienti da alcune zone di Tokyo, ma era la prima volta che si tentava di formare una piramide a sei livelli durante un Festival culturale.
Shin’ichi, che era al corrente della situazione, disse ai giovani dello staff: «Sono sicuro che tutti voi siete molto delusi per la sospensione dello spettacolo di oggi, ma il tentativo di ripetere per due giorni consecutivi un esercizio tanto difficile è troppo pericoloso per tutti i soggetti coinvolti. Potrebbe capitare facilmente un incidente. La pioggia potrebbe addirittura essere stata un beneficio. Non vedo l’ora di ammirare lo spettacolo di domani!». La sicurezza e la totale mancanza di incidenti sono la regola d’oro dei Festival culturali.
I giovani del Kansai erano consapevoli che qualsiasi incidente avrebbe potuto avere conseguenze devastanti. Quando avevano deciso di includere una piramide umana a sei livelli nel programma dell’evento, avevano determinato anche che non ci sarebbero stati incidenti.
Avevano preso varie misure e precauzioni a quello scopo, studiando il modo migliore e più sicuro di formare la piramide, e avevano recitato insieme Daimoku con grande impegno per la riuscita dell’evento.
Nel selezionare i partecipanti per la performance, avevano dato la priorità ai ragazzi esperti di ginnastica e avevano organizzato un programma di allenamenti. Ogni giorno, i giovani coinvolti si allenavano nella corsa, nei piegamenti e in altri esercizi per rinforzare i muscoli della schiena, delle gambe e del busto.
Prima delle sessioni di allenamento all’aperto dei membri della squadra, i volontari dei Gruppi uomini e donne della zona ripulivano il terreno da pietre e schegge di vetro, di modo che nessuno si ferisse.
Il Buddismo è ragione. In uno dei suoi scritti, Nichiren Daishonin elogia un discepolo per «la consueta prudenza» (RSND, 1, 888). Prendere tutte le precauzioni possibili ed essere preparati a qualsiasi evenienza sono le chiavi del successo.

[3] Un radioso cielo blu si stendeva sul Kansai sempre vittorioso. Alle 13.30 del 22 marzo iniziò il Festival culturale dei giovani con una marcia per la pace che vedeva la presenza di diecimila nuovi membri del Gruppo giovani. Quei ragazzi avevano intrapreso il sentiero Soka, alla ricerca di un modo positivo di trascorrere la loro giovinezza e condurre la loro esistenza. Quel giorno, sfilarono insieme con orgoglio fino allo stadio.
Vedendoli entrare, i membri che avevano parlato loro del Buddismo del Daishonin e li avevano introdotti alla pratica nonostante le continue critiche e vessazioni da parte del clero della Nichiren Shoshu, si commossero fino alle lacrime.
L’energia dei nuovi compagni di fede è la forza trainante che porta alla creazione di un futuro luminoso.
Dopo che furono issate la bandiera delle Nazioni Unite e quella della Soka Gakkai, un coro di duemila membri cantò Giovani, scalate la montagna di kosen-rufu del ventunesimo secolo, una canzone adattata da una poesia che Shin’ichi Yamamoto aveva scritto per i giovani. Nel frattempo, lo stadio si riempì di giovani donne in candide vesti svolazzanti che iniziarono a eseguire una coreografia creata da loro stesse.
Si susseguirono molte altre esecuzioni artistiche emozionanti: una parata delle bande musicali composte dalle ragazze del Gruppo giovani donne e del Gruppo futuro, vere messaggere di pace; uno spettacolo di ginnastica ritmica eseguito dagli studenti delle scuole superiori; una danza delle giovani donne; un’altra danza eseguita da studenti vestiti con l’hakama, l’abito tradizionale giapponese; una presentazione cronologica dei trent’anni di storia della Soka Gakkai del Kansai, che combinava musica, narrazione e pannelli coreografici nelle tribune con l’apporto del pubblico; un’esecuzione ginnica dei bambini delle scuole elementari e medie; un altro balletto eseguito dalle giovani donne; l’esibizione di una banda musicale e la potente esecuzione di tamburi taiko, intitolata Taiko dell’eterna vittoria.
Giunse infine il momento dell’esibizione ginnica dei giovani uomini. Lanciando un grido simile a un ruggito, quattromila giovani uomini si precipitarono in campo. Accompagnati dalle note di alcune canzoni della Gakkai, come Kurenai no uta (“La canzone dell’alba cremisi”) e Genya ni idomu (“Sfidarsi per aprire nuove frontiere”), i ragazzi cambiavano via via formazione: un mare di onde increspate e “missili umani” lanciati in volo, otto diverse piramidi umane a cinque piani e infine, al loro centro, la grande piramide a sei livelli che cominciava a prendere forma.
Il primo livello comprendeva sessanta ragazzi; il secondo, venti; il terzo, dieci; il quarto, cinque; il quinto, tre; il sesto, una sola persona.
Per primi si posizionarono i giovani del primo livello, mentre gli altri trentanove si preparavano a salire sulle loro spalle. Se il primo livello avesse vacillato, non avrebbe potuto sostenere i livelli superiori. I membri del secondo livello presero posizione, accovacciati in cerchio sulle spalle dei compagni del primo livello, mentre i membri del terzo, del quarto e del quinto livello li seguirono poco dopo assumendo la stessa posizione sulle spalle dei compagni del livello sottostante. Infine, l’ultimo membro salì in cima, al sesto livello.
«Pronti, via!» L’esortazione di partenza segnava la storia di una sfida per oltrepassare i propri limiti. Ogni membro della squadra mostrava una sicurezza forgiata attraverso un intenso allenamento.

[4] I giovani al secondo piano della piramide umana raddrizzarono le gambe, alzandosi dalla posizione accovacciata; dovevano sopportare il peso di altri diciannove giovani sulle loro spalle. A loro volta, alzandosi, facevano ancora più pressione sulle spalle di quelli sotto di loro. Se i membri del secondo livello non si fossero allineati secondo un solido schieramento, quelli sopra di loro avrebbero perso l’equilibrio e sarebbero caduti. I ragazzi strinsero i denti e si raddrizzarono. Successivamente, anche i giovani del terzo e poi del quarto livello si alzarono a turno allo stesso modo. Tremavano tutti per la tensione muscolare.
Un elicottero con lo staff addetto alla ripresa aerea dell’evento cominciò a girare in cerchio sopra le loro teste, con le pale rotanti che creavano improvvisi spostamenti d’aria.
La piramide, non ancora completa, oscillò da una parte all’altra, e ognuno dei membri che la componevano si sforzò insieme agli altri per mantenerla stabile. I giovani che circondavano la base della piramide recitavano Daimoku silenziosamente; dopo pochi attimi l’elicottero si allontanò.
I giovani del quinto livello si alzarono in piedi, mentre in sottofondo risuonavano i tamburi delle bande musicali.
L’ultimo giovane, che da solo avrebbe formato il sesto livello, fece un tentativo di alzarsi in piedi ma non riuscì a trovare l’equilibrio. Piegando di nuovo la schiena, mise la mano sulla spalla di un giovane sotto di lui per ottenere stabilità.
Gli spettatori ansimavano e trattenevano il fiato, fissando la cima della piramide.
I compagni nelle file sottostanti gridavano silenziosamente in cuor loro: «Raddrizzati! Noi ti sosteniamo!», mentre dal pubblico si sentivano voci che gridavano: «Forza, puoi farcela!»
Il giovane fece un respiro profondo, alzò lo sguardo in alto e poi si alzò con un unico movimento fluido.
In cima alla piramide, distese le braccia verso il cielo.
Lo stadio Nagai esplose in grida e applausi fragorosi. In una tribuna, pannelli dai colori vivaci composero la scritta “Lo spirito del Kansai”.
Shin’ichi Yamamoto applaudì vigorosamente. Il giovane in cima alla piramide gridò qualcosa. Era un grido che gli veniva dal cuore, anche se nessuno riusciva a sentirlo, soffocato com’era dagli applausi e dalle grida.
Aveva urlato «Koji, ce l’abbiamo fatta!»
Quel giovane si chiamava Hiroyuki Kikuta; Koji era il nome del suo caro amico e compagno di fede Koji Ueno, deceduto solo cinque giorni prima. Ueno lavorava presso la sua stessa ditta di impianti idraulici e aveva aderito al Festival culturale come membro della squadra di ginnastica. Ma il 17 marzo era morto per una malattia improvvisa. Con l’intento di soddisfare il desiderio del suo amico che la loro impresa avesse successo, Kikuta si era sfidato fino alla fine. La piramide umana a sei livelli formata dai giovani uomini rappresentava anche un meraviglioso e indistruttibile monumento all’amicizia.

[5] Era il 6 marzo quando Koji Ueno, che aveva partecipato regolarmente alle sessioni di allenamento con i membri della squadra di ginnastica, riferì di sentirsi poco bene e fu portato al pronto soccorso di un ospedale locale. Dopo essere stato visitato da un medico, fu mandato a casa, ma più tardi iniziò a sentirsi disorientato e confuso, e fu ricoverato nuovamente. Sebbene fosse in uno stato di semi incoscienza, continuava a ripetere: «Il mio migliore amico arriverà in vetta alla piramide umana a sei piani».
Poco tempo dopo perse completamente conoscenza e l’ospedale lo trasferì in una unità di terapia intensiva.
Hiroyuki Kikuta corse all’ospedale, arrivando giusto in tempo per vedere Ueno che veniva trasferito su una barella. Fu allora che sentì Ueno dire debolmente ma chiaramente: «Trasformeremo l’impossibile in possibile!» Furono le sue ultime parole.
All’unità di terapia intensiva gli fu diagnosticata una grave emorragia subaracnoidea primaria. Il 13 marzo smise di respirare, ma grazie alla respirazione artificiale visse per altri quattro giorni, fino al 16 marzo, il giorno di kosen-rufu.
Si spense serenamente il pomeriggio successivo. Accanto al suo letto era appesa l’uniforme blu che avrebbe dovuto indossare durante l’esecuzione ginnica al Festival culturale.
All’unità di terapia intensiva, Kikuta promise all’amico scomparso: «Koji, farò del mio meglio anche per te!». Il 18 marzo, con una foto di Ueno nel taschino della giacca, Kikuta si diresse verso la palestra delle scuole medie e superiori femminili di Katano per allenarsi.
La squadra di ginnastica non era ancora mai riuscita a formare la piramide a sei livelli, ma quel giorno riuscirono a portare a termine quella difficile impresa per la prima volta.
Quello stesso giorno, i giovani che si allenavano nella palestra della scuola Soka e tutti i loro compagni di squadra che si stavano allenando in altre località, furono informati della morte di Ueno, del suo spirito invincibile e delle sue ultime parole:
«Trasformeremo l’impossibile in possibile!»
I cuori di quei quattromila giovani uomini si fusero, divennero una cosa sola e si infiammarono di determinazione.
Kikuta aveva impresso dentro di sé le ultime parole di Ueno e, sfidandosi ai limiti delle proprie capacità, aveva messo in scena uno spettacolo meraviglioso, concretizzando la dichiarazione dell’amico: «Trasformeremo l’impossibile in possibile!» A Koji Ueno fu conferita la carica postuma di responsabile onorario di centro del Gruppo giovani uomini. Sua madre fece questa riflessione: «Quando mio figlio frequentava il secondo anno di scuola media, quasi morì a causa del morbo di Werlhof. Guardandomi indietro, sono certa che abbia prolungato la sua vita di parecchi anni grazie ai benefici che derivano dalla fede nel Gohonzon».

[6] In una lettera inviata a Shin’ichi Yamamoto, la moglie di Koji scrisse: «Concludendo la battaglia contro il suo karma, mio marito si è spento con un’espressione di innocenza quasi infantile sul volto. Ci ha lasciato un’inconfutabile testimonianza della fede.
Donando tutto se stesso, fino alla fine, ci ha insegnato cosa significa praticare il Buddismo del Daishonin, cosa significa lottare e vincere sul proprio karma».
Furono raccolte le firme e le determinazioni scritte dai partecipanti al Festival e i compagni di squadra di Koji Ueno vollero includere il suo nome. Fu la moglie a firmare in sua vece e nella dedica scrisse: «Kosen-rufu è la mia vita! Koji Ueno, responsabile onorario di centro dei giovani uomini».
Quando glielo riferirono, Shin’ichi offrì le proprie preghiere in memoria di Koji Ueno e recitò Daimoku per sua moglie, pregando che lei continuasse a dedicarsi a kosen-rufu al posto del marito defunto e che conducesse una vita felice.
Molti dei giovani che si erano esibiti nel Festival culturale facevano parte di una generazione poco incline agli allenamenti intensivi e alle attività di gruppo. Erano tutti giovani molto impegnati nel lavoro o negli studi.
Partecipare agli allenamenti e alle sessioni di prova che avevano preceduto il Festival culturale era stata per loro una battaglia in cui non avevano voluto lasciarsi configgere dalla propria debolezza; era stata anche una corsa contro il tempo. Per tutto il periodo della preparazione avevano recitato Daimoku e continuato a sfidarsi sulla base della fede, incitandosi a vicenda a non arrendersi.
Dal loro impegno erano scaturite meravigliose esperienze di rivoluzione umana e di amicizia. Attraverso la partecipazione al Festival culturale avevano appreso lo spirito della Soka Gakkai, lo spirito di affrontare coraggiosamente le difficoltà; avevano inoltre imparato a mettere in pratica questo spirito nella loro vita.
In quel momento avevano ereditato l’invincibile spirito del Kansai di riuscire ad abbattere qualsiasi barriera, anche quelle apparentemente impossibili da superare.
Dov’era nato lo spirito del Kansai?
Tutto era partito dal desiderio di Josei Toda di cancellare la povertà e la malattia dalla popolazione di Osaka e di consentire a ogni individuo, senza eccezioni, di diventare felice.
Per realizzare questo desiderio mandò il suo discepolo Shin’ichi Yamamoto nel Kansai, perché agisse in sua vece. Facendo suo lo spirito del maestro, Shin’ichi assunse la guida del movimento di kosen-rufu in quella regione, viaggiando in lungo e in largo per incoraggiare e ispirare i membri.
Nel maggio del 1956, in un solo mese, il capitolo Osaka del Kansai raggiunse il risultato record di 11.111 nuove famiglie che si unirono alla Soka Gakkai, ottenendo una clamorosa vittoria della gente comune.

(continua)

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