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Una rivoluzione familiare - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:26

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Una rivoluzione familiare

famiglia Gaddi, Siracusa

Antonella, la figlia Vittoria e il marito Angelo raccontano come, attraverso il Buddismo, hanno trasformato le loro vite e costruito una famiglia armoniosa per kosen-rufu

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Antonella, la figlia Vittoria e il marito Angelo raccontano come, attraverso il Buddismo, hanno trasformato le loro vite e costruito una famiglia armoniosa per kosen-rufu

Antonella: Avevo sentito parlare della pratica buddista già diversi anni prima, ma fu nel 2001 che partecipai al mio primo zadankai a Siracusa. Fu uno squarcio nell’oscurità che illuminò la mia mente e il mio cuore. Sentii subito nascere dentro di me il desiderio profondo di ricevere il Gohonzon, diventare membro della Soka Gakkai e far conoscere il Buddismo a quante più persone possibile.
Da poco ero tornata a vivere a Floridia, mio paese natale, dove all’epoca non c’erano praticanti attivi.
Mi dedicai allo shakubuku con passione, nonostante attacchi e pregiudizi, incoraggiata da una frase del Gosho: «Se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (RSND, 1, 4).
Dopo qualche mese venni nominata responsabile di gruppo. In quel periodo alle riunioni che si tenevano a casa mia partecipavano fino a trenta, quaranta persone.

Vittoria: Avevo sette anni quando mia mamma ricevette il Gohonzon, e subito le domandai: «Ma quando tu non ci sarai più, a chi andrà il Gohonzon?».
Mi rispose che se nessun altro in famiglia fosse diventato buddista, sarebbe ritornato alla Soka Gakkai. La rassicurai dicendo che io sarei diventata membro della Soka Gakkai. E ogni volta che partecipava a una riunione o a un corso e mi chiedeva quale fosse il mio desiderio, le dicevo che volevo essere felice.
Da lì a poco, la mia vita cambiò. Venivo presa continuamente in giro, emarginata e derisa per la scelta fatta da mia mamma. La lasciai all’oscuro di tutto, ma cominciai a covare rancore nei suoi confronti.

Antonella: Floridia divenne un settore e sentii il desiderio di mettere radici più profonde acquistando una nuova casa, più grande e più bella. A luglio del 2006 realizzai il mio obiettivo e la trovai a Siracusa: era proprio la casa in cui fin da ragazza avrei voluto abitare! Fu un grande beneficio e capii che era giunto il momento di voltar pagina. Nel frattempo però la relazione con mia figlia, ormai adolescente, diventava sempre più conflittuale.

Vittoria: Per me sono stati anni infernali che hanno messo a dura prova il rapporto con mia mamma, che si faceva ogni giorno più difficile. Le mie giornate erano segnate da un travaglio interiore fortemente autodistruttivo. Non sapevo più chi ero, non mi riconoscevo più. Attribuivo le mie sofferenze al Buddismo, ma allo stesso tempo vi cercavo inconsapevolmente una fonte di equilibrio che non riuscivo a raggiungere da sola. Mi avvicinavo e mi allontanavo, per paura, in un’altalena continua.
Giorno dopo giorno il Gosho divenne lo scoglio a cui aggrapparmi nel naufragio. Pur non praticando, alcune frasi di Nichiren Daishonin risuonavano nella mia mente, come «l’inverno si trasforma sempre in primavera» (cfr. RSND, 1, 476), che divenne una fonte di speranza, tanto da scriverla su una parete della mia stanza…

Antonella: Nel 2007 trovai lavoro come educatrice nell’asilo nido di una zona periferica di Siracusa con parecchi disagi sociali. Non avevo attitudini verso i bambini e mi sentivo incapace di giocare con loro. Sentivo che quel ruolo e quell’ambiente ostile non mi appartenevano. Solo più tardi, grazie a tanto Daimoku e all’impegno costante nel condividere il Buddismo con gli altri, compresi che quella era un’occasione per illuminare la parte più buia della mia vita.
Prima della mia nascita, infatti, mia madre aveva perso due figli, di otto e dieci anni, morti annegati: sono stata concepita nel lutto, nel dolore più profondo. Il gioco da bambina non mi apparteneva e neppure con la nascita di mia figlia le cose cambiarono, era sempre mio marito che giocava con lei.
Con quel nuovo lavoro mi si offriva l’opportunità di affrontare quel dolore così profondo che stava all’origine della mia vita. In quel processo di consapevolezza cominciai a manifestare una difficoltà progressiva di movimento alle gambe che arrivò a bloccarmi a letto per sei mesi. Questa immobilità forzata mi costrinse a guardarmi meglio dentro e intorno, e a percepire la sofferenza di mia figlia. Marisa, compagna di fede e amica a cui sono immensamente grata, veniva a recitare Daimoku con me quando i dolori me lo impedivano. Il suo sostegno è stato determinante per superare la malattia.

Vittoria: Assistevo alla sofferenza di mia madre con un forte senso di colpa, persuasa di essere io la causa scatenante della sua malattia. Oggi so che non è così, ma fino a poco tempo fa ne sono stata assolutamente convinta, e mentre lei perseverava con coraggio nella sua pratica buddista, io per due volte ho vissuto crisi così profonde da mettere a repentaglio la mia vita.
È in uno di quei momenti bui che quel famoso “faro”, di cui spesso mi parlava mia mamma, illuminò la mia disperazione e trovai la forza di chiederle aiuto. Fu il momento cruciale, l’inizio della mia rivoluzione umana.

Antonella: In quel periodo recitavo tantissimo Daimoku con l’obiettivo di condividere il Buddismo con tutto il personale dell’asilo e anche con le mamme. Di nuovo fui derisa e calunniata, ma non mi feci influenzare perché nel frattempo avevo acquisito esperienza e rafforzato la mia fede. Dopo tanto impegno, due mie colleghe decisero di ricevere il Gohonzon, e da quel momento partii con una catena di shakubuku
Intanto, insieme alle mie responsabili e compagne di fede rafforzammo il capitolo fino alla formazione del settore Ortigia e del settore Vittoria, del quale divenni responsabile.

Vittoria: In questi anni in cui mi sono sentita vittima di un destino crudele, il suono del Daimoku di mia madre continuava ad arrivare al mio cuore, fino a far cessare la conflittualità sempre accesa tra me e lei. Avvicinandoci una all’altra senza più barriere protettive abbiamo vinto insieme, mettendo in pratica il nostro progressivo disarmo interiore, fino a diventare complici e amiche.
Dal 2017 sono membro della Soka Gakkai. Nel frattempo mi sono laureata nonostante grandi ostacoli con 110 e lode e ho dedicato la mia tesi a sensei. Oggi finalmente partecipo all’attività buddista da protagonista, senza timore per ciò che accade o potrebbe accadere. Come diciassette anni fa, il mio desiderio è sempre quello di essere felice, ma stavolta insieme agli altri.
Mi sono chiesta tante volte cosa sia la felicità, e la risposta l’ho trovata nelle parole del mio maestro: «Se si possiede una profonda condizione vitale e una profonda saggezza si può provare gioia nel superare le difficoltà della vita, allo stesso modo in cui le onde rendono il surf più esaltante o le cime impervie rendono la rampicata più avvincente. E poiché la Legge mistica è la sorgente della forza vitale e della saggezza necessarie per superare le difficoltà della vita, il Daishonin afferma che non c’è felicità più grande del recitare Nam-myoho-renge-kyo» (Cos’è la felicità?, esperia, pag. 5).

Antonella: Sono infinitamente grata a sensei per avermi permesso di progredire nella mia rivoluzione umana attraverso le sue guide. Attualmente mio marito, che non ha mai smesso di sostenere me e mia figlia, è responsabile di gruppo. Io nel frattempo ho portato davanti al Gohonzon sedici colleghe su diciotto, di cui cinque sono diventate membri, due sono simpatizzanti, e altre recitano Daimoku saltuariamente. Due di loro sono responsabili di gruppo.

Angelo: Ho sempre accettato le scelte di mia moglie, sostenendola silenziosamente durante le sue attività e occupandomi di nostra figlia, anche se non riuscivo a capire l’importanza del Daimoku. Quando mia moglie mi invitava a recitare con lei mi infastidivo, ma partecipavo volentieri agli zadankai.
La prima volta che ho provato a recitare Nam-myoho-renge-kyo, senza sapere perché mi sono messo a piangere come un bambino: ho percepito la mia vita con una tale potenza, che ancora oggi faccio fatica a descrivere quell’emozione. Solo dopo ho capito che stavo iniziando in quel momento la mia rivoluzione umana.
Quando mia figlia e mia moglie attraversavano i loro momenti più bui sono stato assalito dai dubbi. Tuttavia non ho mai smesso di recitare Daimoku, rincuorato dalla determinazione di mia moglie. Oggi posso dire che grazie al Buddismo e alle continue sfide che la vita ci ha presentato siamo consapevoli che nulla ci può abbattere, e siamo determinati a portare in alto la bandiera di kosen-rufu diventando un esempio anche per gli altri.
Ringrazio mia moglie per avermi fatto conoscere la pratica e mia figlia che spesso mi sostiene nell’attività, così come tutti i compagni di fede. E soprattutto, il mio pensiero costante è la gratitudine per il mio maestro.

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