Ogni volta che sono colpito da quello che io chiamo “lo tsunami nero di sofferenza” causato dalla morte di nostra figlia, cerco nel mio cuore il presidente Ikeda, il suo esempio e la sua forza; in questo modo riesco a percepire la trasformazione del karma in missione
Sono nato in una famiglia cattolica e ho incontrato il Buddismo di Nichiren a ventun’anni. Fui molto colpito dal clima di apertura e accoglienza che si respirava nella prima riunione di discussione alla quale partecipai, e decisi di approfondire. I miei genitori erano preoccupati per la mia scelta e desideravo mostrare loro una prova evidente dell’effetto positivo di questa pratica nella mia vita. Poco dopo fui chiamato per il servizio militare che all’epoca era obbligatorio. Ero pacifista, convinto che l’obbligo del servizio militare avrebbe dovuto essere abolito, ma per me non sembrava esserci alcuna speranza di esonero. Recitavo Daimoku determinato a trasformare la situazione. Arrivato alla base ottenni subito due ore di permesso per partecipare a una riunione. Tornato in caserma raccontai al comandante che ero buddista, e mi furono concessi altri tre permessi serali in una settimana. Tutto questo mi faceva sentire libero e felice, nonostante fossi in caserma. Una mattina, di punto in bianco, tre di noi furono chiamati per una visita medica: sorprendentemente risultò che, a causa di una brutta forma di asma, non avrei potuto continuare il servizio nell’esercito. È così che il mio servizio militare si concluse, in una settimana, e la malattia di lì a poco scomparve completamente. Questo risultato ebbe un grande impatto sulla mia fede e anche mia madre poté vedere l’influenza positiva di questa pratica sulla mia vita.
Con rinnovata determinazione mi dedicai al mio primo obiettivo: laurearmi in architettura. In tre anni avevo dato solo nove esami perché la mancanza di fiducia in me stesso mi aveva impedito di impegnarmi nello studio. Un caro amico mi incoraggiò a studiare il Gosho e le guide del presidente Ikeda e a recitare più Daimoku. Così iniziai a credere in me stesso e a sfidarmi nello studio come mai avevo fatto prima. Riuscii a dare tutti gli esami e a laurearmi con un voto molto alto, e mi fu subito affidato un progetto europeo all’università. In seguito venni assunto in una società come project manager per la costruzione di un porto, ma in una fase di crisi del settore dell’edilizia venni poi licenziato. Determinai allora di trovare il lavoro migliore per la mia vita entro il 18 novembre, anniversario della fondazione della Soka Gakkai.
Alla vigilia della data stabilita avevo due offerte, una da una multinazionale di computer e una dalla Soka Gakkai italiana. Scelsi di lavorare per la Soka Gakkai. Nei primi mesi vidi chiaramente che la paura di non essere all’altezza stava ancora influenzando la mia vita e, attraverso lo studio delle guide del presidente Ikeda, imparai a prendere decisioni sulla base del coraggio e non della paura.
Da cinque anni mi impegno in questo lavoro per migliorare e per sfidarmi nella mia rivoluzione umana. Il mio desiderio di creare un mondo di pace col tempo si è intensificato e così, grazie al sostegno di tante persone, è nata la campagna “Senzatomica” il cui scopo è sensibilizzare l’opinione pubblica e stabilire un mondo libero dalla minaccia nucleare.
Nel 2011 abbiamo inaugurato la prima tappa della mostra che finora è stata visitata in sessantadue città italiane da oltre 300.000 persone, di cui quasi la metà sono studenti, dalle elementari alle superiori.
Con l’attività Soka-han e la responsabilità nella Divisione giovani ho superato tante sfide, ognuna delle quali mi ha permesso di approfondire la mia fede.
L’8 novembre del 2014, con mia moglie Danielle abbiamo affrontato la più grande sfida della nostra vita quando nostra figlia Sophia Misaki è morta, nove giorni dopo la nascita. Non posso descrivere quello che ho provato. Il ricordo più vivido – che ancora mi commuove fino alle lacrime – sono gli innumerevoli compagni di fede che ci hanno sostenuti, condividendo la nostra sofferenza come fosse loro. In questa circostanza i miei genitori e mia sorella hanno avuto modo di comprendere ancora più profondamente la bellezza della famiglia Soka. Pochi mesi dopo abbiamo avuto la fortuna di partire per il Giappone in viaggio di nozze con il desiderio di approfondire il legame con il nostro maestro e visitare i luoghi in cui ha lottato per kosen-rufu, con la speranza d’incontrarlo.
In quei giorni leggevo l’autobiografia di Herbie Hancock ed è stato proprio un episodio da lui raccontato, insieme al desiderio di cercare il cuore del maestro, che mi ha permesso di comprendere più profondamente l’esperienza della perdita della nostra bambina. Herbie racconta infatti che una volta, durante un concerto con Miles Davis, gli accadde di suonare al piano un accordo sbagliato. Per lui fu un disastro che rischiò di rovinare l’intero concerto, ma Miles Davis si fermò per una frazione di secondo e suonò delle note che come per miracolo facevano suonare bene anche il suo accordo. «Che razza di stregoneria era? Da lì Miles spiccò il volo, sfoderando un assolo che portò il brano in una direzione nuova. Il pubblico era in delirio». Herbie commenta: «Nella mia mente l’accordo era “sbagliato”. Miles invece non l’aveva giudicato: immediatamente l’aveva raccolto come una sfida» (H. Hancock, Possibilities, minimumfax, 8). E siccome non l’aveva giudicato era riuscito a inserirlo nella sua musica, trasformandolo in qualcosa d’incredibile.
Mi sono reso conto che anch’io avevo giudicato la scomparsa di Sophia Misaki come un accordo sbagliato nella nostra vita, ma improvvisamente percepii la possibilità di utilizzare questa sofferenza per creare una felicità senza precedenti per me stesso e per gli altri. Sensei scrive: «L’esperienza di perdere una persona cara ci porta a comprendere più profondamente la vita. Toda descrisse la sua disperazione per la morte della figlioletta e come affrontò e superò il problema della morte. Per gli esseri umani è naturale temere la morte, persino Toda lottò contro questa angoscia […].Ma affrontando e vincendo il dolore e la tristezza che sempre si accompagnano alla morte, sviluppiamo compassione ed empatia per le sofferenze altrui e rafforziamo la nostra umanità» (Saggezza, 1, 203).
Nostra figlia ci ha dato l’opportunità di comprendere le sofferenze degli altri e questa è la lezione più importante nella vita. Non solo, Sophia mi ha aperto gli occhi sul fatto che la non dualità maestro-discepolo è l’essenza della nostra pratica buddista. Ogni volta che sono colpito da quello che io chiamo “lo tsunami nero di sofferenza” causato dalla sua morte, cerco nel mio cuore il presidente Ikeda, il suo esempio e la sua forza; in questo modo riesco a percepire la trasformazione del karma in missione.
Mi ritengo molto fortunato poiché a settembre del 2015, durante un corso SGI dei giovani, assieme ai compagni di fede da tutto il mondo – erano presenti anche Herbie Hancock e Wayne Shorter! – abbiamo incontrato il presidente Ikeda e sua moglie. Abbiamo potuto ringraziarli profondamente e promettere che ci impegneremo per sempre per la nostra felicità e per il bene della società. Sensei scrive: «La relazione tra maestro e discepolo può essere paragonata a quella tra l’ago e il filo. Nel cucire, l’ago guida il filo attraverso la stoffa, ma alla fine non è più necessario ed è il filo che resta per tener salde le cuciture. Io sono l’ago. Voi siete coloro che rimarranno sul palcoscenico di kosen-rufu dopo che io non ci sarò più. Credo fermamente che il mio compito più importante in questa fase essenziale del nostro movimento sia terminare di preparare il terreno per le vostre attività future» (NRU, 9, 129).