Dopo aver approfondito, nella puntata precedente, quanto la comunità buddista sia centrale nel diffondere la Legge mistica, in questo articolo si affronta il tema dell’unità fra i credenti
Ne L’eredità della legge fondamentale della vita Nichiren Daishonin trasmette ai discepoli la necessità di essere uniti affinché il flusso della Legge possa continuare a scorrere e permettere la propagazione della Legge: «In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. […] Se è così anche il grande desiderio di un’ampia propagazione potrà realizzarsi. Ma se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi stessa mente” sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190). «Avere la stessa mente», afferma il Daishonin. Ma quale “mente”? Il riferimento è alla “mente” del Budda, al voto di permettere a tutti gli esseri viventi di accedere alla Buddità. Nel sangha non c’è altra “mente” da seguire che quella del Budda.
Per quale motivo, nel corso della storia del Buddismo, sono apparsi numerosi discepoli che hanno provocato gravi rotture nel sangha? «Avere una “mente diversa da Nichiren” – scrive il maestro Ikeda – significa andare contro il suo insegnamento. […] Come si sviluppa una “mente diversa”? A mio avviso le cause fondamentali sono da ricercarsi nell’egoismo, dovuto ai sentimenti personali e alla presunzione. Per queste ragioni alcuni, tra cui Devadatta, tradirono anche Shakyamuni. Dapprima suo discepolo, Devadatta abbandonò la comunità trascinando con sé cinquecento preti, e attaccando Shakyamuni e i suoi discepoli. Cosa lo condusse ad abbandonare la fede facendolo poi precipitare all’inferno? L’apertura degli occhi descrive così la situazione: “L’Onorato dal Mondo così inveì contro Devadatta: ‘Sei un imbecille che lecca lo sputo altrui!’. Infiammato dall’ira, […] Devadatta gridò: ‘Gautama non è un Budda. […] Avrebbe dovuto ammonirmi in privato’” (RSND, 1, 219). Ecco come, mosso da un rancore personale, Devadatta infranse l’unità di “diversi corpi stessa mente”: tanta era la sua presunzione e il desiderio di essere ammirato! Shakyamuni conosceva profondamente il suo cuore e capiva che egli non avrebbe mai ottenuto l’Illuminazione senza eliminare la sua arroganza. Per questo motivo, di proposito, il Budda rimproverò il cugino davanti a tutti. Desiderava che correggesse la sua mente malvagia» (D. Ikeda, La vera entità della vita, esperia, 1996, pag. 124). Nessuna comunità buddista è esente dal pericolo di rottura della solidarietà interna: anche nel sangha che si era costituito intorno al Daishonin apparvero discepoli che incrinarono l’unità del gruppo. «Samnibo, uno dei principali discepoli del Daishonin – continua Ikeda – infranse l’unità e morì di morte violenta. Il Daishonin scrive: “C’era qualcosa di strano in Samnibo. Tuttavia temevo che lo stolto prendesse ogni mia ammonizione come invidia per la sua saggezza e perciò mi trattenni dal parlare francamente. La perversità della sua mente lo condusse al tradimento e infine alla condanna durante la persecuzione di Atsuhara. Se lo avessi rimproverato più severamente, avrebbe potuto salvarsi. Non ho mai parlato di ciò in precedenza perché nessuno poteva capirlo”. In questo brano il Daishonin sottolinea una questione importante. Voleva indicare a Samnibo i suoi errori, ma la situazione glielo impedì. Prima che il Daishonin se ne accorgesse, tra i suoi discepoli si era creata un’atmosfera per cui sgridare Samnibo avrebbe provocato più danno che beneficio. Samnibo era un prete erudito […], aveva però la tendenza a essere orgoglioso delle proprie capacità e al tempo stesso servile con le autorità: mancava della determinazione di sostenere il supremo insegnamento del Buddismo a qualunque costo. Il Daishonin scrive: “Nella tua lettera deplori il fatto che io abbia proclamato per la prima volta il mio insegnamento nella sala di un tempio di campagna, considerandolo come un danno al nostro prestigio. Non capisco il tuo riferimento al prestigio. Forse è perché disprezzi Nichiren?”» (Ibidem, pag. 126).
Devadatta e Samnibo sono due esempi di come – in tempi storici diversi – i tre veleni[ref]Tre veleni: Avidità, Collera e Stupidità, i mali fondamentali inerenti alla vita, che danno origine alla sofferenza delle persone. Essi sono considerati la fonte di tutte le illusioni e i desideri [cfr. DB, ed. 2006, 911 – ed. 2015, 714].[/ref] funzionino sempre allo stesso modo per creare disunità tra i credenti.
Dopo la morte del Daishonin furono proprio i cinque preti anziani a lui più vicini a ripudiare il suo insegnamento: di questo parleremo nel prossimo articolo.