Ripercorriamo alcune tappe dei viaggi del presidente Ikeda in Italia attraverso le pagine della Nuova rivoluzione umana, le guide dedicate agli italiani, le foto e le testimonianze di coloro che hanno avuto occasione di incontrarlo in quei giorni. Inoltre, un’intervista ad alcuni giovani di oggi sulla relazione maestro discepolo
Roma, 19 ottobre 1961
Il primo viaggio del presidente Ikeda in Italia risale al 19 ottobre 1961. Arrivò a Roma la sera, dopo aver lasciato Vienna. Nella Nuova rivoluzione umana egli ricorda dettagliatamente il suo soggiorno. Ai pochi membri che vivevano a Roma disse: «Qual è la maggior impresa per un essere umano? È lasciare dietro di sé altri che condividono i propri ideali e convinzioni. Siamo limitati in ciò che possiamo compiere durante la nostra vita, e ancor più in ciò che ognuno di noi può fare in due o tre anni. Ecco perché è importante far crescere persone capaci. Questo darà vita a un movimento che continuerà a diffondersi in tutta la società». Il giorno dopo – era già notte – andò al Foro Romano, c’era già stato la mattina, ma volle ritornarci per stare un po’ lì a riflettere. Nel romanzo [La nuova rivoluzione umana, n.d.r.] ricorda che Roma era illuminata da una luna meravigliosa, e quella sera compose i famosi versi:
In piedi,
tra le rovine di Roma,
sento la certezza che
la terra della mistica Legge
non perirà mai.
(Ai miei cari amici italiani, pag. V)
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Roma, 23 maggio 1967
Shin’ichi voleva mostrare al patriarca Nittatsu e agli altri le bellezze della città eterna, e perciò quel giorno era in programma un giro turistico di Roma. Ma Shin’ichi voleva anche incoraggiare un giovane giapponese che si era trasferito a Roma per studiare Belle Arti. Lo studente si chiamava Yasuo Kojima (Tamotsu Nakajima, n.d.r.) ed era il fratello minore di Sumiko Kojima (Toshiko Nakajima, n.d.r.), anche lei trasferitasi a Roma per studiare pittura. […] L’opportunità di parlare con Yasuo Kojima si presentò nell’ascensore dell’albergo dove Shin’ichi alloggiava. Vedendo la corporatura esile di Yasuo, Shin’ichi esordì esprimendo le sue preoccupazioni per la salute del giovane. Commosso dalle gentili parole di Shin’ichi, Yasuo sentì le fiamme della determinazione accendersi nel suo cuore. Shin’ichi lo nominò responsabile di settore della Divisione giovani uomini di Roma, e gli regalò una medaglia. (NRU, 12, 67)
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Firenze, 30 maggio 1981
Spero che voi pratichiate costantemente per tutta la vita, come una corrente che fluisce ininterrotta. Ricordate per favore che solo una pratica costante per tutta la vita porterà a conseguire l’Illuminazione in questa esistenza.
La fede deve essere la base di tutte le cose. Recitare Gongyo mattina e sera è il modo per mettere in pratica questo principio. L’unico modo per fare emergere la Buddità esistente nella nostra vita è recitare Gongyo e Daimoku. L’importante è fare dipendere tutto da Gongyo e Daimoku; così potremo svilupparci e diventare individui importanti nella società, progredendo allo stesso tempo verso le nostre mete e superando le sofferenze, le preoccupazioni e i problemi. Per favore, siate pazienti in questa impresa e procedete nel modo che meglio si adatta a ciascuno di voi. Desidero anche che viviate allegramente, secondo la caratteristica degli italiani. […]
Da tempo desideravo venire a Firenze, questa terra ricca, perché qui sorse il Rinascimento […] una nuova epoca, che risvegliò la gente alla libertà e alla coscienza che l’essere umano viene prima di tutto. (Ai miei cari amici italiani, pag. 5)
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Milano, 4 giugno 1981
Normalmente occorrono vent’anni perché una persona diventi un individuo eccellente che ha raggiunto il massimo sviluppo come membro della società. La stessa cosa si applica alla trasformazione di un alberello in un albero gigante. Il Buddismo è ragione. Perciò desidero che miriate prima di tutto a raggiungere la pietra miliare dei vent’anni di pratica mantenendo una fede costante. […]
I benefici del Buddismo nell’Ultimo giorno della Legge sono spesso intangibili. I giovani non devono cercare soltanto i benefici visibili. Se permettete ai fenomeni momentanei di sviarvi, alla fine perderete di vista la vostra integrità. Per favore siate sempre coscienti che la fede è qualcosa che dovete mantenere con costanza, senza interruzioni (Ibidem, pag. 15)
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Firenze, 1 luglio 1992
Lo scopo della vita è diventare felici. Ed è per raggiungere questo obiettivo che pratichiamo il Buddismo. Mi auguro che ognuno di voi, senza alcuna eccezione, possa condurre una vita felice. Ma dove possiamo trovare “la città eterna della felicità?”. Il Daishonin ci insegna che esiste nella vita di noi che abbracciamo la Legge mistica. Lo scintillante “palazzo della felicità” si trova nel profondo della nostra esistenza. Dobbiamo compiere ogni possibile sforzo per aprire e rivelare questo “prezioso palazzo” che è dentro di noi. La felicità non è una questione formale, e non ha niente a che vedere con le apparenze. La felicità non è determinata dall’aspetto esteriore, dalla condizione sociale o dalla ricchezza. L’essenza della felicità risiede piuttosto in quello che sentiamo nel nostro cuore, in ciò che vive e regna nella profondità del nostro essere.
La forza motrice che ci permette di aprire il supremo palazzo della felicità è la fede e la recitazione del Daimoku. Una persona che recita Daimoku, una persona che conquista se stessa, sarà in grado di godere appieno della vita nel corso delle tre esistenze.
Qualunque cosa accada, spero che continuiate sempre a dedicarvi al flusso eterno di kosen-rufu e al movimento della SGI, avanzando nel mondo in profonda unità. Concludo pregando per la prosperità dell’Italia e per la grande vittoria dei miei cari amici italiani. Grazie di tutto cuore. (Ibidem, pagg. 48-49)
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Milano, 3 luglio 1992
Non esiste Buddismo fuori dall’ambito quotidiano e lo stesso vale per la felicità. La vera felicità sta nelle cose abituali e immediate della vita quotidiana ed è il Buddismo che ci permette di far sbocciare i fiori della felicità nella realtà delle nostre vite. Soka – creazione di valore – rappresenta tutto questo.
Prego per la felicità dei miei cari amici di Milano e per tutti voi che siete qui oggi. Vi chiedo di costruire qui a Milano una famiglia che sia tra le più armoniose e gentili del mondo. Spero anche che tutti voi conduciate la più felice delle esistenze. Non ho altri desideri. Vi ringrazio molto per la vostra calda ospitalità. (Ibidem, pag. 62)
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Bologna, 31 maggio 1994
Sono meravigliosi i pioppi che si spingono fino in cielo. Anche i pioppi non crescono in un giorno. Per tanti anni, si sforzano e crescono. Lo stesso vale per i benefici della fede.
Il Buddismo è ragione, porta a benefici incommensurabili, come gli anelli di vita dell’albero che si susseguono e permettono di crescere in modo solido. Per far si che un albero cresca sono necessarie tre cose: il sole, la terra e l’acqua insieme al fertilizzante. Allora qual’è il sole che fa crescere l’albero della felicità assoluta? È pregare la Legge mistica. La terra è l’organizzazione per kosen-rufu. Se ci si allontana dall’organizzazione è come l’erba galleggiante che vagabonda. Mentre ciò che nutre l’albero, cioè l’acqua e il fertilizzante sono le azioni e la pratica buddista che noi facciamo. Se ci sono tutte e tre queste condizioni, l’albero dei benefici può svilupparsi.
Come un lume rischiara la stanza intera, la luce delle nostre preghiere illumina tutte le persone con cui creiamo un legame, fino a far funzionare sincronicamente l’universo intero. (Ibidem, pag. 77)
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Tamiko Kaneda, Roma
Con il desiderio di mia madre nel cuore
Quando sensei venne a Firenze nel 1981 io frequentavo le scuole elementari. Il 31 maggio si tenne un meeting generale al quale partecipai insieme alle mie due sorelle più piccole come membri del coro della Divisione futuro. Durante la pausa, mentre mia sorella e io stavamo camminando nel giardino, all’improvviso incontrammo sensei. Con voce gentile si rivolse a noi dicendo: «Quando sarete grandi, per favore venite a studiare all’Università Soka».
Quel giorno sensei fece una foto con noi della Divisione futuro. Io ero proprio davanti a lui. Quella foto è un tesoro prezioso per me e le mie sorelle. Con la nascita di mio fratello diventammo quattro; tutti noi abbiamo frequentato l’Università Soka, mantenendo così la promessa fatta a sensei.
Mentre ero all’Università Soka, nel 1993, in occasione del ventiduesimo festival culturale, sensei ci incoraggiò a vivere dedicandoci al nostro sogno più grande. Tornata a casa, mi misi a recitare Daimoku chiedendomi quale fosse il mio sogno. Qualche tempo dopo, a un corso in Giappone, ero la responsabile interpreti per i membri della SGI e mi resi conto che la mia missione era fare l’interprete e costruire un ponte di amicizia fra Giappone e Italia.
Nel 2001, sulla rivista mensile Todai, venne pubblicato a puntate un discorso del presidente Ikeda, in cui dialogava con alcuni educatori italiani; io avevo fatto da interprete durante il loro incontro.
Sono profondamente grata verso i miei genitori per aver gettato le basi di kosen-rufu in Italia. Mia madre Kimiko, dopo aver compiuto la sua missione, ci ha lasciato nel 1998. Ancora oggi, quando i compagni di fede mi riferiscono le parole che mia madre rivolse loro, percepisco profondamente il suo cuore e il fatto che ha dedicato la sua vita a kosen-rufu. Determino nuovamente di ereditare il suo desiderio.
Nel dicembre del 2003, mio padre e io abbiamo ricevuto una poesia da sensei:
In Italia
costruite la storia
nelle tre esistenze di passato, presente e futuro,
ricevendo benefici,
padre e figlia uniti da un profondo legame.
Serbando nel mio cuore il voto di ripagare il debito di gratitudine nei confronti di sensei e della signora Kaneko, rinnovo la promessa di dedicare tutta me stessa allo sviluppo di kosen-rufu in Italia.
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Stefano Niccoli, Firenze
Un’indimenticabile stretta di mano
Ho incontrato per la prima volta il presidente Ikeda nel 1980, in Giappone, presso il Centro culturale di Kanagawa. Un anno prima si era dimesso da presidente della Soka Gakkai, ma io non ne conoscevo i motivi e, credendo fosse stata una sua precisa scelta, non avevo dato troppa importanza alla cosa. Molti anni dopo, durante un corso estivo nazionale, il direttore generale della SGI Yoshitaka Oba ci raccontò quel difficile periodo: dopo le dimissioni il presidente Ikeda scelse Kanagawa come sua base e si dedicò al kosen-rufu mondiale incontrando tutti i membri che venivano dall’estero fra i quali l’inconsapevole sottoscritto che “entrava nella storia a sua insaputa”.
Poco tempo dopo arrivò la notizia che l’anno successivo sensei avrebbe visitato l’Italia. Furono mesi di preparazione intensissima, tanto Daimoku e nottate a studiare ogni dettaglio, preparare cartine per raggiungere tutti i luoghi che avrebbe visitato e che cambiavano in continuazione, programmi dettagliati al minuto che cambiavano ancor più velocemente delle cartine, stabilire con precisione i ruoli di ciascuno che, potete scommetterci, sarebbero cambiati anch’essi fino all’ultimo istante. Arrivò il gran giorno. Ero uno degli autisti dello staff che accompagnava sensei.
La prima impressione che conservo di quei pochi giorni è che il presidente Ikeda sia rimasto a Firenze un mese o due, tanto ha significato quella visita per kosen-rufu in Italia. Lo ricordo a Fiesole seduto con noi ai tavolini di un bar interrogarci sulla Divina Commedia e io conoscevo la risposta, ma mi vergognavo a tirare fuori la voce. E lo ricordo quando, ogni volta senza eccezione, dovunque ci fermassimo, si voltava per invitare il suo autista – un professionista che non era membro della Soka Gakkai – a unirsi a noi, cosa che gli fece affermare: «Il vostro presidente è proprio un gran signore!».
E ricordo quando me ne stavo nel parcheggio accanto alla mia auto e lo vidi venire verso di me. Accertato che non c’era nessun altro in giro e che quindi veniva proprio da me, gli corsi incontro a rischio di scivolare sulle mie suole di cuoio e, nel suo gesto di tendermi la mano che strinsi, percepii qualcosa del genere: «Tu sei qui perché pensi che la persona importante sia io, ma io sono qui perché la persona importante sei tu». Onestamente, lui questo non l’ha detto, ma è l’incoraggiamento che è arrivato alla mia vita e che negli anni, magari a fasi alterne, ho cercato di onorare. Grazie maestro.
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Asa Nakajima, Roma
Incoraggiare partendo dalla relazione maestro-discepolo
Sono nata nella prefettura di Kanagawa, quinta di sette fratelli. Quando avevo otto anni, fecero shakubuku alla mia famiglia, ma mio padre era contrario, essendo preoccupato dei pregiudizi nei confronti della Soka Gakkai.
Partii per l’Italia nell’inverno del 1974, per insegnare ikebana. Avevo ventotto anni. A Perugia, mentre studiavo italiano, conobbi una ragazza originaria di Okinawa e quando andai a casa sua a Roma notai un meraviglioso butsudan. Rimasi molto sorpresa di trovare il Buddismo nella “culla” del Cattolicesimo; mi disse che era un membro della Soka Gakkai e che Nam-myoho-renge-kyo è davvero meraviglioso! Successivamente conobbi altri praticanti e tutti erano cordiali. Dopo vent’anni avevo incontrato di nuovo la Soka Gakkai; percepii un profondo legame e recitando Daimoku sentivo che il mio stato vitale si rafforzava. Tornata in Giappone, decisi di ricevere il Gohonzon.
Quando seppi della fondazione della SGI a Guam (26 gennaio 1975) dove avevano partecipato anche rappresentanti dall’Italia,
crebbe in me il desiderio di costruire le basi di kosen-rufu insieme ai compagni di fede italiani. Recitavo Daimoku assiduamente e il mio cambiamento sorprese così tanto le mie sorelle che cominciarono a praticare; anche i miei genitori diventarono membri della Gakkai. Dopo due anni dal mio ritorno in Giappone tutta la mia famiglia praticava!
Tornai in Italia nel 1976 e con i giovani di Firenze ci impegnavamo tanto nello shakubuku. Dopo circa un anno, incontrai a uno zadankai il mio futuro marito.
Avevo molta difficoltà nell’imparare l’italiano, anche se ogni giorno cercavo di conversare il più possibile. Anche durante le riunioni non capivo bene cosa si diceva, ma trascrivevo in giapponese le parole che non capivo e una volta a casa le cercavo sul dizionario, scrivevo il significato e le ripetevo finché non le imparavo.
Le otto visite del presidente Ikeda in Italia sono state il punto di partenza della relazione maestro e
discepolo, momenti indimenticabili che abbiamo inciso nel cuore. L’ho incontrato insieme alla signora Kaneko nel maggio dell’81 a Firenze. Ci disse: «Anche se avete tante cose da risolvere, queste servono a far sbocciare la rivoluzione umana».
Nel novembre del ’98, durante un corso in Giappone, ho avuto l’opportunità di partecipare a un incontro informale con sensei, in cui potevamo fare domande. Io gli chiesi: «Una mia amica sta affrontando una grave malattia. Non ha famiglia, vive da sola e per quanto vorrei incontrarla e incoraggiarla ogni giorno, non mi è possibile farlo. Come posso incoraggiare questa ragazza?». Sensei rispose così: «Stare vicino a una persona significa mandare Daimoku con tutti noi stessi e con cuore sincero. Se perseveriamo nel recitare Daimoku, il beneficio arriverà senza dubbio nonostante la distanza fisica».
Seguii le sue parole, continuai a recitare Daimoku e la mia amica superò completamente la malattia.
Così come sensei ci incoraggiò, abbracciando le sofferenze delle persone, possiamo superarle e vincere insieme. Questa è la forza trainante dello sviluppo dinamico di kosen-rufu in Italia.
Verso il 2030: 1961 – 2016