Andare oltre l’incostanza, oltre la paura: per Alessandra questo passo è stato possibile solo stringendo un legame autentico con il maestro. Con questo sentimento nel cuore ha sperimentato che la sua vita «è vincente, perfettamente dotata, a ritmo e splendente»
Prima di incontrare il Buddismo non sapevo cosa significasse il concetto di non arrendersi mai.
Ho iniziato a praticare all’età di diciotto anni. Frequentavo il quarto anno di liceo e non avevo mai sperimentato una vittoria. Una. Quando uno sport non mi piaceva più smettevo. Quando dovevo studiare l’unico obiettivo era fare il minimo indispensabile. Se una persona non mi piaceva più smettevo di frequentarla. Era importante solo apparire ed essere accettata.
Poi ho incontrato la pratica. Mi ha appassionato sin da subito, un amore a prima vista. Mi tirava fuori tanta curiosità e tanta voglia di approfondire. Ma per una persona incostante come me pensavo che la fiamma si sarebbe spenta presto. Invece dopo poco ho “incontrato” Daisaku Ikeda, che mi dicevano fosse il mio maestro. Facevo Daimoku per cercare di portare nella mia vita questa relazione così lontana, per cercare di viverla nella realtà di tutti i giorni, non solo nel momento in cui aprivo una rivista o guardavo un video al Centro culturale.
Ho iniziato a vivere sulla mia pelle la relazione con sensei imparando ad andare sempre un centimetro oltre le mie capacità, la mia voglia, il mio tempo e la mia comprensione.
Da quando ho conosciuto Daisaku Ikeda, ogni volta che penso di non arrivare, di non farcela, di non essere in grado, penso a lui e vado avanti. Josei Toda diceva: «Durante i miei due anni di carcere ho vinto perché non ho pensato a me. Ho vinto perché ho accompagnato in prigione il signor Makiguchi, deciso a dare tutto me stesso per la causa di kosen-rufu. Dal momento in cui ho preso quella decisione, è sparita ogni confusione e paura» (NR, 433, 6).
In particolare ho sperimentato questo tipo di decisione, di accompagnare il mio maestro alla vittoria, il secondo anno di università. Un terribile incidente fece nascere in me una paura, una confusione e una voglia di mollare mai provate. Volevo lasciare l’università convinta che quella non fosse più la mia strada. In quel periodo ho ricevuto tanto sostegno da persone speciali che mi hanno incoraggiata a non mollare. Non sapevo se sarei mai più riuscita ad esercitare la mia professione, ma comunque volevo arrivare al traguardo.
Ho lottato con tutte le mie forze. Un’ora di Daimoku ogni mattina e il mio maestro sempre vicino, in ogni passo che facevo, in ogni pagina che studiavo. Avevo deciso di sforzarmi e di vincere per onorare i suoi sforzi e gli sforzi di Toda e Makiguchi. Sentivo che il trionfo del mio maestro era lì in quella mia piccola grande lotta. Sentivo che essere una discepola prendeva forma solo nella mia decisione di non arrendermi mai. Non provavo sempre gioia in questa lotta. Anzi. A tratti disperazione, determinazione, tristezza, passione. L’anno dopo sono riuscita a laurearmi e per la prima volta ho sentito di aver vinto. Ho sentito che con la decisione di far vincere il mio maestro, avevo vinto io. Ho sentito che avevamo vinto.
«Proteggere la Legge, il proprio maestro e i propri compagni di fede con spirito generoso vuol dire condurre una vita veramente ammirevole. Rappresenta la più nobile essenza di tutta l’umanità. Da giovane, mentre mi impegnavo tenacemente per sostenere Toda, scrissi nel mio diario: “Ogni giorno è una dura lotta. Da giovani si deve lottare con tutte le proprie forze. Sono nobili e belli / Affaticati, alzano gli occhi / Ma ecco che la speranza si desta / Per far nascere il futuro. Ecco che risuona una musica dal cielo”» (Maestro e discepolo, esperia, pag. 70).
All’inizio della mia pratica, leggendo la Rivoluzione umana o il Gosho, pensavo che mai avrei avuto l’onore di sostenere e proteggere il mio maestro come lui ha fatto con il suo o come Shijo Kingo ha fatto con Nichiren Daishonin. Ora ho capito che proteggo il mio maestro ogni volta che mi sforzo di dimostrare che la mia vita è Nam-myoho-renge-kyo, che la mia vita è vincente, perfettamente dotata, a ritmo e splendente.
Dopo la laurea, nonostante tutti mi dicessero di partire perché in Italia non c’era lavoro, io ho deciso di rimanere per dare speranza a tutti quei giovani che se ne vanno perché costretti dalle condizioni sfavorevoli del nostro paese. Pregando con questo desiderio, ho trovato lavoro in pochissimi giorni con uno stipendio superiore alle mie aspettative.
Ogni giorno di lavoro è un giorno in cui decido di vincere per sensei, perché ogni giorno penso di non essere in grado o di aver sbagliato strada. Però vado a lavoro pensando che in quel momento sono il giovane Ikeda che protegge con tutte le sue forze Toda. Diventare la numero uno, una lavoratrice seria e indispensabile, portare il sorriso; la passione dei giovani è l’occasione per sostenere il mio maestro e per nutrire la nostra relazione e la storia di vittorie Soka di maestro e discepolo.
«La non dualiltà di maestro e discepolo non significa niente se resta una vuota e astratta teoria. Ciò che conta è se i discepoli abbracciano davvero la stessa promessa dei loro maestri e la mettono in atto. Questa è la cosa più importante» (NR, 433, 7).