È difficile trasformare un karma “pesante” pensando solo alla propria vita, bisogna dedicarsi agli altri. Pensare solo a se stessi è limitato, pensare agli altri, avere la forza anche per gli altri è vivere la condizione del Budda
Ho iniziato a praticare il Buddismo nel 1986 e dopo due anni ho ricevuto il Gohonzon.
Dopo aver trasformato grandi sofferenze tra le quali anche quella di non riuscire a trovare il compagno giusto, incontro Manrico che è il mio compagno di vita da quindici anni. Nel 2005, dopo aver provato per qualche anno ad avere un figlio, ci siamo rivolti a un medico senza ottenere alcun risultato, intraprendendo un percorso per niente facile. In quel periodo, sia per le cure a cui mi sottoponevo che per un disagio interiore, stavo sempre male, ero debole e fare anche la più piccola cosa mi costava un’enorme fatica. Ho sempre recitato tanto Daimoku e consapevole del suo potere ripartii da questo. Stavo affrontando qualcosa che strangola la vita e in più ero circondata dal pregiudizio: una donna che “osava” desiderare un figlio sulla soglia dei quarant’anni. Con il mio compagno decidemmo comunque di andare avanti su un percorso che sarebbe durato nove anni. Andavamo da medici specialisti che, non capendo cosa avessi, si limitavano a dirmi: «Non ha speranze, le percentuali di successo alla sua età sono minime, non s’illuda, lasci perdere». Nessuno di loro si prendeva cura di me. Decisi che non mi bastava che fossero bravi, volevo un vero interesse al mio problema. Con Manrico avevamo affrontato anni di cure, fallimenti e frustrazioni a causa di medici demotivati. Sostenuta dal Daimoku ero decisa a trasformare in modo assoluto queste sofferenze. Non potevo lasciare il mio desiderio in sospeso e poi magari confrontarmi con questa amarezza per il resto della vita. Sentivo che c’era qualcosa di molto profondo, vivevo sentimenti di lutto e tristezza per un figlio che non riusciva a nascere e che sentivo perduto: stavo desiderando la vita e combattevo sentimenti di morte. Una disperazione atroce e inspiegabile, ma assolutamente vera. Sempre più spesso però mi trovavo a pensare: «Che fortuna immensa poter recitare Nam-myoho-renge-kyo! Solo così posso trasformare il mio karma». So che se non avessi praticato sarei stata una donna infelice.
Osservavo altre coppie che come noi erano consumate dall’angoscia e dall’impotenza di fronte a un problema spesso insondabile date le infinite coincidenze che determinano una nascita. Decisi di trasformare la mia sofferenza per incoraggiare tutte le donne con le mie stesse difficoltà.
Gli anni passavano, ma il malessere e il desiderio restavano. Recitavo sempre tanto Daimoku, fino a quattro ore al giorno, decisa a trasformare qualsiasi cosa mi si presentasse e usavo tutta la mia energia per fare attività e incoraggiare le persone. Nel 2009 partecipai alla giornata di studio a Milano dove Katsuji Saito, l’allora responsabile del Dipartimento di studio della SGI, pose l’accento sull’importanza delle azioni che trasformano il karma. Saito sottolineò come tali azioni devono portare valore anche nella vita delle altre persone e poiché è difficile trasformare un karma “pesante” pensando solo alla propria vita, è fondamentale dedicarsi agli altri. Volevo trasformare radicalmente il mio karma e arrivare al punto dove non c’è più sofferenza, in cui la vita va da sé, senza affannarsi dietro alle cose. Pensare solo a se stessi è limitato, pensare agli altri, avere la forza anche per gli altri, è vivere la condizione del Budda.
Decisi così di contattare la Regione Toscana ottenendo un colloquio con il presidente della Quarta Commissione Sanità. Gli esposi tutta la sofferenza e le difficoltà incontrate nel mio percorso medico dicendogli chiaramente che desideravo che la mia esperienza fosse d’aiuto ad altre donne, affinché nessun’altra dovesse soffrire così tanto per avere un bambino. Alla fine del colloquio mi chiese di scrivere una relazione da presentare alla commissione, che proprio grazie a questa, decise di lanciare un progetto di monitoraggio in tutta la regione, per valutare gli esiti positivi e negativi delle nascite in ogni ospedale toscano. Ero riuscita a compiere un’azione che portava giovamento a tante altre coppie e questo mi faceva stare decisamente bene.
Sentii fortemente che la vittoria è durante il percorso, la gioia non è all’arrivo quando ogni problema è risolto. Però provavo ancora dolore. La mia mente non riusciva a ipotizzare la mia vita felice senza un bambino.
La dura lotta interiore tra Buddità e oscurità mi stava rafforzando, e mi portò ad approfondire la pratica e la cura del Gohonzon e il desiderio di trasmetterlo ad altri. Andavo a trovare a casa tanti membri per incoraggiarli e nel 2011 partecipai a un corso estivo nonostante le difficoltà sia di salute che economiche. Arrivai con uno stato vitale altissimo grazie al Daimoku recitato insieme ai compagni di fede. Al corso decisi di mettere tutta la mia sofferenza in una “valigia” e di lasciarla lì, avevo deciso di rendere la mia vita e la mia mente libere da ogni tipo di sofferenza.
Tornai a casa desiderando di essere felice a prescindere da quello che mi sarebbe successo, libera dal risultato. Per prima cosa desideravo che un altro Gohonzon entrasse nella mia famiglia e il mese dopo mia cognata divenne membro.
In seguito decisi di affidarmi, per un altro tentativo, all’unica dottoressa che in tutti quegli anni mi aveva ispirato fiducia per la sua umanità e professionalità. Finalmente avevo incontrato una persona meravigliosa che si prendeva cura di me. Il tentativo fallì, ma lei decise di andare fino in fondo per capire la causa: finalmente l’ambiente rispondeva alle mie preghiere. Feci delle analisi specifiche e il risultato fu che avevo ereditato una malattia rara che mi impediva di avere una gravidanza. Finalmente potevo chiamare per nome il problema che mi affliggeva da anni. Che gioia! Ora ci guardavamo di fronte ad armi pari, anzi… io ero decisamente avvantaggiata!
In quel periodo mi dedicai alla felicità degli altri in modo ancora più accurato. Insieme ai compagni di fede del settore realizzammo una grande crescita e numerosi compagni di fede decisero di ricevere il Gohonzon. Arrivò così il momento di un altro tentativo e finalmente gli esami del sangue per la gestazione erano positivi. Una grande gioia per tutti. Sembrava tutto risolto, ma alla fine del terzo mese un’emorragia fece precipitare la situazione: il battito non c’era più. Ancora una volta una disperazione immensa m’invase completamente. Avevo superato la mia sofferenza, la mia malattia aveva un nome, cos’altro c’era che mi sfuggiva e non comprendevo? Non capivo! Daimoku, Daimoku e ancora Daimoku. Come le altre volte recitai per questa vita che non era riuscita a nascere e per approfondire ancora la mia. In più al lavoro non mi avevano attivato la maternità e in mezzo a questa sofferenza mi ritrovai a dover far valere i miei diritti andando in giro per uffici. Neanche il tempo per metabolizzare il lutto. Con mio marito avevamo deciso di mantenere la nostra lotta riservata ma davanti al Gohonzon capii che era arrivato il momento di renderla pubblica. Volevo raccontare la mia esperienza per incoraggiare le persone a non crollare di fronte agli ostacoli, a non abbandonare la battaglia senza una risposta precisa e determinai che avrei tentato ancora.
La mia mente era libera, la mia unica preoccupazione era per le persone del capitolo che volevo sostenere in tutti i modi. A ottobre 2012 feci un altro tentativo, questa volta erano i medici che mi incoraggiavano a non mollare. Dopo poco i valori erano nuovamente positivi. Quando cominciai a raccontare che ero incinta la gioia fu generale, e la reazione delle persone era d’incoraggiamento e speranza di fronte alle avversità della vita. Era come se tutti sentissero d’aver vinto. La gravidanza è stata molto serena, ero carica d’energia nonostante i miei quarantanove anni, tanto che ho fatto attività fino al nono mese, cercando di incoraggiare più persone possibile.
Prima del parto siamo anche riusciti a dividere il settore proprio come desideravo.
Posso dire di essermi impegnata molto per kosen-rufu e di aver ottenuto grandi benefici. Di questo devo dire grazie a molte persone, oltre a mio marito e ai miei genitori.
Mio figlio – la cosa più bella che mi accompagna ogni giorno – dal momento che è nato cerca lo sguardo delle persone per donargli un grande sorriso! Uno dei miei scopi era quello di riscaldare il cuore dei miei cari e Dario riesce in questo molto più di me. Che sappia qualcosa? Mah!