Per costruire solidi legami umani è necessaria una fiducia reciproca, che non nasce dall’oggi al domani, ma si costruisce attraverso la somma di piccole azioni quotidiane. Un impegno costante in questa direzione è il primo passo per kosen-rufu
Prosegue la pubblicazione del terzo capitolo del volume 27, “Strenua lotta”
Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto
[23] Non appena iniziò a praticare, Kiyoô Hayashida tornò subito in salute. Continuò a sfidarsi impegnandosi nell’attività di propagazione e così il suo carattere introverso, che gli creava qualche difficoltà a parlare in pubblico, pian piano cambiò.
Più che lo stesso Kiyoô, furono le persone intorno a lui che si accorsero per prime del suo cambiamento. Parlò di Buddismo al suo caporeparto e questi, guardandolo attentamente negli occhi, accettò il suo invito ed entrò a far parte della Soka Gakkai.
Il fatto che Hayashida fosse un membro della Soka Gakkai era risaputo da tutti sul luogo di lavoro; perciò in cuor suo si diceva sempre: «Quando sono al lavoro sulle mie spalle c’è la Soka Gakkai. Il giudizio che tutti daranno dell’organizzazione dipenderà dal mio atteggiamento, dall’opinione che avranno di me. Per questo non devo in nessun caso recare problemi ai miei colleghi. Devo assolutamente vincere sul luogo di lavoro!». Così si impegnò al massimo cercando di essere un modello per gli altri, prendendo sempre l’iniziativa.
Bisogna decidere nel proprio cuore: “La fede è la vita quotidiana”, “La fede è il lavoro”, “La fede è il nostro comportamento come persone”. Portando avanti questo atteggiamento e impegnandoci con serietà nel lavoro nascerà la fiducia e, di conseguenza, si propagherà kosen-rufu.
La fiducia non nasce dall’oggi al domani. Si costruisce invece attraverso la somma di piccole ma costanti azioni quotidiane. Tale fiducia diverrà il fondamento sul quale costruire solidi rapporti umani.
Nel dicembre del 1964 Hayashida divenne responsabile del capitolo Minami Shinjuku. In occasione della cerimonia di consegna della bandiera del capitolo, il presidente Shin’ichi Yamamoto gli disse: «Ce la metta tutta, mi raccomando!». Nel suo cuore vibrava un forte sentimento: «Questo responsabile è colui che in mia vece terrà alto il vessillo del capitolo, proteggerà i membri e porterà avanti la lotta di kosen-rufu», perciò nelle sue brevi parole Hayashida percepì il cuore di Shin’ichi quasi tremando per l’emozione.
Iniziò così la sua lotta caparbia, costante e tenace. Divenne in seguito responsabile generale di capitolo e poi direttore della Soka Gakkai, continuò sempre a incontrare personalmente ogni singolo membro, a dare guide e incoraggiamenti in modo regolare e costante. Il suo motto per far crescere persone di valore era: “Agire insieme”.
[24] Hayashida coltivava più di chiunque altro un forte senso di missione e di responsabilità per kosen-rufu. Non aveva mai desiderato diventare una persona importante. Il suo unico pensiero era: «Come posso dedicarmi fino in fondo agli altri? Come posso valorizzare le peculiarità di ciascuno?». Questo è il requisito più importante per un responsabile della Soka Gakkai. Se invece l’ambizione profonda di un responsabile è servirsi dell’organizzazione per conquistare fama e fortuna, il suo cuore è già corroso dalle funzioni demoniache.
La fede non è altro che una lotta interiore in cui bisogna riconoscere e vincere queste tendenze che si annidano dentro la nostra vita. Hayashida, per il bene di kosen-rufu, si impegnò al meglio nel lavoro, pensando di dover assolutamente mostrare la prova concreta della pratica buddista proprio lì. Divenne una figura di riferimento nell’ambito lavorativo, prima capo del centro gestione computer e poi occupandosi della formazione del personale presso l’Accademia centrale delle Ferrovie, il centro addestramento delle Ferrovie nazionali.
Nel 1978 andò in pensione per raggiunti limiti di età, ma [quando incontrò Shin’ichi, n.d.t.] aveva appena iniziato un nuovo lavoro. Guardando Hayashida, Shin’ichi disse: «Nichiren Daishonin afferma: “Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese. Se la vostra determinazione cala anche solo un po’, i demoni prenderanno il sopravvento» (Le persecuzioni che colpiscono il Santo, RSND, 1, 885).
Se pensiamo di aver ormai raggiunto una certa età, se il nostro cuore si affievolisce e iniziamo a pensare di allentare il nostro impegno nelle attività della Soka Gakkai, la nostra fede inizia a regredire. Nella fede non c’è l’età della pensione. Anche se fossimo stati una figura centrale nell’organizzazione, ma negli ultimi anni della nostra esistenza ce ne allontaniamo e trascuriamo la pratica, segneremo la sconfitta della nostra vita. In un primo momento potrà sembrare tutto più bello, ma alla fine ci ritroveremo soli, non ci sentiremo appagati da niente e non riusciremo a sentire vera gioia nel profondo del cuore. Negli ultimi anni si compie l’opera di completamento del percorso di fede. Vi prego di essere giovani capitani coraggiosi! Mostrando riprovazione per i responsabili che si preoccupano solamente di cavarsela, sostenete la Soka Gakkai con fermezza e sincerità. In questo atteggiamento risiede il segreto per una vita autentica e meravigliosa. Voglio che lei sia la prova di tutto questo con la sua esistenza».
Il desiderio di Shin’ichi era che i pionieri di kosen-rufu fossero per tutti il modello dell’autentico praticante buddista. Era infatti profondamente convinto che ciò sarebbe stata la forza motrice capace di dare impulso al corso dei successori.
[25] Il 9 maggio 1978, nell’incontro con i rappresentanti della circoscrizione di Nerima, dopo aver ascoltato i resoconti dei partecipanti, Shin’ichi avviò un dialogo sulla gestione futura dei Centri culturali.
Lo stesso giorno ebbe anche un incontro sulla filosofia della vita con il gruppo di studio femminile di Nerima, istituito con le giovani donne il 9 maggio dell’anno precedente. Shin’ichi disse loro: «Kosen-rufu è una lunga lotta: sia nella vostra vita che nel cammino della Soka Gakkai incontrerete numerose prove. Non dovete mai smettere di praticare, diventate regine della fede, ammirate da tutti per l’impegno profuso nella pratica buddista. Aspetto con ansia il giorno in cui tutte voi guiderete meravigliosamente il movimento di kosen-rufu, quando nel ventunesimo secolo sarete ormai diventate figure centrali della Divisione donne». Shin’ichi non sprecava un attimo del poco tempo che aveva a disposizione e, tra un incoraggiamento e l’altro lesse loro, per incoraggiarle, una poesia haiku [poesia giapponese composta da tre versi e un totale di ventitré sillabe, n.d.r.]. Presenziò poi alla cerimonia di Gongyo per inaugurare il nuovo Centro culturale di Nerima. «Buonasera e congratulazioni!».
Dopo questo breve saluto, egli guidò una solenne cerimonia di Gongyo, al termine del quale disse: «Quella di oggi è una riunione della nostra famiglia Soka, evitiamo quindi di fare discorsi troppo formali. Sarò io a fare il presentatore. Allora chiediamo ai responsabili di questa circoscrizione di fare un saluto improvvisato, senza l’ausilio di un testo già preparato per l’occasione». Satoshi Ootsuki, responsabile di Nerima, andò verso il microfono senza poter leggere il suo intervento. Era madido di sudore.
«Questo Centro culturale è il frutto del vostro sincero contributo – disse -. Anche l’illuminazione sul soffitto è la luce della vostra fede». Si sentì subito la voce del presentatore che lo interruppe: «In genere la luce si trova sempre sul soffitto. È ovvio che sia così!». Nella sala esplose una risata.
Shin’ichi si rivolse allora a un anziano signore incaricato nel suo nucleo di dare guide sulla fede, invitandolo a dire qualcosa. Quando l’uomo raccontò la gioia e le determinazioni in occasione della realizzazione del nuovo Centro culturale, gli disse: «L’importante è avere questa determinazione nel cuore. Oggi tu sarai il “presidente della Soka Gakkai per un giorno”». Così dicendo gli strinse la mano e lo invitò a sedersi al suo posto.
Con questo gesto Shin’ichi voleva far comprendere a tutti che nella Soka Gakkai non vi era spazio per l’autoritarismo o il formalismo: era il regno della perfetta armonia fra gli esseri umani, dove le persone potevano migliorare se stesse attraverso uno spirito di sana competizione.
[26] Dopo l’esibizione dei cori delle varie Divisioni, proseguì con tono informale citando un proverbio che descriveva bene il carattere degli inglesi: «Un inglese da solo si annoia; se sono in due fanno sport; in tre decidono di costruire il proprio grandioso paese e discutono su come farlo».
«Facendo un parallelo con noi della Soka Gakkai – disse Shin’ichi, – il proverbio diventa: un membro della Soka Gakkai quando è da solo recita Gongyo; se sono in due si dedicano allo studio; se sono in tre, discutono su come realizzare kosen-rufu e agiscono in questa direzione. Il mio desiderio è che avanziate coltivando questa determinazione nel cuore».
Diede poi una guida citando il Gosho L’essenza del capitolo Re della Medicina e li pregò di incidere profondamente nel loro cuore la frase: «Il Sutra del Loto è una montagna piena di tesori, i cui abitanti sono ricchi» (RSND, 1, 83). “Il Sutra del Loto è una montagna di tesori” vuole indicare il Gohonzon, dotato di infiniti poteri. Quindi coloro che hanno ricevuto e possiedono questo Gohonzon sono le persone dotate della più grande fortuna, sono persone naturalmente ricche, dove “ricco” non indica solamente una persona in condizione di agiatezza. La ricchezza che deriva dai soldi o dai beni materiali svanisce non appena questi se ne vanno. Più importante è la ricchezza interiore che ti permette di vivere, in qualunque circostanza e in qualunque ambiente, una vita in cui puoi assaporare continuamente gioia e appagamento grazie a una suprema, immensa condizione vitale. Questa è la condizione essenziale per realizzare la felicità nelle nostre vite.
«Le persone che hanno una forte fede – proseguì Shin’ichi – sono le persone più ricche. Vi prego di andare avanti coltivando questa certezza. Fede significa convinzione e per riuscire a svilupparla dovete accumulare esperienze, anche piccole, e benefici. La somma di queste vi porterà pian piano a sviluppare una grande convinzione nella fede. Per far questo è importante che le vostre preghiere quotidiane siano le più concrete possibile. Pregate con tutto il cuore per superare ogni sofferenza, ogni problema che vi affligge. La vostra fiducia si rafforzerà tanto quanti sono i problemi che riuscirete a risolvere».
[27] «Qualunque sia la prova che ci attende, coloro che l’affrontano lottando tenacemente, che proteggono i compagni di fede e si impegnano fino in fondo nella pratica buddista, alla fine vinceranno sicuramente. Le prove esistono per spronarci a migliorare noi stessi, per permetterci di compiere un grande balzo in avanti. Cercate quindi di rimanere sempre calmi e imperturbabili, qualunque cosa accada e, sorretti dall’ichinen di chi dice: “Adesso vi farò vedere di che cosa sono capace”, vi prego, avanzate con coraggio lungo la salita che porta al conseguimento della Buddità in questa esistenza».
Shin’ichi aveva concluso così il suo intervento a causa di quello che era accaduto tre o quattro anni prima nella zona di Kitamachi di Nerima, quando l’organizzazione era stata gettata nello scompiglio. In quegli anni vi era un responsabile di nucleo generale (corrispondente all’attuale capitolo) che, dubitando del Gohonzon, aveva parlato ripetutamente male della Soka Gakkai. Un certo numero di famiglie, la cui fede era già incrinata dai dubbi, abbandonarono la Gakkai. Inoltre le persone che si erano allontanate dall’organizzazione, sfruttando i rapporti umani che avevano stabilito al suo interno, invitarono anche membri al di fuori della loro zona a fare altrettanto. Il ritardo con cui si comprese il problema fece sì che molti responsabili, pur avendo percepito che c’era qualcosa di strano, non poterono spiegare a fondo la questione, alimentando il caos.
La sede centrale della Soka Gakkai, non appena saputo cosa stava accadendo, inviò il vice presidente Hisao Seki, i responsabili del Dipartimento di studio e della Divisione donne. Durante le visite a casa, essi esortarono i membri a unirsi e a dare vita a una grande ondata di propagazione. Tutti i nuclei generali della zona di Kitamachi, rispondendo agli incoraggiamenti dei responsabili, si convinsero che fosse giunto il momento di trasformare il veleno in medicina e avviarono con coraggio un’ampia campagna di propagazione. L’organizzazione rifiorì meravigliosamente e nel 1978, quando venne inaugurata la nuova suddivisione dell’organizzazione in capitoli, i membri, pieni di orgoglio, seppero dare inizio all’avanzata che tutti attendevano.
Shin’ichi, informato della vicenda fin dai primi momenti, in occasione di quella cerimonia commemorativa per incoraggiare i membri della zona di Kitamachi, aveva volutamente toccato l’argomento parlando del significato delle prove che incontriamo lungo il nostro cammino. Deng Yingchao, considerata la madre del popolo cinese, una volta disse: «Solo superando strenue lotte siamo in grado di temprare il nostro spirito e il nostro corpo e di trasformare il male in bene. Questa è la ragione per cui mi congratulo con te che stai affrontando delle avversità».
[28] Il 3 maggio Shin’ichi partì alla volta del Kyushu. Il suo unico pensiero era: «Voglio girare questo paese in lungo e in largo per incontrare e incoraggiare anche un solo compagno di fede in più». Il suo cuore era tormentato dal pensiero dei membri della Soka Gakkai costretti a soffrire per le calunnie e le offese dei preti meschini della Nichiren Shoshu. Il giorno successivo al suo arrivo al Training center del Kyushu, situato nella prefettura di Kagoshima, durante la visita incoraggiava i responsabili del Kyushu e gli impiegati del Centro. La sera partecipò alla riunione dei responsabili delle Divisioni uomini e donne di Hiroshima e alla riunione congiunta delle quattro Divisioni della circoscrizione Taito di Tokyo, che si svolgevano nell’ambito del corso primaverile della Soka Gakkai.
Dopo aver guidato Gongyo, incoraggiò i presenti citando il Gosho Il Devoto del Sutra del Loto incontrerà persecuzioni: «Tutti coloro che si considerano miei discepoli sappiano che questo è il tempo giusto per l’apparizione dei quattro bodhisattva. Perciò, non abbandonate mai la fede, anche a costo della vita […] [In questa epoca impura] dovete sempre parlare fra di voi e non smettere mai di pregare per la prossima vita». (RSND, 1, 399). Questa lettera fu scritta dal Daishonin a Sado nel 1274 e fu indirizzata a tutti i discepoli, a cominciare da Toki Jonin e Shijo Kingo. In quel periodo le persecuzioni contro i suoi discepoli si erano acuite, e circolavano ordinanze governative che ammonivano le persone a non seguire il Daishonin.
In questa situazione egli lanciò il suo appello incoraggiando i discepoli a non abbandonare assolutamente la pratica, anche di fronte a grandi persecuzioni, persino a costo della loro stessa vita. Il Daishonin diede ai discepoli questa guida: «[In questa epoca impura] dovete sempre parlare fra di voi e non smettere mai di pregare per la prossima vita», affinché tutti fossero in grado di portare avanti fino in fondo la loro pratica, qualsiasi cosa accadesse.
Shin’ichi lanciò con forza questo appello: «Gli esseri umani quando si trovano da soli sono deboli. A maggior ragione in mezzo a una persecuzione provano paura, vengono trascinati dal lato codardo del loro cuore e pian piano indietreggiano nella fede. In altre parole, la codardia diventa il loro maestro. Per questo il Daishonin, attraverso la frase: “[Il Budda scrisse] che si deve diventare maestri della propria mente e non lasciare che la mente sia la propria maestra” (Lettera a Gijo-bo, RSND, 1, 345) ci insegna l’importanza di essere maestri della nostra mente perché questo ci condurrà ad assumere l’atteggiamento corretto nella fede. Nella pratica buddista il maestro e i compagni di fede sono assolutamente necessari».
[29] I membri della Soka Gakkai sono le persone coraggiose che, coltivando la nobile missione di Bodhisattva della Terra, si sono unite attorno al vessillo della Soka per realizzare kosen-rufu, il mandato di Nichiren Daishonin. Per questo il desiderio di Shin’ichi era che, qualsiasi prova fosse inevitabilmente apparsa, nessuno di loro doveva abbandonare la pratica.
Con il suo intervento Shin’ichi intendeva sottolineare quanto fosse importante per i membri la Soka Gakkai in questo processo di sviluppo della fede. «Per apprendere la fede e per metterla in pratica con coraggio è indispensabile che le persone si stimolino e si migliorino a vicenda», disse. Quando i compagni di fede si riuniscono, possono parlare insieme degli insegnamenti buddisti e aiutarsi l’un l’altro a comprenderli. Grazie a ciò, ciascuno di loro è in grado di coltivare nel cuore la determinazione di dire: «Forza! Ce la metterò tutta!» e di compiere un passo avanti verso una nuova sfida.
Originariamente il termine so (monaco) era l’abbreviazione della parola sangha, che indicava la collettività di persone che praticano per raggiungere la Buddità. Solo successivamente si cominciò a indicare con il termine so ogni singolo praticante. In altre parole, la pratica buddista nel suo significato originario non era qualcosa che si compiva da soli. Per raggiungere la Buddità, infatti, è necessaria la presenza dei “buoni amici”, di coloro cioè che ci indirizzano verso la Via e ci incoraggiano. Questa comunità di persone che si sostengono, migliorandosi a vicenda, è proprio quella cui si riferisce il Daishonin nella frase: «[In questa epoca impura] dovete sempre parlare fra di voi» (Il Devoto del Sutra del Loto incontrerà persecuzioni, RSND, 1, 399).
È la Soka Gakkai quella che sta mettendo in pratica l’insegnamento del Daishonin. Bisogna quindi, rimanendo all’interno di essa, come afferma il Daishonin con il suo invito a «non smettere mai di pregare per la prossima vita», vivere fino in fondo il voto di kosen-rufu impegnandoci incessantemente nella pratica, e pregando per la felicità nell’eternità delle tre esistenze. Nel Buddismo di Nichiren Daishonin non basta recitare Daimoku da soli ma, come egli ribadisce nel Gosho «Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri» (Il vero aspetto di tutti i fenomeni, RSND, 1, 342): la base della pratica buddista consiste nella “pratica per sé e per gli altri”.
Non dobbiamo impegnarci solo noi nella fede, ma trasmettere questo Buddismo anche agli altri e per farlo è necessaria una rete di persone, un’organizzazione che insegni la fede, la pratica e lo studio, che incoraggi le persone e le faccia crescere. Per questo nel Buddismo del Daishonin riveste particolare importanza “l’armoniosa comunità dei fedeli”, ovvero un’organizzazione che ti permette di forgiare la tua fede.
[30] Dalle parole di Shin’ichi scaturivano convinzione e passione.
«Solo portando avanti, fino in fondo, la pratica per sé e per gli altri all’interno della Soka Gakkai, possiamo raggiungere la Buddità in questa esistenza e trasformare il nostro karma. Per questo il Daishonin afferma: “Rimani mio discepolo (letteralmente “nella mia scuola”) per il resto della tua vita” (RSND, 1, 341).
Il termine “la mia scuola” indica una comunità di persone unite fra di loro. Qui si parla di un’organizzazione. Il Daishonin ci esorta quindi ad avanzare fino in fondo all’interno di essa, perfettamente coesi fra noi e nell’unità di itai doshin (diversi corpi, stessa mente); solo in questo modo sarà possibile un grande sviluppo di kosen-rufu e, contemporaneamente, la nostra crescita personale.
Gli esseri umani sono portati a credere che sia meglio stare da soli, così si è liberi di comportarsi come si vuole. Tuttavia, nel momento in cui persone di valore, ciascuna con un talento diverso, si uniranno nello spirito e si svilupperanno sostenendosi reciprocamente, sarà possibile realizzare kosen-rufu, una sfida in cui è importante il gioco di squadra, così come nel calcio o nel baseball.
Il mio maestro Toda diceva sempre che la Soka Gakkai è un’organizzazione fedele alla volontà del Budda, e a volte diceva addirittura che la Soka Gakkai stessa è un Budda. Possiamo costruire una felicità incrollabile se, facendo nostra la missione di kosen-rufu e rimanendo compatti fra di noi nell’unità di itai doshin, faremo parte della Soka Gakkai, che rappresenta il Budda. Vi prego quindi di non abbandonare mai questa nobile organizzazione e di percorrere fino in fondo, con fierezza, la strada maestra della vostra rivoluzione umana.
La Soka Gakkai ha protetto con tutta se stessa la correttezza del Buddismo di Nichiren Daishonin, impegnandosi concretamente per diffondere la Legge, a costo della vita. Noi siamo coloro che hanno promosso il movimento di kosen-rufu nel mondo, fedeli alle parole del Daishonin. Se ci allontaniamo dalla Soka Gakkai, non ci sarà possibile praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin, non potremo riempire la nostra vita di meravigliosi benefici, né trasformare la nostra condizione vitale, né raggiungere la Buddità in questa esistenza». Questa era la profonda convinzione di Shin’ichi.
Egli concluse il suo discorso dicendo ai membri che partecipavano al corso primaverile: «Anche domani studieremo insieme il Gosho. La Soka Gakkai si basa sempre sugli scritti di Nichiren: se osserviamo ogni cosa attraverso il Gosho, attraverso gli occhi della fede, non avremo nulla da temere».
[31] Il 15 maggio, presso il Training Center del Kyushu, Shin’ichi trascorse tutta la giornata incoraggiando i partecipanti del corso. Poi verso sera tenne, come il giorno precedente, un intervento. Introdusse l’argomento dicendo: «Oggi desidero riflettere insieme a voi sulla funzione del “re demone del sesto cielo” che ostacola la nostra pratica» e lesse un passo del Gosho La grande battaglia: «Il re demone del sesto cielo ha mobilitato i suoi dieci eserciti e, nel mare delle sofferenze di nascita e morte, è in guerra con il devoto del Sutra del Loto per impedirgli di prendere possesso di questa terra impura in cui vivono santi e persone comuni, e strappargliela del tutto. Sono più di vent’anni ormai che mi trovo in questa situazione e ho dato inizio alla grande battaglia e nemmeno una volta ho pensato di ritirarmi» (La grande battaglia, RSND, 2, 438).
All’inizio Shin’ichi diede una spiegazione generale del testo: «Dal momento in cui si decide di far avanzare il movimento di kosen-rufu, il “re demone del sesto cielo” impiegherà immancabilmente i suoi dieci eserciti provocando una guerra e lotterà contro il devoto del Sutra del Loto nel mare delle sofferenze di nascita e morte, per impedirgli di impossessarsi del mondo di saha dove vivono santi e persone comuni, e sottrarglielo. Nichiren aveva intrapreso da oltre venti anni una grande battaglia contro il demone e durante tutto questo tempo non ha mai pensato una sola volta di ritirarsi. Questo è il significato del passo.
Perché il “re demone del sesto cielo” scende in guerra contro di noi? In origine il mondo di saha è un suo territorio, dove aveva sempre manipolato gli esseri viventi a suo piacimento. Ma lì è apparso il devoto del Sutra del Loto che, basandosi sul corretto insegnamento buddista, cerca di trasformare il mondo reale, impuro e pieno di sofferenza, facendone una terra pura, ovvero cerca di realizzare kosen-rufu. A quel punto il demone, allarmato, si precipita a fargli guerra. Il cammino verso il conseguimento di kosen-rufu si trasforma quindi in un’intrepida, agguerrita lotta contro il demone. Ma cos’è in realtà questo “re demone del sesto cielo”?
Esso rappresenta il punto di origine della funzione demoniaca che impedisce alle persone di conseguire la Buddità. Non è una vera e propria entità, ma un meccanismo della vita, insito nella mente umana. Quindi, in sostanza, il conseguimento della Buddità non avviene lottando contro un nemico esterno a noi, ma attraverso una battaglia accanita contro le funzioni demoniache insite nella nostra vita. In altre parole, vincendo su tali funzioni interne, si potrà realizzare la propria rivoluzione umana, trasformare lo stato vitale e aprire una grande via su cui costruire la propria felicità.
[32] Il re demone del sesto cielo viene chiamato “ladro di vita” in quanto priva gli esseri umani delle loro facoltà di pensare e agire con saggezza. Un’altra sua denominazione è “cielo in cui si gode liberamente delle creazioni illusorie degli altri”, poiché si diverte a sottomettere le persone e a manipolarle a suo piacimento. Queste persone perderanno la forza vitale, si chiuderanno in se stesse e il demone distruggerà il potenziale proprio di ognuno. Potremmo dire che la guerra, la proliferazione nucleare, la politica dittatoriale, come anche il bullismo e le molestie in genere, abbiano come causa comune il “cielo in cui si gode liberamente delle creazioni illusorie degli altri”, ovvero la natura demoniaca che spinge a voler assoggettare gli altri. Al contrario la pratica del devoto del Sutra del Loto è finalizzata a far emergere le infinite potenzialità di ognuno, in base all’insegnamento secondo cui tutte le persone sono dotate della Buddità e la loro esistenza è unica e irripetibile, e degna del massimo rispetto.
Il demone e la pratica buddista possono quindi essere considerati funzioni che rendono l’individuo infelice o felice, funzioni in lotta tra di loro, una lotta accanita tra gli eserciti del demone e quelli del Budda. Solo il Buddismo ci consentirà di dominare e vincere sulla natura demoniaca.
Cosa sono dunque questi “dieci eserciti” guidati dal re demone del sesto cielo? Rappresentano vari tipi di illusioni e desideri, classificati in dieci categorie, e secondo il Trattato sulla grande perfezione della saggezza del filosofo dell’India meridionale Nagarjuna, essi sono: l’avidità, la preoccupazione e la tristezza, la fame e la sete, l’attaccamento ai piaceri, il sonno, la paura, il dubbio e il rimpianto, la collera, l’aspirazione alla fama e al guadagno, l’arroganza e il disprezzo degli altri».
Shin’ichi, nel suo intervento al corso primaverile, spiegò queste dieci categorie di desideri con le relative ripercussioni sulla pratica buddista.
«Il primo esercito, l’avidità, corrisponde alla condizione di una persona in preda alla cupidigia, che porta alla distruzione della sua fede. Il secondo, la preoccupazione e la tristezza, è lo stato di una persona accecata da dolori e preoccupazioni che le impediscono di dedicarsi con impegno alla pratica buddista.
Il terzo, la fame e la sete, rappresenta la condizione di una persona che non può fare assolutamente nulla se non ha qualcosa da mangiare e da bere. In pratica è la mentalità di coloro che smettono di praticare perché a pancia vuota, magari senza i soldi per spostarsi, non riescono a trovare la minima energia per fare attività. Il quarto, l’attaccamento ai piaceri, corrisponde ai cinque desideri che emergono attraverso i cinque organi di senso: occhi, orecchie, naso, lingua e corpo. Le persone in balìa di questi desideri abbandonano la pratica ottenebrate dal solo pensiero di possedere delle cose belle, dai bei suoni, profumi, sapori, come ad esempio dei vestiti piacevoli al tatto».
(continua)