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Quel tempestoso 24 aprile - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:06

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Quel tempestoso 24 aprile

Ripubblichiamo questo saggio in cui Daisaku Ikeda parla del  24 aprile 1979 quando si dimise dalla carica di terzo presidente della Soka Gakkai. Venendo a conoscenza di questo annuncio i membri in Giappone e in tutto il mondo rimasero sconcertati, senza parole

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Recentemente ho ricevuto un gentile messaggio di apprezzamento da parte di uno studioso molto conosciuto, che scrive: «Con la crescita eccezionale che la Soka Gakkai ha realizzato, sono sicuro che abbiate molte sfide e difficoltà da affrontare. È davvero impressionante che la Soka Gakkai sia diventata uno fra i movimenti più importanti del Giappone. Sapendo che lei da giovane aveva una debole costituzione, ero preoccupato per la sua salute. Ma osservando come nei decenni si è instancabilmente adoperato per portare a termine un’importante impresa dopo l’altra, nutro per lei il più profondo rispetto e ammirazione».
Un’altra nota personalità mi ha inviato una lettera in cui scrive: «Applaudo alla sua realizzazione senza eguali nell’aver creato una grande forza di pace. Nessuno, né prima né dopo la Seconda guerra mondiale, ha mai costruito qualcosa di tale portata. E lo ha fatto come un comune cittadino, non come un leader politico o una persona di un ambiente privilegiato. Pur tenendo conto che ha avuto un maestro d’eccezione come Josei Toda, ciò che lei ha realizzato non ha precedenti. Inoltre, ha resistito a infinite critiche e calunnie, respingendo i complotti e gli attacchi dei suoi oppositori. Non si è limitato ai confini ristretti del Giappone, ma ha fatto del mondo intero il palcoscenico delle sue attività. I suoi sforzi globali, la sua ampia visione e le iniziative per la pace passeranno sicuramente alla storia».
Anche un’altra personalità di rilievo mi ha scritto: «Il risultato senza precedenti che lei ha conseguito resistendo all’invidia, al disprezzo, senza ricevere una parola di lode, sarebbe stato apprezzato sicuramente da Napoleone e ­Victor Hugo».

24 aprile 1979. Questo è il giorno in cui mi dimisi dalla carica di terzo presidente della Soka Gakkai, una posizione che avevo mantenuto per diciannove anni, e divenni presidente onorario. Quando udirono questo annuncio, i membri di tutto il Giappone, e di fatto di tutto il mondo, rimasero sconcertati, senza parole.
Il motivo delle mie improvvise dimissioni fu l’insidiosa prevaricazione da parte della Nichiren Shoshu e gli attacchi da parte di ex membri che avevano abbandonato la fede e tradito la Gakkai unendosi ai preti che tramavano nel tempio principale. Avevano ordito complotti e persecuzioni per distruggermi, al di là di ogni immaginazione. Questi individui moralmente corrotti, che avevano abbandonato completamente ciò che è giusto e corretto, in quel periodo continuavano a tramare contro di me sperando di placare la loro collera perversa. Sono sicuro che è qualcosa di cui tutti voi siete a conoscenza.
Il Daishonin cita spesso questo passo del Sutra del Loto: «Ci saranno molte persone ignoranti che ci malediranno e parleranno male di noi» (SDL, 253; cfr. RSND, 1, 359).
Essere oggetto di tali ingiurie a causa del proprio impegno per kosen-rufu è la prova che si è veri praticanti del Sutra del Loto.
Nel Gosho Lettera da Sado il Daishonin scrive: «I santi e i saggi sono messi alla prova dagli insulti» (RSND, 1, 269). Non farsi scoraggiare dagli insulti, dalle false accuse e dal disprezzo significa essere una persona dalla fede pura.
Ogni volta che sentivo descrivere la sofferenza, l’angoscia e l’indignazione causata ai miei cari compagni dalla crudele oppressione dei preti malvagi, il mio cuore sanguinava.
C’erano notti che il dolore nel mio cuore era così intenso che non potevo dormire. Per proteggere i miei compagni di fede cercai con tutto me stesso di creare un’armoniosa unità tra clero e laici. Ma tutti i miei sforzi sembrarono fallire quando uno dei più alti responsabili della Soka Gakkai, che in seguito si dimise e abbandonò la fede, fece delle affermazioni inopportune. I nemici della Gakkai, che non aspettavano altro per distruggerci, si scagliarono con veemenza. I preti sollevarono un tumulto e pretesero che io mi assumessi la responsabilità delle sue parole. Mi tormentai per quella situazione. Sapevo di dover impedire che ulteriori sofferenze venissero inflitte ai nostri membri, che dovevo proteggerli dalle persecuzioni dei preti.
Il maestro Toda affermava che la Soka Gakkai era più preziosa della sua stessa vita. La Gakkai è un’organizzazione che segue il volere del Budda, che si dedica alla felicità delle persone, alla propagazione del Buddismo e alla pace mondiale.
La decisione di assumermi in prima persona tutta la responsabilità e di lasciare la carica di presidente via via si rafforzava dentro di me. Già da diversi anni pensavo che avrei dovuto cedere il passo a un successore.

Un giorno domandai a un alto responsabile della Soka Gakkai: «Pensi che le mie dimissioni possano risolvere il problema?». Ci fu un silenzio angosciante. Poi qualcuno disse: «Non si può andare contro il flusso dei tempi». L’atmosfera nella stanza si congelò. Un dolore acuto mi trafisse il cuore.
Sebbene tutti i membri mi chiedessero di non farlo, decisi di porgere le mie scuse per porre fine al tumulto. E di fatto le mie dimissioni erano inevitabili. Inoltre sapevo quanto tutti fossero esausti per la lunga battaglia difensiva che avevano dovuto sostenere così duramente. Ma quanto al “flusso dei tempi”… Era l’atteggiamento, la mentalità implicita in quelle parole che mi turbava così tanto. Non riuscivo a scorgervi alcuna traccia dello spirito combattivo per proteggere la Soka Gakkai senza lesinare la propria vita, o della determinazione di lottare insieme a me in qualunque momento e circostanza.
Il clero fece pressione sulla Soka Gakkai con lo scopo segreto di distruggerla. Individui malvagi e corrotti, tra cui un ex avvocato della Gakkai, avevano suggerito tutto ciò. Che i responsabili della Soka Gakkai in quel momento ne fossero consapevoli o meno, si erano lasciati ingannare dalle strategie malvagie dei preti e dei membri che avevano abbandonato la fede e tradito l’organizzazione. Fu una cosa meschina, ero completamente senza parole.
Toda aveva detto a tutti noi: «Proteggete il terzo presidente! Proteggetelo fino a che vivete! Se lo farete sarete certamente in grado di realizzare kosen-rufu!». I responsabili principali della Soka Gakkai avevano dimenticato lo spirito del loro amato maestro? Quanto pateticamente si erano lasciati sconfiggere! Dov’era finito lo spirito della Gakkai, per lasciarsi travolgere così dalle circostanze?
Nel corso di questi avvenimenti, il 12 aprile incontrai la signora Deng Yingchao, la vedova del premier cinese Zhou Enlai, nella residenza per gli ospiti di Stato, a Tokyo. Nel salutarla, la misi a conoscenza della mia decisione di dimettermi dalla carica di presidente.
«Non deve!» disse lei, e il viso sorridente di questa grande madre del popolo improvvisamente si fece severo. «Lei è troppo giovane per dimettersi. Soprattutto, lei ha il sostegno delle persone. Fino a che avrà il loro sostegno, non deve dimettersi. Non deve arretrare nemmeno di un passo!». Queste furono le parole piene di determinazione di una persona che aveva vissuto la sua esistenza sfidando la morte e il pericolo.

Infine il triste giorno, il 24 aprile, arrivò. Era un martedì. I massimi responsabili da tutto il Giappone si erano riuniti gioiosamente al Centro culturale di Shinjuku, ma quella che avrebbe dovuto essere una riunione importante, per celebrare la fine delle prime “sette campane” [sette periodi dello sviluppo della Gakkai, ciascuno di sette anni, dalla sua fondazione] e una fresca ripartenza, divenne invece l’occasione per annunciare le mie dimissioni e la nomina di un nuovo presidente.
Questa notizia giunse come un fulmine a ciel sereno per la maggior parte dei responsabili. Entrai nella grande sala a metà riunione. Si levarono grida dalla platea: «Sensei, non si dimetta!», «Sensei, rimanga il nostro presidente!», «Tutti i membri la stanno aspettando!». I loro volti erano offuscati dalla preoccupazione. I partecipanti dichiararono con rabbia che non si era mai vista una riunione della Soka Gakkai tanto triste, priva di gioia.
Dissi con forte convinzione: «Comunque sia, io non cambierò minimamente. Non vi preoccupate! Sono il diretto discepolo del presidente Toda! La giustizia alla fine trionferà!».

Quest’amaro, troppo amaro giorno
non dimenticherò mai.
L’oscurità avanza
e io cammino solo.

Annotai questi versi nel mio diario quel giorno. Quando rientrai a casa e dissi a mia moglie che mi ero dimesso da presidente, lei mi salutò con un sorriso come faceva sempre, e senza chiedere nulla mi disse imperturbabile: «Davvero? Grazie per tutto il tuo duro lavoro».

(27 aprile 1999)

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