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Insieme tra la gente - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:52

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Insieme tra la gente

Diventare buddista e poliziotta in anni in cui entrambe le cose erano una novità in Italia. I due aspetti insieme hanno portato Giusi Casolla a capire come poterli conciliare e valorizzare reciprocamente

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Diventare buddista e poliziotta in anni in cui entrambe le cose erano una novità in Italia. I due aspetti insieme hanno portato Giusi Casolla a capire come poterli conciliare e valorizzare reciprocamente

Sei fra le prime persone che hanno abbracciato il Buddismo in Italia e una delle prime poliziotte donna nel Paese. Cosa ti ha spinto verso questa scelta professionale?

Questa scelta è strettamente legata al mio percorso buddista. Quando ho iniziato a praticare lavoravo in una multinazionale e il primo “beneficio” è stato quello di essere licenziata. Dico così perché forse non avrei mai avuto il coraggio di lasciare un posto fisso per seguire un mio sogno. Praticavo per essere felice e ho scoperto cosa volevo fare davvero: entrare in Polizia.
Premetto che nel 1982, anno in cui ho abbracciato il Buddismo, le donne ancora non potevano arruolarsi poiché la Polizia era ancora militarizzata e la riforma, se pure prevista, era ferma da tempo in Parlamento. Però una delle prime cose che mi hanno detto del Buddismo è che recitando Daimoku si possono trasformare le cose impossibili. Così determinai con chiarezza e forza che sarei diventata una poliziotta, non sapevo come, ma avevo una grande fiducia di riuscirci. Poiché questo è il Buddismo dell’azione ho iniziato a dedicarmi all’attività per gli altri: ho avuto la fortuna di incontrare più volte il presidente Ikeda quando sono andata in Giappone, inoltre andavo ad aiutare a ristrutturare il Centro culturale di Firenze, appena comprato, che era praticamente un rudere. A Napoli all’inizio eravamo solo cinque persone, poi man mano sono sbocciati tanti gruppi: io, allora, avevo la responsabilità di distribuire i giornali e andavo a consegnarli a tutti con entusiasmo girando per la città con il mio motorino.
Grazie a quel periodo intenso ho costruito la gioia del dedicarmi agli altri e all’attività e ancora oggi, come allora, mi butto di slancio se me lo chiedono, di qualunque cosa si tratti. In tutto quel turbinio di attività, così come si sbloccavano situazioni della mia vita personale e interiore, così si sbloccò pure la legge in Parlamento e finalmente venne attuata la riforma delle Forze di Polizia: il 6 giugno 1987, dopo aver superato il concorso, sono partita per il primo corso in Polizia aperto alle donne. Sapevo che non sarebbe stato facile, avevo scelto una strada normalmente percorsa dagli uomini, ma era il modo di dare voce e vita al senso di giustizia che sentivo fin da bambina.

Dopo essere diventata una poliziotta, come hai contribuito da buddista alla tua professione?

All’inizio quando dicevo che il mio sogno nel cassetto era diventare un poliziotto, tutti mi prendevano in giro, anche perché dicevano che non era possibile per un buddista vivere con un’arma. Ma io non l’ho mai vista così. Quando il mio maestro Ikeda ci incoraggia a contribuire a kosen-rufu intende dire “ovunque”, non in qualche luogo sì e in altri no, quindi ho sempre visto la mia scelta professionale come una missione. Non a caso lo slogan della Polizia che ho sempre abbracciato è “Insieme tra la gente”.
Volevo entrare in Polizia e desideravo che il mio maestro fosse fiero di quello che facevo. Il presidente Ikeda ha sempre ribadito che il Buddismo non è separato dalla vita quotidiana e quindi non ho mai creduto di dover dissociare Giusi che fa il poliziotto da quella che fa la sportiva o la buddista: Giusi è un Bodhisattva della Terra che ha una missione in questa vita. Le persone dovevano riconoscere in me un poliziotto diverso, che portava armonia, che faceva la differenza perché praticava, un “poliziotto illuminato”.

E ci sei riuscita?

Premetto che quando sono entrata in Polizia non ero libera neppure di dichiarare la mia fede né tanto meno era consentito iscriversi a un’associazione religiosa o a un partito politico, ma il Gohonzon è sempre stato nel mio cuore anche quando vivevo in caserma. Avevo difficoltà anche a partecipare alle riunioni buddiste, ma non ho mai mollato e non ho mai perso la fiducia che le cose potessero cambiare. Infatti pian piano ho iniziato a parlare della pratica ai colleghi più vicini soprattutto attraverso la mia vita, e anche a livello legislativo hanno iniziato a esserci delle piccole aperture.
Oggi tutti i miei colleghi sanno che pratico il Buddismo e le nostre riviste circolano tranquillamente in ufficio. Il riconoscimento del fatto che stessi contribuendo a kosen-rufu l’ho avuto con chiarezza durante un periodo di particolari “tensioni” di ordine pubblico e sociale, che la città stava attraversando. Recitavo molto Daimoku perché non ci fossero scontri violenti e si usasse la via del dialogo, come ci insegna il nostro maestro. Bene, quando ero io responsabile del servizio di Ordine pubblico non c’erano mai incidenti. Recitavo un’ora di Daimoku a casa prima di andare in prima linea. E ogni volta che eravamo di pattuglia il “clima” era molto più disteso, nessuno si faceva male, anzi c’era la voglia di dialogare con i cittadini che spesso ci offrivano bevande calde perché le notti erano molto fredde.
A riprova di quanto ho raccontato, a distanza di qualche mese sono venuta a sapere che alcuni colleghi chiedevano di essere inseriti nel mio gruppo di lavoro perché, sapendo che ero buddista, erano certi che non ci sarebbero stati incidenti. Questo mi ha fatto sorridere: avevo fatto centro, effettivamente avevo portato il Buddismo nella Polizia!

Che vuol dire essere poliziotta a Napoli?

Io sono napoletana e ho lavorato anche fuori Napoli ma, come dice il Gosho, non ci sono terre pure o terre impure. Forse a Napoli, semplicemente, ho più occasioni per mostrare la forza del Gohonzon, ma non è più difficile che altrove. Qui devi essere sempre pronta e stare attenta, ma mi sarei comportata alla stessa maniera ovunque: io sento molto la divisa, la responsabilità di difendere il mio Stato, profondamente.

Hai dovuto mai fare i conti con il malcostume della corruzione e delle raccomandazioni?

Io ho la più grande “raccomandazione” della storia: il Go­hon­zon. Non ho mai accettato di vivere sotto la protezione di qualcuno. Il mio mondo lavorativo è piuttosto maschilista e io sono stata una delle prime donne a entrare nella Polizia di Stato: ho dovuto lavorare il doppio, il triplo, così come succede alle donne che vivono in un mondo lavorativo a predominanza maschile, raggiungendo grazie a questi sforzi il vice comando della squadra.
Le difficoltà certo non sono mancate. Circa tre anni fa per una serie di circostanze e avvicendamenti ho perso il vice comando che avevo da più di dieci anni. Questo mi ha fatto soffrire moltissimo perché la vivevo come una grande ingiustizia. Però il nostro maestro ci dice di non avere paura di combattere l’ingiustizia. Avevo davanti a me due strade: lamentarmi o lottare con il Daimoku e con il Gohonzon. Chiaramente ho scelto la seconda, ho accettato la sfida. Non sapevo come fare. Ho deciso di usare la strategia più sicura e più saggia: non quella della testa ma quella del Sutra del Loto.
Mi sono messa davanti al Gohonzon: la situazione si doveva ribaltare completamente perché avevo lavorato sodo e non potevo accettare questa situazione. Volevo incoraggiare tutti con la mia esperienza di fede. Ho iniziato a fare ancora più attività, ho continuato a studiare il Buddismo e soprattutto nel mio lavoro, nonostante mi avessero “declassata” e i miei colleghi mi consigliassero di ridurne la mole, io continuavo con dignità e professionalità a fare esattamente quello che facevo prima. Volevo rimettere le cose a posto, la determinazione e la coerenza mi spingevano sempre a dare il massimo. Seguivo alla lettera l’incoraggiamento di Nichiren a Shijo Kingo, che, essendo un samurai, ho sempre sentito un po’ come un collega.
Dopo circa un anno venne pubblicato un concorso interno che mi avrebbe permesso di avanzare di grado: i partecipanti erano numerosi e la disponibilità dei posti no, gli esami erano molto difficili e tutto questo creava una certa pressione, Ma io amo le sfide. Ho deciso di partecipare, ho studiato, ho lavorato con grande impegno e fatto tantissima attività. Ho superato gli scritti e gli orali, ho vinto il concorso e sono tornata dove era giusto che fossi. Così ho riavuto il ruolo di vice comandante, ma ormai non mi bastava più. Il direttore generale Tamotsu Nakajima ci dice che “vincere non è pareggiare, ma raddoppiare”. Con questa convinzione ho continuato a recitare Daimoku. La risposta è arrivata: il mio dirigente ha rivalutato la mia posizione e mi ha promosso da vice comandante a comandante della squadra. Ora sì che avevo vinto.

Quali sono le tue sfide di oggi?

In realtà cerco di non fermarmi mai. Intanto sono cambiate le mie priorità: avevo voglia di dedicare meno tempo al lavoro e più a me e agli altri. Con questo nuovo desiderio ho fatto una nuova esperienza: in poco più di un mese ho cambiato completamente vita lavorativa. Ho lasciato il vecchio ufficio, dove sono stata per più di venticinque anni, e sono andata in uno completamente diverso con un ruolo molto ambito. Una bellissima sfida che vivo con nuovo slancio e tanta gioia: sto creando un nuovo gruppo di lavoro partendo da zero e voglio far conoscere anche ai nuovi colleghi il potere del Gohonzon.

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