Sperimentare la libertà interiore per chi, a causa di una pena detentiva, ha perso quella fisica è difficile. Il Buddismo parla anche di questa libertà interiore e grazie a un gruppo che se ne prende cura, il suo messaggio è arrivato anche dentro le carceri
Si è svolta al Centro culturale di Firenze, lo scorso 15 novembre, la riunione del gruppo Rondine della regione Toscana: sono coloro che si adoperano per mettere in pratica e realizzare la missione inerente al Bodhisattva della Terra attraverso il sostegno a chi pratica il Buddismo in stato di reclusione. Le Rondini, in seguito, accompagnano le persone uscite dal carcere finché non diventano autonome nella fede. L’attività del gruppo Rondine è fatta di visite costanti ai detenuti unite a meeting di scambio e di studio dei princìpi di base della fede buddista. “Libertà non significa assenza di limitazioni” scrive Daisaku Ikeda, ed è proprio nella lotta col coraggio di osare oltre i propri limiti per dare massima espressione alla propria unicità che si scopre che la libertà non è una concessione e quindi non può essere tolta o determinata da condizioni esterne.
Serietà ed emozione hanno avvolto la sala nell’ascoltare gli ex detenuti che con le loro esperienze hanno testimoniato come il carcere e l’incontro col Buddismo siano stati l’occasione di percepire il valore intrinseco alla vita. Da qui il loro slancio a sperimentare che una vita consapevole del proprio valore diventa responsabile unica di ciò che è e del suo ambiente.
«Quando sono con voi (riferendosi ai membri dell’Istituto presenti) mi sento bene, in famiglia, accolta». È la voce della dottoressa Margherita Michelini, direttrice del carcere Mario Gozzini di Firenze. «Sono convinta dei frutti positivi della pratica. Vedo qui presenti in sala ex carcerati, oggi persone libere e questo è un risultato tangibile della bella attività portata avanti nelle carceri dai membri della SGI a sostegno dei detenuti che praticano e che hanno fatto richiesta di sostegno spirituale da parte dei ministri di culto. La cura delle persone è il primo mandato che sento di avere come direttrice, per questo ritengo sana, all’interno del carcere, la presenza di persone portatrici di un messaggio che aiuta a tirar fuori positività dalla vita. Una presenza sana, in un luogo in cui le persone tendono a essere deresponsabilizzate e a diventare un numero. Credo nell’uomo e nella possibilità che si modifichi e migliori, e l’incontro con altri modelli di vita non può che contribuire alla crescita personale, allo sviluppare forza interiore, indispensabile per affrontare la vita una volta fuori dal carcere».
In Lettera al prete Nichiro in prigione il Daishonin scrive: «Gli altri leggono il Sutra del Loto solo con la bocca, leggono solo le parole, ma non lo leggono con il cuore. Anche se lo leggono con il cuore, non lo leggono con il corpo. Veramente lodevole è leggerlo sia con il corpo che con la mente» (RSND, 1, 178). Carcere significa assenza di libertà fisica, e velatamente anche di libertà mentale. È in questi spazi che la mente e il cuore possono sempre trovare una dimensione senza confini.