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Ho scalato montagne insormontabili - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:59

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Ho scalato montagne insormontabili

Lucia Pinto De Magistris, Sabaudia (RM)

I numerosi consigli sulla fede su come trasformare il mio profondo malessere mi portavano sempre al punto di partenza: credevo veramente di essere un Budda? Recitavo molto Daimoku cercando di approfondire quelle parole preziose

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I numerosi consigli sulla fede su come trasformare il mio profondo malessere mi portavano sempre al punto di partenza: credevo veramente di essere un Budda? Recitavo molto Daimoku cercando di approfondire quelle parole preziose

Nel 1987, anno in cui ho iniziato a praticare, conducevo una vita in apparenza soddisfacente: amavo il mio lavoro di insegnante, avevo una bella famiglia e per marito un professionista brillante e di successo. Tuttavia un senso di inquietudine mi permeava poiché nel rapporto di coppia mi ero ritagliata un ruolo subalterno e dipendente e l’illusione dell’agiatezza economica metteva in secondo piano questo squilibrio. Non riconoscendo più il mio valore accettavo ogni sorta di umiliazione, nonostante avessi avuto prove tangibili di esso: mi ero laureata a ventidue anni, avevo iniziato subito a lavorare e affrontato da sola gli oneri economici di una prima figlia avuta a soli ventitré anni.
Iniziai da subito a praticare e studiare con assiduità, frequentando l’unico gruppo allora esistente nella provincia. Era la strada che cercavo da sempre e riuscii in poco tempo a cambiare in meglio la mia vita. Anche le mie due figlie iniziarono a praticare, mentre mio marito si opponeva non riconoscendo più la donna sottomessa che ero stata. Nello stesso momento ci trovammo a fronteggiare enormi difficoltà economiche a causa di investimenti sbagliati, mio marito si infortunò gravemente e scoprimmo che la più giovane delle mie sorelle aveva imboccato la strada della droga. La lettura del Gosho di Capodanno mi aveva inoltre portato a interrogarmi sulla relazione con i miei genitori che, tra l’altro, invecchiavano litigando in modo patologico.
Tutti mi dicevano di smettere, ma io e le mie figlie continuavamo a fare Daimoku e a dedicarci all’attività, accettando le responsabilità che ci venivano proposte. Mi ritrovai a essere vice responsabile di territorio, felice di avere l’opportunità di abbracciare e sostenere sempre più donne. Il Gosho, le parole del presidente Ikeda e i corsi a cui partecipavo mi chiarirono che si stava manifestando il mio karma e che era necessario avere una fede forte per realizzare un vero cambiamento. I numerosi consigli sulla fede su come trasformare il mio profondo malessere mi portavano sempre al punto di partenza: credevo veramente di essere un Budda? Recitavo molto Daimoku cercando di approfondire quelle parole preziose. Di volta in volta riuscivo così a scalare montagne insormontabili, diventando sempre più stabile e sicura in quel percorso in salita che era la mia vita. Addirittura risolvemmo il nostro problema economico in breve tempo, grazie al talento indubbio di mio marito ma anche alle buone circostanze che, ne ero sicura, si erano create in risposta ai nostri sforzi per kosen-rufu. Recuperai il rapporto con i miei genitori, il che portò, di riflesso, anche a un miglioramento nei rapporti con le mie figlie.
I tanti problemi e le preoccupazioni della famiglia li ho sempre affrontati con il Gohonzon e ho trovato nello studio e nell’attività la convinzione di poter trasformare qualunque cosa: ho imparato che non esiste una preghiera senza risposta. Tuttavia permaneva dentro di me il dolore legato a mio marito. Con gli anni la sua esuberanza e irrequietezza si erano tramutate in depressione che lui celava lavorando, fumando e mangiando senza misura. Il nostro rapporto era migliorato, ma mi sentivo impotente di fronte alla sua autodistruzione.
Nel 2002 avvenne l’irreparabile: ebbe un collasso. Per due ore rimase senza conoscenza e si risvegliò profondamente cambiato. Iniziò per me un lungo calvario tra ospedali e pratiche burocratiche. Il suo mutismo ci portò a fare delle indagini e si scoprì un’ischemia cerebrale diffusa e gravissima: la sua mente e i suoi organi erano compromessi. Ero disperata e non facevo che piangere. In un attimo era crollato tutto: lo status, il sostegno di un partner e il benessere economico, rivelando una situazione tutt’altro che rosea.
Con il supporto delle compagne di fede mi rimisi in piedi, affrontai il dolore e diventai esperta di imposte, notai, banche ecc., mettendo ordine nel caos economico in cui lui mi aveva lasciato. Facevo un Daimoku disperato e attingevo forza dallo studio e dallo shakubuku. Piangevo, ma andavo avanti e riuscii a non affondare.
Anche se le sue condizioni generali migliorarono, spesso si aggravava all’improvviso e frequenti erano i ricoveri d’urgenza. Davanti alla paura ho vinto con la fede, sradicando pezzo per pezzo questa angoscia dalla mia vita, come mi aveva spesso incoraggiato a fare sensei attraverso le sue parole.
Diventai la badante di mio marito, riducendo drasticamente l’attività. Nel 2004 riuscii a partecipare a un corso dove promisi al mio maestro che avrei fatto “attività senza limiti”. Di lì a poco mio marito divenne membro facendo, come poteva, la sua rivoluzione umana: recitava, mi accompagnava alle riunioni e anche al Centro culturale. In seguito a un suo ulteriore aggravamento assunsi una badante a tempo pieno, cosa che avevo sempre rifiutato sia per senso di colpa sia perché pensavo che nessuno potesse eguagliare le mie competenze.
Nel gennaio 2010 promisi di approfondire il senso della mia responsabilità, decidendo di stare vicina a tutte le persone del mio territorio come non avevo mai fatto prima. Così, insieme alla mia corresponsabile, abbiamo iniziato un’attività seria e organica creando unità e armonia con le responsabili di regione e di centro. Grazie a ciò ho assaporato una gioia interiore e grandi benefici nella mia famiglia: ho recuperato i contatti con mia sorella che vive a Copenaghen da venti anni e nonostante la distanza fisica e di età – lei è coetanea di mia figlia maggiore -, sono riuscita a trasmetterle la forza del Buddismo incoraggiandola a praticare e a ricevere il Gohonzon. Poco dopo la mia ormai collaudata determinazione venne di nuovo messa alla prova: mio marito venne ricoverato per polmonite e, come al solito, i medici mi prepararono al peggio. In quel momento ho capito che avevo sconfitto la paura della perdita e ho sentito, grazie al mio Daimoku, che Alfredo ce l’avrebbe fatta ancora una volta e che non sarebbe mancato all’ultima riunione prima delle vacanze estive. E così è stato. Quei giorni in ospedale sono stati per me come una vacanza, non c’era ansia nella mia preghiera né paura nel mio cuore. La gioia e l’energia regnavano intorno a me.
A luglio dell’anno dopo di nuovo una sfida per trasformare il karma della malattia. Ad Alfredo si occluse l’arteria femorale e dovette sottoporsi a un delicatissimo intervento. Per la prima volta gli lasciai la libertà di firmare o meno il consenso: lui firmò. A quel punto, mentre recitavo Daimoku, sentii che quella era una sua sofferenza e che il mio karma era libero dal suo. L’operazione riuscì, si riprese subito e, come tutte le altre volte, partecipò alla riunione di discussione.
Nell’estate venne a trovarmi l’altra mia sorella di Bari, e anche lei, con naturalezza iniziò a praticare, diventando membro il 10 novembre del 2013. Ora che siamo in tre nella mia famiglia d’origine, il nostro scopo è di avvicinare al Buddismo anche gli altri quattro fratelli e quattro sorelle.
A maggio del 2014 mi è stata offerta la responsabilità come sostenitrice di territorio. Ho recitato per capire quale doveva essere il cambiamento del mio cuore per poter dedicare la mia vita agli altri. Intanto le condizioni di salute di mio marito andavano peggiorando tanto che a luglio fu ricoverato d’urgenza. Alfredo era stanco, sentiva tutto come una violenza e desiderava morire. Vedendo la sua sofferenza mi chiedevo come recitare: perché la sua vita finisse o perché uscisse da quella situazione e tornasse a casa? Una frase mi colpì profondamente: «Quando la loro vita giungerà al termine, esse saranno accolte dalle mani di mille Budda che le libereranno da ogni paura e impediranno loro di cadere nei cattivi sentieri dell’esistenza» (RSND, 1, 190). Come spiega Ikeda, al momento della morte la vita universale accoglie ogni persona e la porta nella Pura terra e in quel momento la forza vitale dell’individuo emerge con la massima gioia.
Piangevo nel vedere il suo corpo martoriato e tuttavia la sera recitavo per trovare la gioia dentro di me. Tante volte con la mente ero andata a prefigurami l’evento della sua morte, ma in realtà ora dovevo viverla fino in fondo quella straziante, misteriosa, estrema esperienza di distacco da quell’uomo che da cinquantadue anni faceva parte della mia vita e che ha permesso a me e le due figlie di fare una grandissima esperienza di fede. Alfredo è morto serenamente il 15 agosto.
Ora sono sola, ma mi sento forte e piena di una fresca determinazione a continuare con ancora più coraggio a percorrere la strada di kosen-rufu.

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