La riunione di discussione è il luogo dove incontrare persone molto diverse fra loro, una diversità che a volte diventa invece un ostacolo. Un’occasione imperdibile per spalancare le porte al dialogo anche quando sembra impossibile e offrire a noi stessi l’opportunità di aprire nuovi orizzonti
Le nostre riunioni di discussione sono un’occasione per dialogare. C’è a chi risulta facile esprimersi e parlare, e chi preferisce ascoltare: per una riunione gioiosa tutti sono preziosi, perché portano un contributo con la loro presenza, le loro parole, la loro preghiera. Personalmente faccio parte della schiera di coloro a cui risulta più facile parlare, e col tempo mi sono resa conto che mi precludevo un’opportunità nel non ascoltare gli altri. Perciò ho determinato davanti al Gohonzon di imparare ad ascoltare. Confesso che non ho sentito alcun “puff” stile genio della lampada, anzi è iniziata una bella rivoluzione umana che devo continuamente rilanciare a suon di Daimoku. Quando la mia natura “bussa”, mi capita di avere la sensazione di non avere abbastanza pazienza per ascoltare, pretendendo perfino di sapere l’esatto percorso del discorso. In quel momento la mia opportunità di crescita personale si dissolve. Nel Gosho di Capodanno Nichiren scrive: «Noi persone comuni non possiamo vedere le nostre ciglia che sono vicine né i cieli che sono lontani» (RSND, 1, 1008). È vero, non posso vedere le mie ciglia e, proprio per questo, il confronto con l’altro ha un valore insostituibile.
Apprezzo moltissimo quando io vengo ascoltata, perciò posso almeno provare ad ascoltare quella persona. Allora qualcosa inizia a cambiare e l’impazienza si trasforma in curiosità. Non sento più solo le parole di chi mi parla: noto il tono della sua voce, la sua espressione, le parole che sceglie, la sua lotta e capisco che ci sono tante cose che non conosco di lei. La verità è che ascoltare le emozioni dell’altro ci aiuta a capire le nostre.
Masao Yokota (ex presidente del centro Ikeda di Boston) affronta tale tematica parlando del potere curativo del dialogo spiegando che il suo fulcro è l’ascolto, inteso come capacità di percepire di cosa ha bisogno chi ci sta di fronte, quali sono i suoi sentimenti (cfr. BS, 139, 10). Yokota afferma che è possibile dialogare quando si ascolta e si impara, mentre la società ci insegna a parlare e insegnare. Diversi studi dimostrano che parlare e ascoltare possono essere terapeutici e la filosofa americana Nel Noddings definisce tali azioni capaci di cicatrizzare le ferite interiori. Ironicamente nell’epoca della comunicazione globale e dei social network il senso del dialogo ha bisogno di essere riscoperto.
Il potere del bodhisattva
«Fa sbocciare la fantasia dei suoi coetanei, è capace di riappacificare gli animi litigiosi, di far comprendere gli errori e trovare le soluzioni dei problemi. E questo avviene solo tramite la sua capacità di ascoltare». Ho letto questo romanzo, Momo di Michael Ende, molti anni fa, eppure ricordo nitidamente lo stupore nello scoprire che tutte queste capacità straordinarie vengono messe in moto dalla protagonista semplicemente ascoltando. Ascoltare non è per niente facile e non ha nulla a che vedere col recepire distrattamente l’argomento oggetto del contendere o le poche informazioni che ci servono per poter controbattere a tono. Anche tra le pagine della letteratura buddista, nel venticinquesimo capitolo del Sutra del Loto, spunta una figura il cui potere si esplica con la medesima capacità: il Bodhisattva Percettore dei Suoni del Mondo. Shakyamuni lo descrive così: «Ascolta le azioni del Percettore dei Suoni, come sappia rispondere in ogni quartiere del mondo. Il suo solenne giuramento è profondo come l’oceano; i kalpa trascorrono, ma rimane insondabile. Egli ha servito molte migliaia e milioni di Budda e ha formulato un voto grande e puro. Lo descriverò per te in breve: se ascolti il suo nome, guardi il suo corpo, e lo tieni a mente, non trascorri il tempo invano, poiché egli è in grado di annullare i dolori dell’esistenza» (SDL, 413 [405]).
È la descrizione di quello che Ikeda definisce un leader compassionevole, al punto da essere paragonato all’amore materno e da essere chiamato anche “madre compassionevole Percettore dei Suoni del Mondo”.
La figura di questo bodhisattva è rinomata anche al di fuori del contesto buddista e si mescola con figure a volte maschili a volte femminili di diverse tradizioni religiose occidentali e orientali. Nella Saggezza del Sutra del Loto Ikeda narra di questo tipo di compassione raccontando la storia di un uomo cresciuto in una famiglia molto povera, la cui madre faceva pesanti sacrifici per sostenere i suoi cari. Egli racconta che un giorno, ancora bambino, tornando a casa ruppe involontariamente una bottiglia di liquore comprata con i pochi soldi che la madre gli aveva affidato e, mortificato per l’accaduto, scoppiò a piangere. La madre lo abbracciò e gli disse: «Ti sei fatto male? Se non ti sei fatto male, non c’è motivo di piangere». Quel bambino oggi è un uomo e racconta che la bontà di sua madre in quel momento di disagio è diventata fonte di forza ogni volta che nella vita si trova in situazioni difficili (cfr. D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, esperia, 2014, vol. 3, pag. 274).
Quella mamma probabilmente era dispiaciuta che il frutto dei suoi risparmi si fosse frantumato al suolo, ma sicuramente ebbe la forza di ascoltare il bambino e il suo bisogno di essere confortato. Chi non vorrebbe essere abbracciato da un calore simile quando soffre? Scrive Ikeda: «Sembra che la consapevolezza che ci sia qualcuno che si preoccupa di noi e ci ama incondizionatamente ci dia la volontà di vivere» (Ibidem, 275). E ascoltare una persona vuol dire prendersene cura.
Io mi ascolto?
La cosa incredibile è che spesso le prime persone a non essere allenate ad ascoltare siamo proprio noi.
Cosa succede quando ci mettiamo in ascolto? Io mi immagino un paesaggio notturno, buio, senza nemmeno la luna. È come se mi sforzassi di spingere lo sguardo più lontano possibile, fin dove gli occhi me lo consentono e a un certo punto mi sembra di aver scrutato tutto ciò che è possibile scrutare. Poi arriva qualcuno che mi racconta di sé, di quello che sta vivendo, delle sue lotte e delle sue vittorie, ed è come se quel paesaggio venisse rischiarato a tratti da lampi che per qualche istante illuminano l’orizzonte, mostrando dettagli e luoghi dimenticati o mai visti. Quello che un attimo prima è una sfida, diventa l’impagabile occasione per allargare il proprio orizzonte, accendere una luce, permettendo di posare lo sguardo su una parte di noi che non avevamo considerato. Ciò che vediamo potrebbe anche non piacerci, spingendoci ad alzare un muro: capita di non voler ascoltare, per paura di soffrire, perché quelle che sono solo apparentemente parole toccano luoghi della nosra vita che non siamo pronti a guardare. Allora andare davanti al Gohonzon è determinante per capire meglio un pezzettino di noi, per acquisire maggiore consapevolezza e abbattere un ostacolo alla nostra felicità: «Tuttavia solo guardando nel limpido specchio del Sutra del Loto e di Grande Concentrazione e visione profonda di Tien-t’ai, possiamo vedere i nostri dieci mondi, i cento mondi e mille fattori e i tremila regni in un singolo istante di vita» (RSND, 1, 315). Fare Daimoku è il primo passo per ascoltare la propria vita.
Ascolto è anche sinonimo di rispetto. In un’intervista del 2004 Tamotsu Nakajima, direttore generale della Istituto Buddista Italiano, alla domanda su cosa vuol dire il rispetto nell’ambito dell’attività della Gakkai, rispondeva così: «Cerco di sforzarmi sempre in questa direzione. Ma comunque incontro difficoltà perché la mia soggettività esce sempre fuori. Sono consapevole però che devo essere io stesso che devo migliorare. Per esempio, rispettare significa anche ascoltare. Io accetto tutte le persone, perché tutti stanno cercando la loro felicità e ognuno vuol stare bene e a proprio agio. Prima di tutto, quindi, cerco di capire come sta vivendo quella persona che incontro, poi – se è necessario – cerco di farle capire che quello che sta cercando non è assoluto, che c’è qualcosa di molto più profondo, che si può diventare liberi dal proprio karma attraverso la Legge mistica. Io penso che per comprendere e realizzare fino in fondo la pratica del rispetto bisognerebbe semplicemente seguire l’esempio del maestro. Il rapporto con il maestro è fondamentale nel Buddismo. “Seguire il maestro” non significa seguirlo ciecamente anche se non è altrettanto giusto volere sempre e comunque sovrapporre la nostra interpretazione a ciò che dice il maestro. Una volta che abbiamo deciso che il maestro è corretto non dovremmo dubitare di lui ma cercare di seguirlo partendo da un contatto profondo con il suo cuore attraverso il Daimoku» (NR, 301, 7).
Il presidente Ikeda incoraggia a intraprendere questo cammino con le parole: «Non dobbiamo isolarci, né dobbiamo isolare gli altri. È importante ascoltare chi è assillato dalle preoccupazioni. Così facendo, in realtà veniamo guariti noi per primi. Avvicinandoci agli altri e incoraggiandoli, noi stessi siamo incoraggiati e il nostro cuore si espande. All’inizio vogliamo solo essere ascoltati. Ma gradualmente il nostro stato vitale si eleva al punto di essere in grado di ascoltare i problemi degli altri. Passiamo dalla dipendenza dal Bodhisattva Percettore dei Suoni del Mondo al diventare noi stessi il Bodhisattva Percettore dei Suoni del Mondo. È una trasformazione notevole» (D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, esperia, 2014, vol. 3, pag. 296). In definitiva sensei sta dicendo che il potere di Percettore dei Suoni del Mondo in realtà è il potere di Nam-myoho-renge-kyo.