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Mai più violenza sulle donne - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:28

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Mai più violenza sulle donne

“La Giornata internazionale della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze di cui sono state e sono ancora oggetto, in tutte le parti del mondo. Questa celebrazione si tiene negli Stati Uniti a partire dal 1909, in alcuni paesi europei dal 1911 e in Italia dal 1922” (da Wikipedia)

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Le sfide che ci troviamo ad affrontare in questa società piena di conflitti sono sempre più grandi, a volte inimmaginabili. Nella prospettiva buddista, possiamo usarle per far emergere con ancora più forza il desiderio di diffondere il Buddismo per la felicità di tutta l’umanità e promuovere la filosofia del rispetto della dignità della vita.
C’è un aspetto della nostra società che per tanti anni è rimasto nell’ombra e che solo grazie a donne coraggiose è stato riconosciuto, studiato, messo sempre più in luce fino a divenire oggetto di dibattiti e leggi, punto di partenza per la creazione di associazioni e reti di solidarietà in continua espansione. Questo aspetto riguarda la violenza sulle donne.
Nell’ottica buddista essa nasce dai tre veleni di Avidità, Collera e Stupidità insiti nel cuore umano e radicati in una visione ultra conservativa del ruolo della donna all’interno dei vari contesti sociali.
È una visione generata da secoli di disprezzo verso la vita che tutt’ora persiste e si manifesta nel desiderio da parte di alcuni uomini di dimostrare la loro autorità, il loro desiderio di potere.
C’è ancora tanto da fare per assicurare che i valori e la dignità della vita vengano rispettati.
«Le vittime di violenza – scrive il presidente Ikeda – sono ferite nel profondo dello spirito, così come nel fisico. Esse perdono la fiducia nella propria umanità e spesso si sentono macchiate nella dignità, come se le loro esistenze fossero state annullate. In caso di violenza, vi prego di ricordare che, qualsiasi cosa accada, il vostro valore come esseri umani non cambierà. Fate appello a tutte le vostre forze» (In cammino con i giovani, esperia, pag. 103).
Come fare dunque di fronte a quelle ferite il cui dolore sembra non finire mai?
Ci vuole tempo per guarire da una ferita così profonda, ed è fondamentale lottare per trasformare la sofferenza e farla diventare forza per incoraggiare altre persone.
Rifiutando qualunque forma di violenza, sensei incoraggia le donne che ne sono state vittime a trasformare il loro karma in missione, a perseguire la strada del conseguimento della Buddità in questa esistenza con forza, saggezza e perseveranza, per risvegliare questa nostra società all’infinito valore della vita.
Come scrive nella Saggezza del Sutra del Loto: «La solidarietà delle donne che si sono risvegliate alla nobiltà della propria vita cambierà il carattere della civiltà. Le donne e le giovani donne della Soka Gakkai sono le pioniere di tale solidarietà. Non esistono persone più nobili, sono insostituibili» (Saggezza, 2, 55).
Il Sutra del Loto ci mostra con chiarezza la capacità delle donne di valorizzare la vita, la loro innata predisposizione al rispetto e all’amore. Per questo il presidente Ikeda incoraggia gli uomini a sviluppare la sensibilità e la delicatezza caratteristici delle donne e al contempo incoraggia le donne a sviluppare più forza e fiducia in se stesse.
Come donne è fondamentale stabilire un forte e profondo rispetto innanzitutto verso la propria vita, a partire dalla percezione del proprio valore.
Il presidente Ikeda scrive: «Le nostre vite sono più preziose di tutti i tesori dell’universo. La sacralità della vita è alla base della filosofia buddista ed è importantissimo che un sempre maggior numero di persone nel mondo abbracci questa fondamentale dottrina. […] Nel momento in cui un individuo diventa consapevole del valore della propria vita, riuscirà naturalmente ad apprezzare anche la vita degli altri esseri umani (Amore e amicizia, esperia, pag. 68).
In queste pagine pubblichiamo un’intervista e due esperienze di donne attive nella difesa dei diritti, un tema universale che ci riguarda tutti e tutte.
La “dichiarazione dei diritti delle donne” che emerge dal Sutra del Loto, in particolare nell’episodio della fanciulla drago, rende possibile a ogni persona di realizzare una grande felicità. «Ogni persona, come la fanciulla drago, “riscattando gli esseri viventi dalla sofferenza” nel grande oceano di nascita e morte, si mette in viaggio insieme agli altri verso la felicità assoluta. Le donne hanno il diritto di diventare felici. Devono diventarlo. Questo è l’intento del Sutra del Loto» (Saggezza, 2, 54).

Identikit della violenza di genere

Intervista a Caterina Suchan, avvocata

Ci puoi dare una definizione di violenza?

Una definizione completa di violenza è stata resa dall’antropologa francese Francoise Hèritiere nel 1997: «Chiameremo violenza ogni costrizione di natura fisica o psichica, che porti con sé il terrore, la fuga, la disgrazia, la sofferenza o la morte di un essere umano; o ancora, qualunque atto intrusivo che ha come effetto volontario o involontario l’espropriazione dell’altro, il danno, o la distruzione di oggetti inanimati».

Perché quando si parla di violenza, si intende soprattutto quella sulle donne?

Senz’altro perché è una delle forme di violenza più diffuse nella nostra società e nel mondo: colpisce le donne in quanto donne, e trova il proprio substrato nella subordinazione della donna rispetto all’uomo. La violenza di genere è una violazione dei diritti umani, un ostacolo allo sviluppo, all’uguaglianza e alla pace.

Da dove nasce e cosa alimenta la cultura della violenza?

L’Istat nel 2015 ha confermato l’ampiezza del fenomeno: una donna su tre tra i sedici e i settant’anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza. La violenza è un’esperienza traumatica che può capitare nella vita di qualsiasi donna. È un fenomeno paradossalmente “democratico” che non conosce confini geografici e accomuna donne di tutto il mondo senza differenze di età, religione, etnia e condizioni socio economiche. Dagli aborti selettivi per evitare la nascita di bambine, ai matrimoni forzati o combinati, alle mutilazioni genitali femminili, agli stupri di guerra sino alla violenza nelle relazioni intime con un uomo: violenze che colpiscono donne in differenti momenti della vita, basate sulla subalternità dei ruoli.
Particolarmente diffusa è la violenza nella coppia, che comprende la tipologia psicologica, fisica, economica, sessuale e di persecuzione.

Cosa caratterizza la violenza?

  • Non è solo una manifestazione di aggressività: i comportamenti violenti sono finalizzati a mantenere un’asimmetria di potere.
  • Non è un raptus momentaneo: c’è sistematicità nell’esercizio di soprusi psicologici e fisici.
  • Non è un conflitto risolvibile con una negoziazione: c’è un abuso della fiducia che la persona ha riposto nell’altro e una negazione del dialogo.

Alla base della relazione violenta ci sono due strategie:

  • l’isolamento, ovvero l’allontanamento dalle reti familiari, amicali e lavorative
  • il controllo di qualsiasi cosa faccia l’altro

È importante rompere l’isolamento e il silenzio per confrontarsi con il mondo rivolgendosi ai centri specializzati.

Sei vicepresidente di un centro antiviolenza. Che ruolo hanno per le donne e la comunità questi centri?

Sono luoghi di donne che accolgono donne che subiscono violenza da parte di uomini, luoghi dell’accoglienza in cui si costruiscono progettualità, speranze e competenze, “laboratori sociali” in cui si sperimentano relazioni virtuose e azioni di prevenzione e formazione attraverso interventi mirati. Ciò che accade all’interno delle mura domestiche va al di là della singola persona che lo subisce, perché si inserisce in un contesto che rende possibile l’esistenza stessa della violenza; quindi ciò che accade al singolo riguarda tutti.

In che modo la pratica buddista ti aiuta ad affrontare la sofferenza con cui vieni a contatto?

Sicuramente la pratica buddista mi aiuta a lodare la vita delle donne che si rivolgono al centro. Tutto il lavoro che svolgiamo si basa sul sostegno offerto a ciascuna donna affinché ognuna si alzi da sola e costruisca la propria libertà e autonomia. Questo è il mio modo di lottare per kosen-rufu nella società. È il senso di missione che sento ogni giorno.

Nulla è più spregevole della violenza contro le donne

di Daisaku Ikeda

Nulla è più spregevole della violenza contro le donne. È una cosa assolutamente imperdonabile. Voglio che tutti gli uomini lo ricordino. Purtroppo, nella società di oggi c’è una generale tendenza a incoraggiare la promiscuità sessuale e la violenza. Il punto è non cadere vittime di questa tendenza. Spero che gli uomini si comportino sempre in maniera irreprensibile. Sarebbe una vergogna se si comportassero diversamente. Le donne, da parte loro, dovrebbero essere sagge e prudenti, ed esercitare la massima attenzione per proteggere se stesse.
Posso solo immaginare l’incredibile angoscia fisica e mentale che devono provare le donne che sono vittime di violenze sessuali. A chi ha attraversato questa dolorosissima esperienza voglio dire: benché abbiate perso la fiducia negli altri o vi sentiate annientate, ricordatevi per favore che nessuno può distruggere ciò che siete. Per quanto crudelmente siate state ferite, voi restate immacolate come la neve appena caduta.
Il Buddismo insegna che il fiore di loto cresce nelle acque melmose. Ciò significa che le nostre vite assolutamente nobili continuano a brillare anche in mezzo alle più sgradevoli realtà della vita, come il puro bianco fiore di loto che sboccia in mezzo al fango senza esserne sporcato.
Proprio a causa di ciò che avete subito, ci sono dolori e sofferenze nei cuori degli altri che solo voi potete notare, e puri sentimenti di amore e di amicizia che solo voi potete scoprire. Sicuramente ci sono tante persone che hanno bisogno di voi. Se vi date per vinte, sarete solo voi a perderci.
Nulla, nessuno potrà mai offuscare il vostro intrinseco valore. Vi chiedo di avere coraggio, di dire a voi stesse che non permetterete che questa terribile prova vi sconfigga.
Chi ha sofferto di più, chi ha sperimentato la tristezza più grande ha il diritto di diventare la persona più felice. A che servirebbe la nostra pratica buddista se i più infelici non potessero diventare felici? Le lacrime che versate purificano la vostra vita e la fanno brillare. Vivere con questa convinzione e continuare ad andare sempre avanti è lo spirito del Buddismo ed è anche l’essenza della vita.
Forse non volete parlare a nessuno del vostro dolore e della vostra angoscia, ma vi raccomando con forza di confidarvi con qualcuno, fosse anche un’unica persona di cui avete fiducia e sulla cui discrezione potete contare. Non dovete soffrire in totale solitudine.
Il Daishonin afferma che recitare Nam-myoho-renge-kyo significa entrare nel palazzo della propria vita. Il mae­stoso palazzo della nostra vita non è nient’altro che lo stato vitale del Budda. Neanche la bomba atomica può distruggere questo palazzo interiore. Per favore, utilizzate le esperienze dolorose per aprire questo palazzo di felicità all’interno della vostra vita.

da Amore e amicizia, esperia, pag. 69

Immaginare un nuovo futuro

di THALIA SKERLJ, Operatrice di centri antiviolenza

L’esperienza che ho fatto nei centri antiviolenza ha rafforzato in me il desiderio di contribuire con il mio lavoro a sviluppare in noi donne la consapevolezza del nostro valore, in quanto persone e in quanto appartenenti alla società, e mi ha aiutata a comprendere che il nostro lavoro di operatrici funziona quando facciamo rete e ognuna di noi si sente parte di questa rete e sa di poter contare sul sostegno delle altre: non ce la fai se ti senti sola.

I centri antiviolenza accolgono anche donne vittime del traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale in Italia. È di loro che vorrei scrivere. Sono persone che non parlano la nostra lingua, a cui sono stati sottratti i documenti, e che per il nostro paese sono considerate clandestine. Arrivano al centro dopo esser state al Centro accoglienza di Ponte Galeria, dove con l’aiuto delle operatrici, hanno scelto coraggiosamente di denunciare i loro sfruttatori.
Il programma di protezione sociale garantisce loro la frequentazione del corso di italiano per stranieri e quello per il conseguimento del diploma di terza media, lo screening sanitario, la tutela legale, le borse di lavoro e il successivo inserimento lavorativo. I progetti si concludono con l’uscita delle donne dal centro, dapprima in una condizione di semi-autonomia, per poi arrivare a una piena autonomia abitativa, lavorativa e sociale.
Le donne vittime di tratta sono persone che hanno vissuto una quotidianità senza futuro fatta di abusi, violenze, umiliazioni e paura di essere uccise. Questi eventi traumatici vengono elaborati nel corso dei colloqui di sostegno, che avvengono con successo quando le ospiti sviluppano fiducia nelle operatrici e si sentono al sicuro nel centro.
Sono rimasta molto impressionata dal fatto che proprio quando ci raccontavano le atrocità che avevano vissuto nel corso dello sfruttamento, emergeva in queste donne coraggiose la forza di sperare in una nuova possibile vita. Io credo sia il desiderio di vivere che dà l’energia per immaginare un nuovo futuro.
Porterò sempre nel cuore il ricordo di una ragazza vittima di tratta che grazie al sostegno del centro ha conseguito il diploma di terza media mentre lavorava da un parrucchiere con una borsa lavoro, e alla fine è stata assunta dallo stesso salone! Giorno dopo giorno l’abbiamo incoraggiata a tenere duro, a continuare a studiare e a frequentare la scuola, e in seguito ad ascoltare e a parlare con le clienti al negozio: proprio lei che quando era entrata al centro non parlava una parola di italiano!
La recitazione del Daimoku mi ha dato la capacità di accogliere il mio senso di inadeguatezza, ogni volta che emergeva nel corso dei colloqui di sostegno, come reazione naturale davanti a tanto dolore. Dall’accettazione della mia inadeguatezza è emersa la capacità di essere presente in un incontro alla pari, in cui non c’era più una “tu” incastrata nel ruolo di vittima che credevo si aspettasse qualcosa da me e una “io” che doveva risolvere i suoi problemi. C’era un “noi”. Il Daimoku mi ha dato il coraggio di esserci fino in fondo, anche con il mio sentirmi inadeguata. Quando ci riuscivo, in quell’istan­te lo spazio e il tempo si espandevano e io sentivo che la donna che avevo di fronte ce l’avrebbe fatta con le sue forze. Io non dovevo fare altro che esserci.
Grazie a questo percorso ho compreso davanti al Gohonzon che la vita stessa ha la capacità di guarirsi e la forza di rigenerarsi.
Vorrei ringraziare il maestro Daisaku Ikeda, per avermi aiutata a credere che «con le donne come capofila, quando ogni singolo individuo sarà consapevole e impegnato, saremo in grado di impedire che la società ricada in una cultura della guerra, e potremo sviluppare e concentrare le nostre energie per la creazione di un secolo di pace» (Proposta di pace 2001).

La violenza non è un destino da accettare

DI KHALIDA BROHI, fondatrice e direttrice della Sughar Empowerment Society, un’organizzazione attiva in Pakistan per l’empowerment delle donne nei villaggi rurali

TRATTO DA SGI QUARTERLY, GENNAIO 2016

Khalida prende posizione contro il delitto d’onore e scopre un modo per responsabilizzare le donne le cui vite sono a rischio: dare loro l’opportunità di sviluppare capacità di leadership nella propria comunità

Dieci anni fa ero una pakistana di sedici anni con il cuore pieno di rabbia che voleva vendicare l’omicidio della sua amica, innamorata di un ragazzo e uccisa per “onore” dal padre e dallo zio. Improvvisamente, da ragazza innamorata del mondo divenni un’attivista per i diritti delle bambine e delle donne. Sono originaria di un piccolo villaggio nella provincia di Balochistan, dove i miei genitori sono stati costretti a sposarsi all’età di nove e tredici anni. Personalmente ho avuto la fortuna di godere di educazione e libertà, ma ho visto i miei amici sposarsi molto giovani e le mie cugine e zie subire violenza domestica. Mi chiedevo perché fossi l’unica ad avere possibilità di scelta, e sentivo che era mia responsabilità agire. Scrissi delle poesie e bussai porta a porta nel mio villaggio per intraprendere una campagna contro il delitto d’onore. Secondo le Nazioni Unite, più di mille donne l’anno muoiono a causa di questa usanza, e gran parte dei delitti non vengono denunciati.
Fui presto contattata dai gruppi di attivisti pakistani per partecipare al movimento nazionale contro i delitti d’onore. Iniziai una campagna on line chiamata “WAKE UP. ­Campaign against Honor Killing”. La mia indignazione si propagò, e presto centinaia di giovani aderirono in tutto il mondo.
Apparentemente era un successo, ma allo stesso tempo all’interno delle comunità tribali iniziava a crearsi un’opposizione sempre più forte. Le nostre auto vennero distrutte e comparvero scritte contro di me sui muri. In breve fui costretta a lasciare il mio villaggio. Ero devastata dal senso di sconfitta e per la prima volta dopo la morte della mia amica iniziai a domandarmi dove stessi sbagliando. Avevo iniziato la mia lotta spinta dalla rabbia e ciò aveva scatenato in risposta soltanto rabbia.
Mi resi conto di aver trascurato di coinvolgere proprio le donne per le quali lottavo. La percezione che le donne hanno di se stesse gioca un ruolo fondamentale nel perpetuare questo comportamento. Spesso infatti sono le prime a considerare violenza e discriminazione come un destino da accettare. Dovevamo imparare a lavorare con pazienza per trasformare il comportamento degli uomini e al tempo stesso liberare il potenziale delle donne.
All’inizio incontrammo resistenza, ma via via ci diedero fiducia. I capi del villaggio finirono per offrirci uno spazio nel quale organizzare un centro di attività educative. Le donne venivano ogni giorno per ricamare e ricevere un’educazione, e in questo modo diventavano più consapevoli del potere di cambiare le loro vite. Funzionava! I ricami generavano reddito per le famiglie e le donne cominciarono a risvegliarsi e riconoscere i loro diritti. Con gli uomini organizzammo partite di cricket e quando gli incontri iniziavano a farsi divertenti, i membri del nostro team commentando la partita si mettevano a parlare dei diritti delle donne. Via via questo tema divenne argomento di discussione nei mercati e nelle piazze.
Nel 2014, dopo aver constatato quanto lontano possono arrivare gli sforzi compiuti localmente (più di ottocento donne coinvolte nel solo Balochistan), abbiamo creato una fondazione con l’obiettivo di replicare l’esperienza anche in altre zone e raggiungere un milione di persone in dieci anni.
Attraverso l’impegno e la passione delle donne ce la possiamo fare!

tratto da SGI Quarterly, gennaio 2016

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