Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
Una trama di fili familiari - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:35

552

Stampa

Una trama di fili familiari

La prima a praticare il Buddismo è la figlia, seguita pian piano da mamma, fratello e padre. Ogni componente della famiglia S. ci ha raccontato la sua storia, come ha vissuto questo percorso e dove lo sta portando il basare la propria vita sul Gohonzon, in un incrocio di legami familiari indissolubili

Dimensione del testo AA

La prima a praticare il Buddismo è la figlia, seguita pian piano da mamma, fratello e padre. Ogni componente della famiglia S. ci ha raccontato la sua storia, come ha vissuto questo percorso e dove lo sta portando il basare la propria vita sul Gohonzon, in un incrocio di legami familiari indissolubili

Giulia: Ho iniziato a praticare il Buddismo nel 1999, a vent’anni. La prima cosa che ho fatto, appena rientrata dal mio primo zadankai, è stato parlarne ai miei genitori. Ero troppo felice! Ero molto colpita dal fatto che tutto ciò che era stato detto alla riunione fosse già nella mia vita, mi ero sentita a casa. Persino le esperienze raccontate assomigliavano alla mia. Ciò che mi ha spinta a continuare è che tutti hanno subito iniziato a prendersi cura di me. Ho avuto un’infanzia emotivamente difficile e, nonostante l’affetto, nella mia famiglia non avevo mai sentito quel sostegno incondizionato che ora avvertivo nel gruppo.

Teresa: Ero molto curiosa di capire di cosa si trattasse per cui, dopo qualche mese, ho accettato di partecipare con mia figlia a una riunione. Quello è stato il momento della mia vita in cui ho deciso di iniziare a occuparmi di più della mia famiglia. Per me l’inizio della pratica ha coinciso con questo cambiamento. Sono sempre stata molto impegnata professionalmente e ho realizzato tante cose, ma a quel punto ho sentito che dovevo dedicarmi a loro. Avevamo vissuto vicende molto difficili anche dal punto di vista economico, in casa c’era molto conflitto. In un certo senso non avevo mai voluto affrontare tutta quella sofferenza.

Giulia: Io e mio fratello Luca stavamo sempre insieme, i nostri genitori li vedevamo soltanto la sera. Io mi occupavo molto di lui, mi sentivo responsabile. Praticavo da un anno circa e avevo molta difficoltà a studiare a causa della mia tendenza alla depressione. Una sera in cui cercavo di studiare in preda a un’ansia tremenda, Luca mi telefonò perché si era rotto un piede giocando a calcio: «Non mi puoi abbandonare!» implorava, ma io, ispirata dal Daimoku, risposi: «Luca, chiama la mamma!» E mia madre, che praticava già da vari mesi, per la prima volta andò a prenderlo. Da lì è cambiato tutto e Luca ha iniziato a chiedere a mamma invece che a me.

Luca: Io avevo diciannove anni, ricordo che in quel periodo ho provato a praticare per qualche mese. Poi ho ricominciato tre anni fa, nel febbraio del 2012, dopo il compleanno di Giulia, perché alla sua festa era capitata un’amica molto carina e volevo a tutti i costi rivederla. Così Giulia mi ha suggerito di provare a fare qualche minuto di Daimoku al giorno con questo obiettivo…

Giulia: Nel 2001 ho ricevuto il Gohonzon. Ricordo che all’apertura papà, per quanto cercassi di convincerlo, si rifiutò di entrare nella stanza. In questi dieci anni i suoi “no” alla pratica sono stati per me come uno squarcio nel cuore. Il suo rifiuto risuonava in quella parte di me che pensava di non valere niente, che si sentiva sempre inadeguata… a meno che lui non riconoscesse il mio valore. Finché un giorno questa cosa dentro di me è cambiata. Ricordo ancora la prima volta che dopo un esame mi disse «Brava!».
Ma il vero spartiacque è stato il mio viaggio in Giappone, nel 2005, dove, come avevo determinato, ho potuto incontrare il presidente Ikeda. A Tokyo visitammo il Centro internazionale delle donne e ci invitarono a depositare i nomi nostri e dei nostri genitori, che sarebbero stati custoditi lì per sempre. Io chiesi se fosse possibile scrivere anche quello di mio fratello perché mi sentivo certa della determinazione di sensei per la felicità di tutta la nostra famiglia.
I tre anni successivi furono veramente tosti, come se avessi trovato la spinta per affrontare i nodi più difficili della mia vita. Nel 2008 mi venne diagnosticato un disturbo dell’umore considerato inguaribile e io scrissi a sensei promettendogli che avrei fatto qualsiasi cosa per diventare felice, che avrei vinto sulla mia malattia e cambiato il karma della famiglia che da generazioni soffre di questo problema. Per la prima volta avevo veramente deciso di curarmi e i miei familiari mi sostenevano con tutti loro stessi. Nel frattempo avevo perso il lavoro e, dopo nove anni che vivevo da sola, fui costretta a tornare a casa dei miei.
Arrivò il 22 ottobre del 2011 e c’era un’attività enorme da preparare, ma mi si presentò un problema serio alle corde vocali per cui non potevo recitare Daimoku: allora chiesi a mio padre di recitare al posto mio, e lui lo fece! Io mi mettevo dietro di lui in silenzio, e lui recitava Daimoku per me davanti al Gohonzon…

Paolo
: Francamente non ricordo di aver fatto questo. Ricordo invece che per tanti anni mi innervosivo quando Giulia faceva shakubuku, mi sembrava proselitismo, non capivo. Solo quest’anno ho compreso l’importanza e la gioia che si prova. Ed è per questo che la settimana scorsa ho deciso di diventare membro. È stato un cammino lungo quindici anni. Molti passi devo averli fatti inconsapevolmente. Tra i buddisti che incontravo, ad esempio, c’erano persone che apprezzavo in modo particolare per il loro comportamento, e ogni volta che andavo al Centro culturale mi colpiva lo spirito di accoglienza che si respirava, l’empatia verso gli altri, era una cosa molto tangibile.
Quando poi cominciai a recitare Daimoku osservai che il mio stato vitale cambiava, e quindi cambiava la giornata, il mio modo di percepire le cose. Ho iniziato a vedere l’aspetto bello, allegro della vita, senza paura di ciò che poteva accadere. Le persone mi dicevano: «Che ti è successo? Ti vedo diverso», e questa consapevolezza mi dava la spinta per continuare a praticare, a salire. In questi anni ho visto fiorire i miei figli, e questa è una cosa meravigliosa per me! Poi sono diventato membro, e devo dire che non ho mai provato tanta felicità come quel giorno. Non è una felicità costruita, è una festa vera, che ti sorprende, totalmente inaspettata. E da quel giorno recitare Daimoku è diventato più facile.

Teresa: Io non mi aspettavo che Luca e Paolo si decidessero a iniziare. Tutto è dipeso dalla determinazione di Giulia. Dal punto di vista del Buddismo lei è il capofamiglia, è lei che ha trainato tutti, noi ci siamo agganciati uno dopo l’altro alla sua forza. Una famiglia unita, quattro persone che praticano con l’obiettivo chiaro di kosen-rufu diventa una potenza, anche nei confronti degli altri, per fare shakubuku. Luca ci aveva sempre un po’ criticati e presi in giro, ma un giorno è arrivato a casa annunciando: «Allora, io ricevo il Gohonzon».
È stato sorprendente vederlo diventare così tranquillo, consapevole, lui che era stato sempre irascibile e insoddisfatto. Io devo ammettere che non ho mantenuto sempre la fiducia, ma Giulia sì, lei ci ha creduto sempre.

Giulia: Sicuramente la spinta è stata quella di ripagare il mio debito di gratitudine. Con Luca c’era una conflittualità latente sempre pronta a esplodere, che mi devastava. Eppure a un certo punto ho sentito gratitudine per lui che aveva scelto questo karma così difficile per permettere a me di fare la mia rivoluzione umana. Perché in fondo ci si ritrova nella stessa famiglia per questo, per permettere uno all’altro di fare la propria rivoluzione umana. Il giorno in cui Luca ha incontrato quella ragazza che gli piaceva tanto era lo stesso in cui mio padre è stato ricoverato per peritonite e poi, al secondo intervento, dopo una settimana, ha contratto un’infezione in ospedale e una settimana dopo stava praticamente morendo. I medici mi guardarono con il vuoto negli occhi, è terribile quando un medico ti guarda così, non riuscivano a fargli scendere la febbre. Allora mi sono detta: «Ok! Questo è il momento di utilizzare il Buddismo al cento per cento, basta raccontarsela», perché uno lo sa bene come si fa un’esperienza di fede. E così mi sono messa a fare tre ore di Daimoku al giorno e con papà recitavo tre Daimoku, lui sicuramente non lo ricorda, perché aveva oltre quaranta di febbre.

Paolo: Invece sì che mi ricordo, lo chiamavo “il tre”. Ricordo anche che un giorno scoppiai a piangere perché mi sentii sopraffatto, era troppo.

Giulia: Quel giorno in cui i medici non sapevano più cosa dire, ho aperto l’omamori Gohonzon e gli ho detto: «Papà, adesso metti tutta la tua vita qui». Subito dopo aver recitato così sono arrivati i medici, gli hanno cambiato l’antibiotico e le cose sono iniziate a migliorare. Il fatto è che eravamo molto uniti in quei giorni, facevamo tanto shakubuku insieme, anche Luca, ed è questo che ha portato la mia famiglia verso il Gohonzon.

Teresa: È vero, Paolo fino all’anno scorso aveva una pratica ancora molto occasionale, eppure ogni volta che mi sentiva parlare di Buddismo con gli amici interveniva, regalava libri, raccontava come recitando Daimoku cambia lo stato vitale…

Paolo
: Via via ho capito che parlare della pratica agli altri aumenta la tua felicità. Il Daimoku alza lo stato vitale, ma poi l’azione da fare è shakubuku. Questa azione produce un’onda di ritorno di gioia che abbraccia anche le persone che ti stanno intorno.

Luca: Quando ho saputo che papà sarebbe diventato membro sono rimasto spiazzato. Quando eravamo piccoli al centro c’era papà, era lui che portava i soldi, che dettava le regole in famiglia. Poi con il tempo le cose sono cambiate, ci sono stati tanti problemi di lavoro e lui si è messo come un po’ da parte… Ma ora, da quando è diventato membro, l’equilibrio della famiglia è cambiato di nuovo. Ho sentito la forza di mio padre come quando ero bambino, quella forza di portare le cose in avanti. Io stesso ho sentito un cambiamento interiore, come quando sposti il peso da una gamba all’altra e trovi un equilibrio nuovo. Sono molto più tranquillo perché, nonostante i problemi, ora so che ha tutta l’energia per affrontare qualsiasi cosa, ed è consapevole di averla. Non devo più angosciarmi per lui perché so che adesso ha avviato un motore tutto suo e finalmente ci crede pure lui, nella sua forza.

Paolo: La pratica ti restituisce la forza di agire. I guai vissuti con le mie aziende mi avevano lasciato come un pugile suonato, non riuscivo più a rialzarmi. E invece nel 2009 mi sono rialzato, ho lasciato l’attività di imprenditore e a sessantacinque anni ho iniziato tutto da capo, e ho ripreso a guadagnare. Ora lavoro per far acquisire agli enti pubblici un software di gestione documentale che migliora il servizio ai cittadini, un’attività che trovo entusiasmante.
Ma il vero salto di qualità è stato quando sono diventato membro della Soka Gakkai. Improvvisamente è cambiata la mia relazione con le persone, non ho più nessuna paura. E visto che il mio compito è interagire con gli altri, il lavoro mi riesce molto meglio.

Teresa: Penso che sia fondamentale a una certa età non sentirsi perdenti. Con il passare del tempo vedi che certe cose non le hai realizzate e ti ripieghi su te stesso. Invece mio marito è proprio rifiorito. Non è finito nulla, la vita va avanti, ci sono tante sfide nuove da affrontare. In questo la pratica ti dà una forza straordinaria. Tutto si gioca da ora in poi. Il fatto di guardare sempre avanti è normale per un giovane, è una grande speranza, ma è una cosa davvero eccezionale quando l’età avanza. Lui è stato tra la vita e la morte, non lavorava più, non avevamo più una lira. Io stessa ero entrata in una fase di declino, avevo chiuso con l’associazione che avevo a suo tempo fondato. Ma a un certo punto mi sono buttata nella politica e ho scoperto la mia missione, anche io a sessantatré anni ho ricominciato tutto da capo. Per tutta la vita ho provato un senso di grande insicurezza riguardo al futuro, ma ora sento che può riservarci solo cose belle.

Giulia: Tutto è iniziato a cambiare in quell’anno cruciale, il 2012. Lì abbiamo svoltato tutti, quando io ho deciso di smettere di accontentarmi. Non mi bastava più che mio padre guarisse, ho capito che dovevo costruire la mia vita. Non avevo un lavoro, abitavo di nuovo con i miei, non avevo un fidanzato. Ho capito che dovevo fare la mia rivoluzione umana, se volevo che la mia famiglia fosse felice. Ho deciso di fare tre ore di Daimoku e due shakubuku al giorno, di sforzarmi costantemente nello studio, e tutto questo con l’obiettivo dichiarato di “svoltare”. Dove facevo attività, ad esempio, non mi bastava più che le cose cambiassero, doveva diventare la prima organizzazione in Italia, la mia famiglia doveva diventare la più felice di tutte…
Non sapevo chi ero, cosa volevo fare. Così sono andata alla scoperta di me stessa ponendomi una sfida dietro l’altra e, contemporaneamente, anche mia madre è stata chiamata per fare politica, e anche Luca è cambiato, invece di lasciare il lavoro ha iniziato ad andare fino in fondo là dove si trovava, e grazie a questo alla fine gli hanno offerto un impiego a Londra, dove tuttora vive e ha deciso nuovamente di fare l’imprenditore ma questa volta per kosen-rufu, per la felicità delle persone. Quanto a me sono riuscita a tirare fuori dal “cassetto” il mio sogno di dedicarmi ai diritti umani e alla fine mi sono trasferita a Tokyo per un periodo, dove ho studiato all’Università delle Nazioni Unite; non solo, ma una volta rientrata a Roma ho iniziato immediatamente a lavorare e alla fine sono potuta andare a lavorare a Tokyo.
Qualche mese fa ho pensato che potevamo scrivere tutti insieme una lettera a sensei, innanzitutto per ringraziarlo, perché ora siamo una famiglia felice nella quale ci si incoraggia continuamente, e lottare insieme invece che uno contro l’altro è una gioia infinita. Pensavo tra me: «Se papà scrive a sensei sicuramente vince, diventa membro…». Ognuno di noi gli ha mandato i suoi obiettivi personali, e papà ci ha spiazzati tutti scrivendo: «Studiare bene il Buddismo per poter fare shakubuku». «Proprio per questo esistono le riunioni – gli ho detto allora – la Soka Gakkai serve per questo!».
Domenica scorsa, quando anche lui è diventato membro, mi sono svegliata con la stessa emozione di quando ho ricevuto io il Gohonzon. Ora che la mia famiglia è tutta intera sul palcoscenico di kosen-rufu provo un senso di grande pienezza. La mia determinazione adesso è di avere una famiglia sempre più felice e di adempiere alla mia missione di Bodhisattva della Terra abbracciando la mia vita, così come sono.

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata