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"La grande montagna", puntate 13-18 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:20

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“La grande montagna”, puntate 13-18

«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

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«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

I volumi dal 24 al 30 sono pubblicati su www.sgi-italia.org/riviste/nr/

Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[13] C’era una cosa che da molto tempo faceva riflettere Shin’ichi: il cambio della presidenza. Riteneva infatti che se la stessa persona avesse mantenuto per lungo tempo la responsabilità dell’organizzazione, sarebbe stato difficile formare persone di valore in grado di sostituir­la, e desiderava quindi creare al più presto le condizioni per far emergere un successore, al fine di assicurare la trasmissione della Legge mistica.
Nel 1970, dieci anni dopo il suo insediamento, aveva espresso diverse volte al Consiglio esecutivo della Soka Gakkai l’intenzione di dimettersi in futuro, al momento opportuno, ma quest’ultimo si era opposto sostenendo che la carica di presidente era vitalizia. In seguito, nel 1974, pensò di cedere al direttore amministrativo la carica di funzionario rappresentante dell’Ente religioso Soka Gakkai, e nel 1977 avanzò l’idea di conferire l’incarico di presidente a un successore, ma le sue proposte non vennero accettate. Tuttavia era giunto il diciannovesimo anno dalla sua nomina a presidente, e le “sette campane” avrebbero smesso di suonare.
Shin’ichi rifletteva sul cambio della presidenza da attuarsi al momento giusto. Aveva ancora cinquantuno anni e fortunatamente godeva di buona salute. Pensava che anche se avesse lasciato l’incarico, avrebbe comunque potuto vegliare sulla crescita di tutti i membri continuando a incoraggiarli. Come buddista, volgendo il suo sguardo verso il mondo, Shin’ichi sapeva di avere numerosi compiti da svolgere.
Egli desiderava compiere azioni concrete a più largo raggio per la costruzione della pace mondiale. Sentiva la necessità di intessere ulteriori dialoghi con i leader di vari paesi del globo. Voleva inoltre infondere ancora più energia nella promozione di una cultura e di un’educazione fondate sui princìpi buddisti. Sentiva che la cosa più importante era il movimento di kosen-rufu mondiale, che sarebbe finalmente entrato in una fase di costruzione. Ma era anche consapevole che, se le sue attività si fossero maggiormente concentrate all’estero, avrebbe gettato il suo successore in Giappone in un mare in burrasca. Anche se la Gakkai stava attraversando un periodo particolarmente favorevole, era circondata da una cappa di nubi minacciose ed esposta a violente bufere. La traversata che aveva intrapreso su quel mare non era certo cosa facile.
Bisognava prepararsi a grandi avversità. Al responsabile a cui avrebbe affidato la guida dell’organizzazione, sarebbero state indispensabili una determinazione e un’azione mirate a individuare le funzioni demoniache con gli occhi penetranti della fede, e ad avanzare lottando intrepido.
Shin’ichi desiderava che in quel momento i membri tirassero fuori tutto il loro coraggio.
Il filosofo romano Seneca afferma che «l’assalto delle avversità non fiacca l’animo dell’uomo coraggioso» (Lucio Anneo Seneca, De providentia).

[14] Nel pomeriggio del 3 aprile Shin’ichi partecipò alla riunione dei titolari dei punti vendita del quotidiano Seikyo. Nonostante le burrasche che si abbattevano sulla Gakkai, le sue attività erano inarrestabili. Desiderando che quei compagni di fede dalla nobile missione diventassero magnifici vincitori nella vita, dichiarò con voce possente: «Tutti voi che avete la responsabilità dei punti vendita e iniziate a lavorare ancor prima del levar del sole, immagino che talvolta non riusciate a dormire a sufficienza. Desidero tuttavia che vi impegniate per trovare il modo di salvaguardare la vostra condizione fisica, e di adempiere pienamente, senza incidenti, alla vostra missione. Qual è la cosa più importante da tenere a mente per prevenire gli incidenti? Osservare con fermezza e serietà i punti fondamentali della fede e della vita quotidiana. Trascurarli significa cadere nella negligenza, e ciò rivela un atteggiamento arrogante. In particolare, coloro che trascurano le basi della fede perseguendo solo fama e interessi personali, e agiscono con furbizia, alla fine falliscono inesorabilmente. Vi prego di imprimere nella vostra mente che pur riuscendo a imbrogliare il prossimo, nessuno può sottrarsi alla Legge buddista di causa ed effetto. In qualunque aspetto dell’esistenza, rispettate dunque i punti fondamentali, non lasciatevi influenzare dall’ambiente, qualunque esso sia, affrontate sempre ogni questione con serietà, onestà e con tutto l’impegno, e riportate la vittoria in ogni impresa. Sappiate che proprio attraverso l’accumularsi di questi sforzi, la vostra vita potrà emanare tutto il suo splendore. Il lavoro della gestione di un punto vendita del nostro giornale non è certo appariscente ed è molto faticoso, perché non è facile potersi concedere delle ferie. Inoltre è un lavoro di grande responsabilità. Ma proprio perché ci siete tutti voi e ci sono i membri che insieme a voi si dedicano alla distribuzione, possiamo far arrivare i nostri giornali ai lettori, in modo che kosen-rufu avanzi. Desidero esprimere la mia profonda stima più di chiunque altro a tutti voi, che state avanzando con la convinzione che i Budda e i bodhisattva, senza essere visti, vi stanno osservando, e ogni giorno continuerò a recitare Daimoku per la vostra sicurezza e affinché non abbiate incidenti».
Nonostante la stanchezza, sapendo che c’erano dei compagni di fede coraggiosi e meritevoli, Shin’ichi non smetteva mai di offrire i suoi incoraggiamenti. In qualunque circostanza si fosse trovato, finché era in vita avrebbe continuato a incoraggiare le persone e a parlare del Buddismo del Daishonin: era questa la sua determinazione.

[15] La sera del 4 aprile il responsabile nazionale dei giovani, Isao Nomura, ricevette una telefonata da Tomomasa Yamawaki, che era il tramite nelle comunicazioni tra il clero e la Soka Gakkai. Disse che doveva assolutamente informarlo su ciò che stava avvenendo nella Nichiren Shoshu. Insieme al direttore Kiyoshi Jujo, Nomura incontrò Yamawaki che iniziò a parlare visibilmente preoccupato: «A seguito delle affermazioni di Samejima, il clero si sta preparando ad attaccare duramente la Soka Gakkai. Per riportare la situazione alla normalità, bisognerà ovviamente prendere provvedimenti nei confronti del vice presidente Samejima, ma ciò non basterà. Il maestro Yamamoto dovrà dimettersi non solo dalla carica di sokoto [responsabile delle organizzazioni laiche affiliate alla Nichiren Shoshu, n.d.r.], ma anche da quella di presidente della Soka Gakkai».
«Finché ciò non avviene – proseguì Yamawaki – i giovani preti della Nichiren Shoshu non deporranno l’ascia di guerra. Qualora la collera del clero dovesse crescere ancora, bisognerà prepararsi a peggiori scenari. Anche il patriarca Nittatsu è terribilmente adirato per ciò che è avvenuto». L’espressione “peggiori scenari” trafisse in profondità il cuore di Jujo. Le incaute parole di Samejima avevano vanificato tutti gli sforzi della Gakkai per creare armonia tra preti e laici, ed erano state strumentalizzate dal clero che tramava per impadronirsi della Gakkai. Il direttore Jujo si mise subito in contatto con Shin’ichi. Gli riferì a grandi linee la questione e convocò una riunione straordinaria della dirigenza della Soka Gakkai.
Nonostante le dense nubi che offuscavano il cielo, gli alberi di ciliegio, all’apice della fioritura, estendevano i loro rami con portamento regale. La mattina del 5 aprile, Shin’ichi presenziò alla riunione dei massimi responsabili della Gakkai presso il Centro culturale di Tachikawa, a Tokyo. Si erano riuniti per discutere su come affrontare la questione sorta con il clero. Partecipavano alla riunione un numero ristretto di responsabili centrali dell’organizzazione, a cominciare dal direttore Jujo. Tutti avevano il viso pensieroso. Per la prima volta venne riportata una relazione del colloquio con Yamawaki e delle intenzioni dei preti. Shin’ichi rifletté che le funzioni demoniache avevano finalmente mostrato le loro reali intenzioni. Il progetto era di costringerlo a dimettersi da presidente e di allontanare i discepoli Soka dal loro maestro. Ciò non significava altro che distruggere la Soka Gakkai, l’organizzazione che aveva portato avanti kosen-rufu fedele al volere del Budda. Solo attraverso gli occhi della fede si è in grado di smascherare le trame delle funzioni demoniache.

[16] Shin’ichi fissò uno a uno i responsabili riuniti. Avevano il viso crucciato e nessuno apriva bocca. Seguì un lungo silenzio. Quando Shin’ichi chiese a un responsabile che cosa ne pensasse, questi, quasi mormorando, disse: «Non ci si può opporre al flusso dei tempi». Che cuore pavido! Un brivido di dolore trafisse il suo cuore.
Shin’ichi pensava che se le sue scuse fossero servite a porre fine al caos, lo avrebbe fatto volentieri, ma riteneva che le sue dimissioni fossero inevitabili. Inoltre era perfettamente consapevole di quanto quella situazione fosse per tutti insostenibile. Ciò che lo aveva più deluso, però, era che la considerassero come il “flusso dei tempi”. Se si accetta di lasciarsi trasportare dalle circostanze, dove va a finire lo spirito della Gakkai?
La cosa importante non è forse una profonda e salda determinazione di voler proteggere fino in fondo la Gakkai, per il bene di kosen-rufu? La voce di Shin’ichi squarciò il silenzio: «Ho capito, lascerò la carica di sokoto e di presidente della Soka Gakkai. Mi assumerò io ogni responsabilità. Va bene così? Così tutto si sistemerà, giusto? Ma le mie dimissioni da presidente non le decide la Nichiren Shoshu, bensì la Soka Gakkai. Già da tempo riflettevo sul fatto di lasciare la carica di presidente per aprire le porte al futuro della Gakkai». Shin’ichi non voleva assolutamente che si creasse il precedente di un presidente della Soka Gakkai che si era dovuto dimettere a causa delle pressioni del clero. In questa sua considerazione vi era anche l’intenzione di evitare una macchia indelebile nella storia della Nichiren Shoshu.
Nel dopoguerra, quando la Nichiren Shoshu era allo sbando, era stata proprio la Soka Gakkai a salvarla, proteggendola con la massima sincerità. E più di ogni altro perché la Gakkai, grazie alla guida di Shin’ichi nello spirito di non lesinare la propria vita per la propagazione delle Legge, era l’unica, insostituibile organizzazione che aveva portato avanti kosen-rufu e propagato la Legge in tutto il mondo secondo il mandato del Budda. Alle parole di Shin’ichi uno dei responsabili, profondamente commosso, proruppe: «­Sensei! Siamo terribilmente dispiaciuti!».
Il cammino di kosen-rufu è una strenua lotta contro il demone del sesto cielo. La Soka Gakkai è riuscita a creare questo grande corso di kosen-rufu solo perché è riuscita, attraverso la fede, a smascherarlo, a combatterlo e vincerlo.

[17] Queste sono le parole che Josei Toda lasciò come testamento ai suoi discepoli: «Proteggete il terzo presidente! Proteggetelo assolutamente, per tutta la vita! Solo così sarà possibile realizzare kosen-rufu». In queste parole è espresso il punto fermo dell’unità, indispensabile per aprire la strada all’eterna vittoria. In cuor suo Shin’ichi non pretendeva in alcun modo di essere protetto. Ciò che più turbava il suo cuore era che tutti avessero dimenticato lo spirito contenuto nelle parole lasciate dal maestro per il bene di kosen-rufu.
Pensando al futuro della Soka Gakkai, rivolse ai massimi responsabili un invito che sembrava quasi un grido: «Io sono un leone. Non ho paura di nulla. Siate leoni anche voi. Altrimenti poveri membri! Vi prego di percorrere fino in fondo il grande cammino di maestro e discepolo Soka con uno spirito combattivo e un coraggio sempre ardenti, come una fiamma. Se la vostra determinazione sarà salda, la Gakkai non vacillerà mai, di fronte a qualsiasi circostanza. Ricordate che il maestro Toda vi guarda!». Così dicendo si alzò e lasciò la sala.
Oltre la finestra, i fiori di ciliegio danzavano nell’aria. Guardando quei fiori Shin’ichi ripensò alla grandiosa lotta condotta dal mae­stro Tsunesaburo Makiguchi e dal discepolo Josei Toda. Era il giugno del 1943 quando la Nichiren Shoshu, temendo la repressione da parte del governo militarista che aveva fatto dello shintoismo la colonna spirituale e stava spingendo il paese verso la guerra, chiese alla Soka Gakkai «di accettare, almeno per il momento, il talismano shintoista». Makiguchi respinse la richiesta e si alzò risolutamente nella sua lotta per ammonire il paese, consapevole delle terribili persecuzioni cui sarebbe andato incontro.
In quel momento anche il suo discepolo Toda consolidò in cuor suo la ferma determinazione di non lesinare la vita per la propagazione della Legge. Toda, che fu arrestato e incarcerato insieme a Makiguchi, continuò a pregare nella sua cella d’isolamento affinché tutte le colpe ricadessero solo su di lui e il maestro Makiguchi potesse lasciare al più presto il carcere. Mentre la Nichiren Shoshu stava per annegare nella torbida corrente delle offese alla Legge, fu solo l’inscindibile fusione dello spirito di maestro e discepolo a proteggere fino in fondo la purezza della Legge rivelata da Nichiren Daishonin.
Il maestro Makiguchi morì martire, in carcere. Toda uscì vivo dal carcere e ricostruì la Soka Gakkai portando avanti il testamento del maestro, e aprì la strada all’eterno cammino della propagazione del Buddismo del Daishonin. Il maestro della Soka è colui che ha giurato di realizzare kosen-rufu, è la grande guida di tutti i Bodhisattva della Terra manifestatasi in questa epoca, è l’asse principale dell’intero ingranaggio.
Solo quando l’ichinen dei discepoli combacia con quello del maestro, questo ingranaggio può girare in modo grandioso.
La fusione dello spirito di maestro e discepolo costituisce la linfa vitale stessa della Soka Gakkai.

[18] Shin’ichi ripensò a un fatto accaduto nell’aprile del 1952, quando si tenne la cerimonia per celebrare il settecentesimo anniversario della fondazione del Buddismo di Nichiren Daishonin.
Alcuni membri giovani della Gakkai, in quell’occasione, scoprirono che al tempio principale c’era Jiko Kasahara, che avrebbe dovuto aver già abbandonato l’abito monacale. Si trattava di un prete corrotto che, approfittando della situazione critica creatasi durante la guerra, era diventato un sostenitore della teoria erronea dello shimpon busshaku[ref]Secondo questa teoria, le divinità shinto sono la vera entità della vita e i Budda non sono che manifestazioni. Di fatto si piegava al volere del governo militare di sostenere la guerra.[/ref] e per difendere se stesso aveva calpestato l’insegnamento corretto del Daishonin. Le sue azioni avevano provocato l’oppressione del governo militarista ed erano state all’origine dell’arresto di Makiguchi.
Quei giovani avevano portato Kasahara davanti alla tomba di Makiguchi e lo avevano costretto a riconoscere la natura erronea dello shimpon busshaku. La vicenda aveva suscitato grande clamore.
Già allora il clero stava riammettendo di nascosto Kasahara nell’ordine monastico, e così facendo tollerava una dottrina erronea che distorceva l’insegnamento del Daishonin.
Il clero convocò un’assemblea dove accusò Josei Toda di aver fatto ricorso alla violenza nei confronti di Kasahara, con lo scopo di mettere in agitazione il patriarca e turbare la fede dei membri danto che si erano riuniti al tempio, esclamando che era «uno scandalo inaudito, mai successo dalla fondazione del tempio!».
L’assemblea prese la risoluzione di chiedere a Toda una lettera di scuse, di sollevarlo dall’incarico di daikoto [capo di un’organizzazione laica affiliata al tempio, n.d.r.] e di punirlo impedendogli di recarsi al Taiseki-ji. Così prendeva le difese di un prete corrotto che professava una dottrina erronea e calpestava l’insegnamento del Daishonin, mentre puniva severamente Toda che aveva confutato l’errore di Kasahara.
«Chiediamo l’annullamento della delibera dell’assemblea!». «Proteggeremo a ogni costo il maestro Toda!»: i suoi discepoli erano fermamente determinati a passare all’azione, Shin’ichi per primo. Incontrarono direttamente ogni membro di quell’assemblea, raccontarono la versione reale della vicenda di Kasahara, protestarono contro l’ingiustizia della delibera e ne chiesero la revoca. Shin’ichi si esprimeva educatamente, ma nel suo cuore sentiva ardere la fiamma dell’ira.
«Rimuovendo Toda dall’incarico di daikoto e impedendogli di recarsi al tempio principale, quest’assemblea intende fare del nostro maestro un capro espiatorio per creare una frattura tra lui, il presidente, e i membri della Gakkai. Chi, se non Josei Toda, potrà far avanzare il movimento di kosen-rufu? Potrà accadere qualsiasi cosa, ma noi difenderemo assolutamente il nostro maestro. Non permetteremo che vengano inflitte punizioni a Josei Toda, che non ha nessuna colpa e ha sempre continuato a difendere la giustizia!».
Questo era il grido che tuonava nella profondità del cuore di Shin’ichi, ed era la risoluzione dei responsabili centrali e della Divisione giovani della Soka Gakkai.
Le funzioni demoniache che mirano alla distruzione di kosen-rufu tramano sempre al fine di creare una scissione tra il maestro e i discepoli.

(continua)

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