Con la responsabilità del gruppo Pilastri, arriva per Giosy il momento di superare se stessa: decide di abbandonare le sue insicurezze, il senso di inadeguatezza rispetto alla responsabilità e di essere, finalmente, felice insieme agli altri, come recita il motto del gruppo “Tutti insieme per kosen-rufu“
Quando mi fu proposta la corresponsabilità del gruppo Pilastri accettai con entusiasmo, ma anche con paura. Mi chiedevo spaventata: «Che cosa vuol dire essere responsabile di un gruppo? Sarò all’altezza del compito?». A ogni modo accettai la sfida ma per quanto svolgessi con attenzione tutti i compiti che mi sembravano necessari per essere una buona responsabile (passavo le comunicazioni, andavo a tutte le riunioni) non riuscivo a parlare facilmente davanti agli altri e mi sentivo fuori posto. Ero così insicura che per non dispiacere alla mia corresponsabile non prendevo iniziative, ma di fatto la non sincerità del nostro dialogo creava conflitto tra noi, disunità e così anche il gruppo ne risentiva. Una vocina dentro mi suggeriva: «È colpa mia, non riesco a essere una buona responsabile». Stavano emergendo i miei limiti e insieme l’occasione di affrontarli. La situazione sembrava critica. Il gruppo Pilastri ristagnava. Partecipavano molti ospiti, ma non tornavano, anche gli stessi membri avevano sempre un buon motivo per non esserci. Persino Nella, a cui avevo parlato della pratica e che aveva ricevuto il Gohonzon, il primo di Procida, aveva smesso di praticare. Tutto sembrava confermare la mia incapacità. Dulcis in fundo la mia corresponsabile per prendersi cura di sua madre lasciò l’incarico nel gruppo: ero rimasta sola. Sentivo una pesantezza profonda, nonostante il prezioso sostegno delle mie responsabili. Mi sforzavo, non volevo mollare, non volevo deludere il mio maestro e volevo contribuire a realizzare l’obiettivo di un gruppo unito, ma ero costretta a espormi in prima persona e questo mi creava ansia. Per fortuna Recitavo tanto Daimuku con gioia. Pregavo per i membri del gruppo, per la felicità della mia corresponsabile, per sua madre, affinché Nella riprendesse a praticare e fosse felice. Eppure non cambiava nulla!
Un sabato mattina mi alzai per andare a lavoro ma non riuscivo a muovermi, non sentivo più la gamba e il braccio sinistro. Si trattava di una ischemia cerebrale che ha permesso di evidenziare un difetto congenito al cuore: dovevo subire un intervento chirurgico. Capii che era giunto il momento di decidere di essere veramente felice, insieme agli altri, di abbandonare le mie insicurezze e fidarmi del maestro, il presidente Ikeda, e della mia Buddità. Dovevo guarire, lasciare tutti gli atteggiamenti inutili, correggere i miei “difetti” cardiaci, fisici e spirituali. L’intervento è andato bene, ho affrontato tutto serenamente, con il Gohonzon. Contemporaneamente si sono sciolte tutte le mie riserve, infatti ho spalancato le porte del cuore senza più preoccuparmi delle mie presunte incapacità, dei giudizi, del senso di inadeguatezza, forte delle parole del Gosho: «Non si è mai visto né udito, sin dai tempi antichi, di un inverno che si sia trasformato in autunno, né si mai sentito di alcun credente del Sutra del Loto che sia diventato un essere comune» (RSND, 1, 477).
Aver accettato la responsabilità di gruppo mi ha messo di fronte alla possibilità di accelerare la mia rivoluzione umana, di sfidarmi in prima persona per sostenere davvero tutti. Grazie alla malattia ho realizzato la mia trasformazione. I cambiamenti che avevo desiderato tanto nel mio Daimoku si sono realizzati: Nella ha ripreso a praticare e a Procida sono arrivati tre membri già con il Gohonzon, nel mio gruppo abbiamo sviluppato una profonda unità in cui ognuno sente le sofferenze e le gioie degli altri come proprie, abbiamo iniziato a camminare davvero insieme. La pesantezza è sparita. Ela, la mia corresponsabile ha ripreso anche a partecipare alle attività e ha vissuto un’esperienza bellissima e intensa, accompagnando la mamma nella malattia e nella morte, mentre Luciana e Alessia hanno ricevuto il Gohonzon. Siamo sempre almeno dieci a ogni riunione gioiosa in cui tutti sono protagonisti e abbiamo deciso anche il nostro motto: “Tutti insieme per kosen-rufu“.
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«Gli incontri sono luoghi di riconoscimento collettivo del peso e della natura insostituibile del viaggio esistenziale di ogni individuo, situazioni in cui si condividono lacrime di gioia e di tristezza e dove le persone sono incoraggiate a lottare per trasformare la sofferenza» (D. Ikeda, Proposta di pace 2015)