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Un'ondata di prove concrete / 09 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 18:04

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Un’ondata di prove concrete / 09

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Fin dalle scuole medie soffrivo di crisi di ansia così forti che spesso i miei genitori dovevano venirmi a prendere prima della fine delle lezioni. Mio padre era l’unica persona che mi capiva, mentre con mia madre era una lite continua.
Purtroppo quando avevo quindici anni mio padre morì per un infarto, e così persi la persona che più amavo. L’angoscia e il senso di solitudine mi accompagnavano costantemente, a volte avevo il desiderio di morire.
Nel 1994, ventitreenne, conobbi il Buddismo e subito sentii di aver trovato una bussola per dare una direzione alla mia vita. Iniziai a praticare con costanza e dopo un anno ricevetti il Gohonzon. Mi dedicavo molto alla pratica personale e per gli altri, impegnandomi anche come byakuren, un gruppo di giovani donne che sostiene le attività nei Centri culturali. I risultati non si fecero attendere: mi sposai, vinsi un concorso ed ebbi un posto fisso in ospedale come tecnico di laboratorio.
I miei desideri si stavano realizzando, tuttavia mi resi conto che profondamente vivevo in uno stato di continua sofferenza, come se portassi una pesante valigia sempre con me. Chiesi un consiglio nella fede e fui incoraggiata a pregare con la decisione di far emergere gioia dalla mia vita.
Da lì a poco un’enorme angoscia esplose dentro di me, avevo attacchi di panico e molte difficoltà nel portare avanti la vita quotidiana, non riuscivo neppure ad andare al lavoro; infine mi venne diagnosticata una forte depressione. Avevo tanti amici e compagni di fede che mi sostenevano, tuttavia i miei problemi di relazione e di accettazione di me stessa erano molto forti, sentivo di dover fare ancora un grande cambiamento interiore.
Nel 2004 nacque mia figlia e la depressione si manifestò ancora più forte: mi sentivo incapace di affrontare la vita, come potevo far crescere un’altra persona? Nel poco Daimoku che riuscivo a fare mettevo tutta me stessa determinando di tirare fuori gioia e di vincere per poter incoraggiare anche gli altri. Spesso rileggevo la frase di Gosho che dice: «”Quando si tira la corda principale di una rete, non c’è alcuna maglia che non si muova e quando si solleva un lembo del vestito, non c’è filo del vestito che non si sollevi”. Il significato di questo passo è che, con la sola pratica della fede in Myoho-renge-kyo, non ci sono benefici che non si ottengano e non c’è buon karma che non cominci a operare» (Conversazione tra un santo e un uomo non illuminato, RSND, 1, 120).
Avevo già sperimentato il potere del Gohonzon perciò non mollavo, continuavo a recitare Daimoku anche se non riuscivo a credere di poter guarire. Nel frattempo mio marito, che fino ad allora non mi aveva mai ostacolata pur non praticando il Buddismo, mi disse che se continuavo a soffrire così avrebbe portato il Gohonzon in soffitta, perché attribuiva alla pratica la mia sofferenza.
In quel periodo mi resi conto di due cose importanti: mia madre aveva gestito male l’eredità di mio padre e stavamo per perdere tutto, e mia figlia aveva cominciato a manifestare tristezza e chiusura. Le maestre dell’asilo ci riferirono che si isolava dai suoi coetanei e io mi sentivo terribilmente in colpa.
Decisi profondamente di prendermi cura della mia vita e ciò significava anche accettare la mia malattia, cosa che fino ad allora non avevo fatto. Mi ero curata ma in modo superficiale, senza ottenere risultati soddisfacenti. Decisi di intraprendere seriamente una terapia mentre continuavo a pregare davanti al Gohonzon. Trovai così il medico e la cura giusta.
Nel 2010 iniziai lentamente a intravedere la luce. Finalmente sentivo il mio valore, la forza di recitare Daimoku e la gioia di vivere, una gioia mai sperimentata prima.
Ora mi sento un’altra: ho voglia di fare tante cose, apprezzo la mia famiglia, il mio lavoro, i miei amici, e soprattutto apprezzo me stessa. Da due anni non prendo più farmaci, perché anche secondo i medici sono guarita.
Nel gruppo dove faccio attività, in due anni e mezzo abbiamo consegnato nove Gohonzon. Alla fine del 2014 il gruppo si è diviso e i due nuovi gruppi sono entrambi molto attivi.
Mia figlia ora è solare, creativa, ha tante amiche, interessi e ottimi risultati a scuola. Anche l’eredità di mio padre è stata salvata e mio marito mi sostiene sempre per permettermi di partecipare all’attività e da gennaio ha iniziato a praticare.
Ciò che sono adesso lo devo al Gohonzon, al presidente Ikeda e ai compagni di fede, infinitamente preziosi, che mi hanno sempre sostenuta. Il mio più grande desiderio è dedicare totalmente la mia vita a kosen-rufu.

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