Se la lamentela distrugge i benefici accumulati grazie alla pratica, la gratitudine viceversa li accresce. Se c’è una non c’è l’altra, perciò sviluppare gratitudine vuol dire anche proteggere i progressi fatti nella propria vita
«La vecchia volpe non dimentica la collinetta in cui è nata, e la tartaruga bianca ripagò il favore ricevuto da Mao Pao. Persino gli animali conoscono la gratitudine, a maggior ragione dovrebbero conoscerla gli esseri umani. […] Chi si dedica al Buddismo non dovrebbe dimenticare i debiti di gratitudine verso i genitori, verso i maestri e verso il paese.
Ma, per ripagare questi grandi debiti, deve assolutamente studiare e comprendere a fondo il Buddismo e diventare un sapiente»
Ripagare i debiti di gratitudine
RSND, 1, 614
Nichiren Daishonin compose questo trattato nel 1276 sul monte Minobu dopo aver appreso della morte di Dozen-bo, un prete che era stato il suo primo maestro al tempio Seicho-ji e che lo aveva aiutato a mettersi in salvo quando, in occasione della proclamazione dell’insegnamento di Nam-myoho-renge-kyo nel 1253, venne per questo motivo attaccato dalle guardie dell’amministratore della zona. Nichiren inviò questo scritto a Joken-bo e Gijo-bo, due preti divenuti suoi seguaci, proprio per esprimere la sua gratitudine nei confronti del maestro defunto, chiedendo che ne fosse data lettura davanti alla sua tomba.
Il brano riportato apre il Gosho ricordando che ognuno di noi, innanzitutto come essere umano ma ancor di più come persona dedita al Buddismo, dovrebbe mantenere e coltivare l’atteggiamento di provare gratitudine nei confronti di coloro verso i quali siamo debitori, a partire dai nostri genitori che ci hanno dato la vita. E l’unico modo per ripagare questi debiti, prosegue il Daishonin, è quello di studiare e comprendere il Buddismo, vale a dire dedicarsi a kosen-rufu attraverso la pratica per sé e la pratica per gli altri.
Da parte mia cerco ogni giorno di rafforzare lo spirito di gratitudine, che ho constatato essere il migliore antidoto per combattere una mia deprecabile tendenza: la lamentela. L’atteggiamento di lamentarsi è un prodotto dei mondi inferiori, dell’oscurità innata, e finisce per attenuare o addirittura annullare i benefici ottenuti con la pratica quotidiana. La lamentela esprime un senso di impotenza, di chiusura, e ci fa sentire come in un vicolo cieco, mentre la gratitudine apre la nostra vita a infinite possibilità. Esse sono incompatibili, non possono occupare simultaneamente il nostro cuore: quando vi risiede la gratitudine non resta spazio alla lamentela, e viceversa. Per questo la gratitudine mi appare quasi come una specie di “assicurazione sui benefici”.
La gratitudine rappresenta per me un grande aiuto per ricercare quella condizione vitale gioiosa nella quale riesco a “sentire” la vita delle altre persone. Ricordo in particolare un periodo del mio passato nel quale giorno dopo giorno, per trasformare una profonda sofferenza, mi dedicavo alla pratica personale e all’attività buddista con una intensità mai sperimentata prima. Fu un momento di grande significato, in cui ebbi la sensazione di comprendere la vita più profondamente e avvertii un rinnovato e gioioso senso di gratitudine verso i miei genitori. Si verificarono allora circostanze che mi portarono proprio a dedicarmi a loro e a poter in parte ricambiare le cure e l’attenzione che da loro avevo ricevuto. Da questa esperienza nacquero grandi benefici, per i quali ancora oggi sento di voler ringraziare i “miei vecchi”, i compagni di fede e tutte le persone che mi hanno accompagnato e ancora mi accompagnano in questa bella avventura che è la mia vita.