Dopo otto anni di trasferimenti all’estero, sentii che la vita mi stava dando una possibilità per fermarmi, sciogliere i nodi irrisolti e prendermi cura delle mie radici. La mia imperfezione mi stava regalando l’occasione di osservare e onorare la bellezza del mio essere
Ascoltai Nam-myoho-renge-kyo per la prima volta a diciotto anni nel mio paese di origine, Ruvo di Puglia. A quell’età però volevo solo divertirmi, esplorare la vita con leggerezza. In realtà era un fuggire da alcune dinamiche che non mi facevano sentire “comoda” nella mia pelle.
Quello stesso anno, 1998, mi iscrissi all’Università per Stranieri di Perugia (Laurea in Comunicazione Internazionale): furono anni leggeri e spensierati, studiavo e viaggiavo. Dentro restava silenzioso un grande interrogativo: come riempire la mia vita di passione? Un pomeriggio come tanti il Buddismo ritornò improvvisamente nella mia vita, mentre preparavo un esame con il mio amico Andrea che nominò casualmente di nuovo quella frase, Nam-myoho-renge-kyo, e io finalmente ero pronta ad accoglierla. Iniziai a recitare con grande gioia, frequentavo le riunioni di discussione fino a ricevere il Gohonzon nel luglio del 2002. Facevo tanta attività di protezione (byakuren), studiavo con i compagni di fede i princìpi buddisti ed ero responsabile del gruppo Leonardo. Una valanga di benefici colorarono la mia vita da studentessa: borsa Erasmus in Spagna, corso di specializzazione a Milano, borse di studio, affitti di casa bassi o regalati. Mi laureai con il massimo dei voti nel 2003 e partii subito da Perugia ad ali spiegate rincorrendo la mia voglia di mangiare il mondo! Solamente ora riconosco che dietro quell’energia inesauribile c’era il demone dell’avidità. Dietro al mio movimento nascondevo la paura di fermarmi per guardare chi era la vera Anna.
Dopo la laurea, per otto anni la mia vita è stata appesa a una valigia da fare e da disfare: un altalenarsi frenetico di arrivi e partenze tra l’Europa e l’America. Nel 2004, a soli ventiquattro anni, vinsi un concorso di lavoro con UNV (United Nations Volunteers) che mi permise di andare in Honduras per lavorare con l’UNAIDS, come specialista di comunicazione e informazione per la prevenzione dell’AIDS. Il 2004 e il 2005 furono anni in cui ho vissuto una sensazione di soddisfazione e libertà inimmaginabile, vivevo tra i laboratori di educazione ai diritti umani con bambini e ragazzi sieropositivi o orfani, i vivaci colori latini, le lezioni di salsa, le verdi foreste honduregne, le missioni, la gente semplice. Dall’Honduras sono stata poi trasferita a Panama all’Ufficio regionale dell’UNICEF per l’America Latina. Sempre per l’UNICEF nel 2010 raggiunsi la Giordania. In tutto questo, dovendo cambiare paese ogni due anni, recitavo Daimoku davanti al mio omamori Gohonzon, a volte anche in situazioni delicate e in solitudine. Ho visitato i Centri culturali e stretto amicizia con i praticanti di ogni paese, apprezzando quanto sia preziosa la rete mondiale della Soka Gakkai. Se da un lato il mio stile di vita mi riempiva di grandi soddisfazioni e avventure, dall’altro non mi dava stabilità. Nel gennaio 2012, dopo un anno di sforzi e tanto Daimoku, mi offrirono un contratto stabile con l’UNICEF presso la sede centrale di New York, dove mi occupavo delle comunicazioni nel dipartimento di prevenzione dell’AIDS a livello globale. Dimostrai alla Commissione che il mio curriculum non aveva bisogno di nessuna raccomandazione.
Così mi trasferii a New York e, in un turbine di eventi, affrontai grandi pressioni sul luogo di lavoro insieme alla spiacevole separazione dal mio fidanzato. Trascorsi due mesi in lotta contro l’oscurità, tra insonnia, stanchezza e ansia cronica, fino a quando il mio corpo mi inviò il “cartellino giallo”: una mattina mi svegliai con dei formicolii alla mano sinistra, che poi si diffusero fino alla gamba sinistra. Sostenuta dai compagni di fede e, a distanza, dalla mia famiglia, feci delle risonanze che mostrarono alcune lesioni ai tessuti nervosi della schiena, sintomi della neuropatia demielinizzante, una patologia che rappresenta il primo gradino verso la sclerosi multipla. Ero arrabbiata con me stessa perché mi ero ammalata proprio nel momento in cui avrei dovuto brillare. Davanti al “demone della malattia” però non potevo scappare, dovevo guardare cosa c’era profondamente dentro di me. In quel momento, affidandomi al Gohonzon così com’ero, senza paura, ho iniziato a provare tanto amore nei confronti della mia vita.
Grazie alla tempestività dei medici americani, la diagnosi fu così precoce che mi permise di curarmi. Nell’estate 2012 ritornai in Italia per le vacanze e non presi più l’aereo di ritorno per New York. Riconfermata anche la diagnosi in Italia, con tutto il coraggio che avevo chiamai il mio supervisore a New York per dirgli che non sarei tornata e che dovevo curarmi. Non volevo avere rimpianti: la mia salute valeva più di qualsiasi lavoro. Lui mi rispose di prendermi cura di me stessa, di pensare solo alla mia guarigione augurandomi un recupero rapido verso la felicità.
Stavo coltivando la fiducia che se si era creato dentro di me quel disturbo, era dentro di me che potevo attivare la causa di guarigione. Chiesi un consiglio nella fede per decidere con saggezza l’azione migliore e fui incoraggiata a usare profondamente questa esperienza per creare la “migliore versione di me stessa”. Dipendeva da me rendere quel demone un mio alleato o meno.
«Immagina che ci sia una nave in mare aperto. Per quanto possa essere costruita solidamente, se viene allagata a causa di una falla, tutti i passeggeri annegheranno sicuramente. Per quanto l’argine tra i campi di riso possa essere solido, se c’e anche solo una minuscola fessura scavata da una formica, è certo che a lungo andare l’acqua non potrà essere trattenuta. Svuota la nave della tua vita dall’acqua del dubbio e dell’offesa e consolida gli argini della tua fede» (Gli argini della fede, RSND, 1, 558).
Dopo otto anni di trasferimenti all’estero, sentii che la vita mi stava dando una possibilità per fermarmi, sciogliere i nodi irrisolti e prendermi cura delle mie radici. La mia imperfezione mi stava regalando l’occasione di osservare e onorare la bellezza del mio essere. A fine 2012 ritornai quindi in Puglia e decisi di intraprendere una cura naturale, basata sulla medicina ayurvedica, motivo per cui mi sono recata tre volte in un centro medico specializzato in Kerala (India) negli ultimi due anni.
Ho praticato per tutto il 2013 e il 2014 per sconfiggere la paura della malattia. C’è una espressione giapponese, osore naki, che significa “liberi dalla paura”. Oggi posso dire di aver vinto la paura della malattia perché sento energia e potere nel mio corpo, sento che sto funzionando bene e i formicolii sono praticamente scomparsi. Come dice il maestro Ikeda: «La salute è la medaglia d’onore del saggio» (Il mondo del Gosho, esperia, pag. 749) perché è nutrita dal buon senso, dalla prudenza, dall’attenzione ai dettagli.
La mia prova concreta sono stati gli esami clinici completi a giugno 2014. Nelle settimane prima della risonanza ho recitato tre ore di Daimoku al giorno, desideravo ubriacarmi di fiducia e sentire quanto le mie cellule andassero ormai allo stesso ritmo della mia felicità! Ho sperimentato la sensazione di percepire me stessa come Nam-myoho-renge-kyo, con la convinzione assoluta di vincere dentro, a prescindere dal risultato concreto scritto sul referto. Così è stato!
Avendo usato la malattia per aprire la mia vita, mi sono interiormente rafforzata, e tutto sta fiorendo. Attraverso il Daimoku e l’attività ho compreso cosa significa rispettare il mio corpo che mi permette di vivere ogni giorno. In tutto questo l’UNICEF mi ha offerto l’aspettativa fino alla fine della cura, ma uno dei più grandi benefici è l’aver ritrovato la mia famiglia. Quelle persone care che prima sentivo una volta ogni tanto, sempre di fretta via telefono o skype, oggi sono i miei amici: dopo quindici anni, ci siamo guardati in faccia e abbiamo dialogato, sciogliendo importanti nodi del nostro karma familiare.
Ho finalmente costruito un forte senso di rispetto verso la dignità della mia vita. Se prima correvo sempre dietro al nuovo incarico di lavoro, al mio ragazzo, all’aereo in partenza per l’ennesima missione, per dimostrare a me stessa il mio valore, ora non ne sento più la necessità perché sono connessa profondamente con la mia vita e sono a mio agio con me stessa. Ho bandito la fretta e l’ansia per ascoltare e rispettare la mia essenza più vera. Ho compreso che il karma non è una legge punitiva, ma una legge evolutiva: quando possediamo la bussola della fede, qualsiasi tempesta può essere trasformata in un vento favorevole.
Oggi i miei desideri sono: essere sempre sana per dedicarmi a kosen-rufu e per creare una famiglia con il mio futuro compagno di vita, esprimere liberamente la mia vena creativa, pubblicare un libro frutto dei miei appunti di viaggio e dedicarlo a Daisaku Ikeda.