Ho deciso di chiamarlo semplicemente per dirgli che gli volevo bene e, ancora una volta, l’ho disarmato. Lui mi ha risposto con una risata tenera che conosco bene. È fiero di me e mi vuole bene e anche se non riuscirà a esprimerlo apertamente, ho imparato a cogliere i segnali
Sono nato a Milano e ora vivo a Udine. Primogenito di tre figli, ho sempre avuto un rapporto molto conflittuale con mio padre. L’unico ricordo felice della mia infanzia con lui è un gioco che facevamo: lottavamo e lui mi lasciava vincere, sempre. Da un certo punto in poi ho cominciato a sentire che avrei dovuto, invece, sempre perdere in ogni “lotta” con lui. In me ha iniziato a svilupparsi un senso di impotenza. Si comportava da padre padrone, autoritario, aggressivo e spaventoso. Avevo il terrore di sbagliare conoscendo le possibili, spesso violente, conseguenze. Le sue reazioni terrorizzavano me e le mie sorelle. Mia madre era succube, inerme e sempre più passiva e se reagiva, per esempio, mio padre rovesciava il tavolo da pranzo con tutto quello che c’era sopra.
Lui diceva che eravamo fortunati perché non subivamo quello che aveva sofferto lui: suo padre, quando picchiava i figli, li minacciava di dargliele ancora più forte se solo avessero emesso un singhiozzo. In realtà mio padre ha riprodotto questo meccanismo con noi, tale e quale. Niente abbracci, non una carezza. Io mi sentivo insicuro, rifiutato e disprezzato. Nei rari momenti in cui sembrava aprirsi scoprivo, purtroppo, che era per un secondo fine. Ora comprendo che il cuore di mio padre era un cuore indurito.
Ho sempre continuato a cercare di comunicare con lui, ma quando riuscivo a dimostrargli il mio affetto sincero in maniera esplicita, la sua risposta abituale era: «Quando il diavolo ti accarezza è perché l’anima vuole!».
Osservando il rapporto molto conflittuale tra i miei genitori ho deciso che il mio matrimonio non sarebbe mai stato così e con questa convinzione, all’età di ventiquattro anni e dopo un fidanzamento di sei, mi sono sposato. Nel 1993 abbiamo iniziato la nostra avventura coniugale, ma non eravamo felici. Presto mi sono reso conto di essere fuggito da mio padre, ma che dalla padella ero finito nella brace. Ricordo che in quel periodo credevo e temevo di non essere all’altezza di educare un figlio, se mai lo avessi avuto. Dopo sette anni di matrimonio sono giunto alla decisione sofferta di porvi fine e di fare ritorno nella “padella”, vale a dire dai miei genitori.
Nel 1999, a novembre, ho deciso di partecipare a una riunione di discussione dopo che un amico, Walter, per ben cinque volte, mi aveva invitato. Ho accettato per cortesia, chiedendogli, reduce da varie esperienze, se ci fosse qualcosa da pagare. Tra l’altro, proprio in quel periodo, un collega mi esortò a «non recitare mai Nam-myoho-renge-kyo» perché mi avrebbe portato sfortuna.
Tornato in famiglia, alle origini della mia sofferenza, mi sono ritrovato a lavorare a stretto contatto con mio padre, nell’azienda di famiglia, ma avevo la possibilità di brandire la “spada affilata” del devoto del Sutra del Loto.
Così ho iniziato a recitare molto Daimoku. Poi, nel 2002, ho ricevuto il Gohonzon, subito seguito da una intensa attività di protezione come soka-han. Mi sono state proposte delle responsabilità, ho realizzato tante esperienze, mi sono impegnato con costanza nelle attività che si svolgevano nel precedente Centro culturale di Milano, incoraggiato anche dalle esperienze degli altri compagni di fede, dai video del nostro maestro, dalle riunioni di studio alle quali cercavo di non mancare mai. Ricordo che, alla fine di una di queste riunioni, una donna mi disse: «Riesco già a vedere il giorno in cui vincerai con il tuo papà e sarai un uomo felice!». Tutto il percorso nella Soka Gakkai, anche i momenti difficili, è inciso nel mio cuore in maniera indelebile e mi sento fortunato.
Con mio padre continuava il conflitto, ma io sviluppavo e manifestavo la mia umanità, aiutato dal costante Daimoku e dalle attività che facevo. Cominciavo a desiderare una compagna con la quale creare davvero valore e, a un certo punto, ho avuto la certezza che sarei stato in grado di crescere ed educare un figlio.
Nel Gosho di Capodanno si legge: «L’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008). Inizialmente comprendevo questa frase con la mente, ma non riuscivo a farla completamente mia.
Dopo alcune esperienze sentimentali, ho incontrato una donna, (in seguito poi diventata anch’essa membro), con la quale ho iniziato una relazione complicata, che mi ha permesso di trasformare il mio karma sentimentale attraverso grandi sofferenze. La nostra storia si è conclusa quando mi ha detto che avrei dovuto scegliere tra lei e un corso buddista. Ero responsabile di squadra soka-han e avevo l’onore e l’onere di portare fisicamente il Gohonzon del Centro culturale al corso. In quel momento non avevo più dubbi: la vita mi stava dando l’opportunità di scegliere coraggiosamente e io, senza pensarci due volte, ho rinnovato il mio voto per kosen-rufu, decidendo di partecipare al corso dove ho conosciuto la persona che poi è diventata mia moglie e la madre dei nostri piccoli.
Io e Silvana ci siamo fidanzati il 17 febbraio 2006 dopo un anno, ci siamo sposati e in seguito trasferiti a Udine con la disapprovazione di mio padre, che si è sentito abbandonato da me. A Udine sono nati i nostri due bambini: Angelo, che è il nome di mio padre, nel marzo del 2008 e Massimo a dicembre del 2009.
Nel 2010 ho deciso di concludere il percorso di studi iniziato e interrotto molti anni prima. Nel 2011 ho cambiato lavoro e sono stato assunto dall’azienda che volevo. Contemporaneamente ho conseguito il diploma di perito meccanico presso la scuola statale serale di un prestigioso istituto udinese. Tutto questo è stato possibile grazie a mia moglie, una fantastica compagna per kosen-rufu, e ai suoi genitori, che mi danno molto affetto e mi dimostrano che esiste ciò che ho sempre cercato: una famiglia armoniosa.
Intanto il rapporto tra me e mio padre migliorava. Non provavo più alcun tipo di rancore e il suo atteggiamento non mi feriva più come una volta. Determinavo in cuor mio di non cogliere più le sue offese tant’è che, a una sua ennesima provocazione, una delle tante quando andavo a Milano, ho deciso di abbracciarlo e gli ho detto con voce chiara e tranquilla: «Papà anche se mi dici queste cose con l’intento di ferirmi, io ti voglio bene lo stesso». Incredibilmente, in questo modo, l’ho disarmato e si è addolcito a tal punto che più tardi, senza motivo, ha abbracciato mia sorella, che è rimasta stupita.
Qualcuno dice che la tristezza è contagiosa. Sto imparando che lo è anche la gioia, dipende esclusivamente da noi.
Recentemente, dopo che a una riunione di discussione avevamo parlato del Bodhisattva Mai Sprezzante, ci siamo sentiti telefonicamente, lui era particolarmente alterato e mi ha lasciato bruscamente. Anche mia mamma e le mie sorelle mi hanno esortato a lasciare perdere perché “tanto non cambierà mai”. Ho deciso di chiamarlo il giorno dopo, semplicemente per dirgli che gli volevo bene e, ancora una volta, l’ho disarmato. Lui mi ha risposto con una risata tenera che conosco bene. È fiero di me e mi vuole bene e anche se non riuscirà a esprimerlo apertamente, ho imparato a cogliere i segnali, a sentire il suo cuore che si sta ammorbidendo, lentamente, sempre più e la sua sofferenza sciogliersi. Così ho “ritrovato” l’amore per lui. Adesso ci sentiamo spesso ed è sempre più coinvolto nei confronti dei nipotini e della mia famiglia. Non mi sento più in lotta con lui o contro di lui, ho solo il desiderio di coccolarlo e di prendermene cura e mi invento le occasioni per farlo.
Mentre trasformo il nostro rapporto, sento che miglioro, di pari passo, come uomo e come padre. Sto sperimentando la devozione filiale e mi rincuorano le parole del presidente Ikeda: «Il Buddismo è donare la felicità a tutti. Questo non solo ci fa diventare felici ma pone le cause per l’Illuminazione dei nostri antenati di sette generazioni e per la felicità dei nostri figli, nipoti, e discendenti di tutte le generazioni future. Questo è il grande beneficio del Buddismo» (Giorno per giorno, 31 maggio). Così anche mio nonno, che trattava in maniera disumana i suoi figli, raggiungerà la Buddità. Credo che tutto ciò sia fantastico.
Adesso sono pronto a una grande rivoluzione lavorativa. Per questo e per vedere un Friuli-Venezia Giulia rigoglioso di nuovi bodhisattva, voglio unire le mie forze con i miei compagni di fede in una attività sempre più gioiosa.
Recitando Daimoku con fede sincera, possiamo davvero trasformare l’impossibile in possibile. Grazie, papà.