Ecco l’intervista che ha rilasciato al Nuovo Rinascimento Clark Strand, autore statunitense de Il risveglio del Budda. Dopo aver praticato a lungo il Buddismo zen si è avvicinato alla Soka Gakkai per studiarla con attenzione. Ne è emerso un quadro interessante nel quale i tre maestri, come tre esperti artigiani, hanno creato un movimento per il benessere della gente
Chi è Clark Strand? Può raccontarci qualcosa di lei e della sua formazione?
Sono cresciuto in una famiglia religiosa praticante e credente. Da ragazzo mi resi conto che l’ipocrisia osservata intorno a me non mi corrispondeva: nella comunità cristiana che frequentavo c’erano anche oppositori del movimento per i diritti civili e sostenitori della guerra del Vietnam. Cominciai a sentirmi un po’ scomodo e dopo poco smisi di frequentare quella comunità.
Come ha conosciuto il Buddismo e perché ne è rimasto attratto?
Ho sempre provato molta attrazione per i libri e gli insegnamenti spirituali. Ho letto Siddhartha di Hermann Hesse all’età di diciassette anni, e poco dopo un libro dal titolo Mente zen, mente di principiante. Entrambi i libri hanno esercitato una profonda influenza su di me, tanto che mi venne il chiodo fisso per il Buddismo. Ho abbandonato l’università dopo il secondo anno e ho intrapreso una ricerca spirituale, così sono entrato in un monastero buddista zen che era stato appena inaugurato nelle Catskill Mountains, dove ho imparato a meditare. L’anno dopo sono tornato all’università e ho completato la mia istruzione senza lasciare più il mio percorso buddista.
Sarebbe difficile dire cosa mi è piaciuto di più del Buddismo. Ho amato gli insegnamenti, il rispetto per la natura, e l’idea che la vita è eterna – che non viviamo solo una, ma molte volte. Ho amato l’idea della vita come viaggio e avventura spirituali, le cui sfide sono la vera sorgente del suo significato. Credo sia questo ciò che ho amato di più.
Quando e perché si è interessato al Buddismo di Nichiren Daishonin?
Ho sentito parlare per la prima volta del Buddismo di Nichiren Daishonin negli anni Ottanta, quando vivevo a New York. Un’amica della mia ragazza era membro della SGI-USA e cercava costantemente di convertirmi. A quel tempo io ero molto preso dal Buddismo zen ed ero sul punto di diventare monaco, quindi la ignoravo.
In seguito, negli anni Novanta, dopo essere stato monaco e insegnante zen, ho iniziato a lavorare come redattore capo di Tricycle: The Buddhist Review, la prima importante rivista da edicola dedicata al Buddismo che veniva pubblicata negli Stati Uniti. Durante quel periodo trascorso alla rivista ho ignorato il Buddismo di Nichiren. A essere onesto nutrivamo dei pregiudizi al riguardo: non ci sembrava un “vero” Buddismo, perché non implicava la meditazione su un cuscino. L’idea che si potesse – o dovesse – recitare per la realizzazione dei desideri del cuore ci era molto estranea. In un angolo della mia mente c’era la consapevolezza che la SGI si batteva per la pace, ma a quel tempo la cosa non sembrava avere un grande significato per me.
Le cose sono cambiate dopo l’attentato dell’11 settembre. Nel 2003 il mio paese si preparava a invadere l’Iraq e a dare inizio a una guerra che molti dei miei compagni buddisti sapevano essere insensata, ingiustificata e moralmente ingiusta. Ma quando ho parlato con i miei compagni, molti dei quali erano diventati insegnanti di meditazione o maestri zen, ho verificato che la loro opposizione alla guerra era tiepida nel migliore dei casi. Quando ho chiesto loro cosa avesse da dire il Buddismo sulla guerra contro l’Iraq, molti sono rimasti stranamente in silenzio. Avevano timore di parlare? O la loro vita americana era così privilegiata che semplicemente non desideravano agitare le acque? Non conoscevo la risposta, però sapevo che volevo trovare un approccio al Buddismo che si opponesse alla guerra senza scuse né ambiguità.
È stato proprio allora che ho visto una straordinaria foto del juzu di tappi di bottiglie di latte che Josei Toda aveva assemblato in prigione durante la Seconda guerra mondiale. Ho sviluppato una specie di “fissazione” per Toda e per la sua opposizione alla guerra. Questo mi ha spinto a scrivere articoli sul Buddismo di Nichiren per Tricycle, e presto mi sono ritrovato a frequentare le riunioni e persino a recarmi in Giappone per imparare tutto il possibile sulla SGI.
Com’è nato questo libro?
Durante il mio primo viaggio in Giappone, il Seikyo Shimbun mi invitò a tenere un discorso sui tre presidenti della Soka Gakkai. Io ne avevo preparato uno, ma nel momento in cui mi alzai per parlare di fronte ai presenti, improvvisamente ebbi un’idea del tutto diversa. Così tenni un discorso che non avevo provato. Fu del tutto spontaneo. Paragonai i ruoli dei primi tre presidenti della Soka Gakkai alla preparazione di un vaso di argilla sul tornio. Quella metafora catturò l’immaginazione delle persone, permettendo loro di pensare alla propria organizzazione in un modo nuovo.
Una rivista giapponese mi chiese di elaborare quell’idea in una serie di sei articoli, e quegli articoli ebbero un successo tale che alla fine mi chiesero di farne un libro. Due anni dopo mi finanziarono un viaggio di ricerca in Giappone, dove incontrai il presidente Ikeda e intervistai dozzine di membri e praticamente ogni responsabile di alto livello della SGI-Giappone (vedi anche BS, 133, 4).
I buddisti di altre scuole criticano i membri della Soka Gakkai perché non sono in grado di recitare a memoria insegnamenti come l’ottuplice sentiero o i dodici nessi della catena di causalità. Qual è la sua opinione?
Mi chiedo quanti di questi altri buddisti sarebbero in grado di parlare con cognizione di causa del Sutra del Loto e di come applicare i suoi insegnamenti alla vita quotidiana. Saprebbero spiegare il significato di Nam-myoho-renge-kyo? Potrebbero elencare i dieci mondi e spiegare la condizione mentale associata a ciascuno di essi?
Ogni scuola di Buddismo crede che i propri insegnamenti siano i migliori. Secondo la mia opinione non c’è niente di sbagliato in questo: è essenziale avere una profonda fiducia nella propria tradizione spirituale. Ma quando quella fiducia ispira pregiudizi nei confronti di altri, allora stiamo esagerando. Credo sia molto meglio assumere un atteggiamento di reciproco rispetto.
Secondo lei qual è il valore più grande che la Soka Gakkai può offrire ai singoli individui della nostra società occidentale?
Per me le cose più importanti che la SGI ha da offrire sono l’attenzione data al dialogo e alla discussione sullo stesso piano tra compagni di fede, e la sua ridefinizione del Budda come “vita in sé”. Il modello del gruppo di discussione è l’unica soluzione per la religione nel ventunesimo secolo. Le persone sono stanche di un modello autoritario e patriarcale di religione che dica loro cosa fare della vita. Il vecchio modello di religione che parte dal pulpito è logoro e carico di ipocrisia. Ciò che lo sostituirà è un modello di persone che condividono liberamente tra loro idee e sogni a un livello paritario allo scopo di portare cambiamenti positivi nel mondo.
La consapevolezza che “il Budda non è altro che la vita stessa” è altrettanto essenziale per il prossimo secolo. Il Sutra del Loto insegna non solo l’eternità dell’esistenza, ma anche l’uguaglianza della stessa. Questi insegnamenti sono essenziali se gli esseri umani devono imparare come vivere in pace l’uno con l’altro, e a vivere con un atteggiamento di rispetto verso le altre specie di vita, vegetale e animale.
Dall’inaugurazione del Kosen-rufu Daiseido (il Palazzo del grande voto di kosen-rufu) nel 2013 si è parlato molto della Soka Gakkai e della sua nascita in qualità di religione mondiale. Come interpreta questa affermazione?
In realtà mi sembra che la vera nascita di questo nuovo modello di religione di cui ho scritto ne Il risveglio del Budda sia avvenuta nel momento in cui Josei Toda e il suo discepolo Daisaku Ikeda decisero di condividere il Buddismo di Nichiren liberamente con le persone di tutto il mondo, permettendo a ogni individuo di elevare la sua condizione vitale e migliorando in quel modo la felicità generale.
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L’autore e i contenuti
Clark Strand, ex monaco zen, giornalista e scrittore statunitense, ci guida alla scoperta della Soka Gakkai e del Buddismo di Nichiren da una prospettiva inedita: quella di un critico, ora simpatizzante “non convertito”. Strand sottolinea che la forza della Soka Gakkai, che in pochi decenni è diventata un movimento globale, sta nel fondamentale strumento delle riunioni di discussione, basate sulla condivisione delle esperienze e sull’incoraggiamento reciproco. Nel suo viaggio all’interno di un movimento e di un insegnamento che hanno spesso generato malintesi e incomprensioni nelle altre scuole buddiste, Strand parte da Makiguchi, l’educatore che si oppose al militarismo, per poi ritrarre il suo discepolo Toda e la sua intuizione di chi o cosa fosse davvero il Budda, e arrivare alla visione globale di Ikeda e alla sua ridefinizione del ruolo di religione. Il quadro che ne esce rivela qualità e punti di forza della Soka Gakkai di cui spesso nemmeno suoi i membri sono consapevoli, indicandola come esempio di un movimento moderno e votato al bene del genere umano.
C. Strand, Il risveglio del Budda, esperia, 2015, pagine 120, E 9,00