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Volume 30, capitolo 3 "Slancio impetuoso", puntate 1-65 (capitolo intero) - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:24

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Volume 30, capitolo 3 “Slancio impetuoso”, puntate 1-65 (capitolo intero)

«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

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«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

Seguite le puntate che il presidente Ikeda sta scrivendo ogni giorno pubblicate su www.sgi-italia.org/riviste/nr/

Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[1] Pechino era avvolta da una splendida luce solare. Il dolce paesaggio campestre che si estendeva nei dintorni dell’aeroporto lasciava presagire la primavera. Alle due e trenta del pomeriggio del 21 aprile 1980, la quinta delegazione della Soka Gakkai in visita in Cina, guidata da Shin’ichi Yamamoto, arrivò all’aeroporto di Pechino. Era la prima visita all’estero di Shin’ichi dopo le dimissioni da presidente.
Nel suo cuore ardeva la determinazione di rendere ancor più solido il ponte dorato dell’amicizia sino-giapponese, costruito grazie agli scambi che aveva promosso fino ad allora a livello privato, e di ampliare ulteriormente la strada maestra della pace verso il ventunesimo secolo.
Sun Pinghua, vicepresidente dell’Associazione per l’amicizia tra Cina e Giappone, che era andato ad accogliere la delegazione all’aeroporto, si rivolse a Shin’ichi: «In questi ultimi due, tre giorni a Pechino c’è stata una forte tempesta di polvere gialla».
Le tempeste di polvere sono fenomeni per cui dense nuvole di sabbia vengono sollevate verso il cielo da forti venti.
«Non si vedeva a distanza di pochi metri. Ma ieri sera, finalmente, la tempesta si è calmata. Oggi il cielo è tornato azzurro e abbiamo un magnifico clima primaverile. È come se la natura volesse festeggiare il suo arrivo in Cina!».
Nella lettera d’invito che Shin’ichi aveva ricevuto, c’era scritto che l’Associazione avrebbe voluto accogliere la delegazione «nella stagione primaverile, con una temperatura mite e i boccioli in fiore», e quel giorno era proprio così.
Per un istante Shin’ichi pensò alla situazione in cui si trovava la Gakkai in Giappone: «I giovani preti della Nichiren Shoshu stanno continuando ad attaccare la Gakkai sino all’inverosimile. È proprio come una “tempesta di polvere gialla”. Tuttavia, tale situazione non continuerà in eterno. Superandola, potremo sicuramente aprire le porte a un futuro di speranza per la realizzazione di kosen-rufu, proprio come testimonia questo cielo azzurro». La delegazione venne accompagnata in una sala riservata alle personalità di riguardo all’interno dell’aeroporto, dove una tela ricamata raffigurava un’imponente cascata. Si trattava della grande cascata del Fiume Giallo, in fondo alla quale scorre la corrente impetuosa della “porta del drago”, così chiamata per via di una leggenda secondo cui i pesci che riescono a risalirla si tramutano in draghi.
Anche negli scritti di Nichiren Daishonin viene citata “la porta del drago” (RSND, 1, 890), una metafora che illustra la difficoltà di conseguire l’Illuminazione attraverso la pratica buddista.
La delegazione fissava la tela ricamata raffigurante la cascata e pensava a quante volte la Gakkai aveva dovuto superare impetuose correnti.

[2] La mattina del 22 aprile la delegazione di Shin’ichi, dopo aver visitato la mostra su Zhou En Lai allestita nel Museo Nazionale di Storia di Pechino, fece visita presso la sua abitazione privata alla moglie dell’ex premier, Zhou Deng Yingchao, che ricopriva la posizione di vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, su suo espresso invito.
Guidati da lei fecero il giro dello splendido giardino dove sbocciavano fiori di melo cinese e di lillà. Shin’ichi si intrattenne a parlare per un’ora e mezza nella sala per gli ospiti, dove lo scomparso premier Zhou accoglieva i dignitari stranieri.
Era trascorso quasi un anno dal loro ultimo incontro avvenuto nell’aprile dell’anno precedente presso la State guest house a Tokyo, e fu un colloquio piacevole ricordando il premier Zhou. Nel pomeriggio di quel giorno, anche durante il ricevimento di benvenuto presso il palazzo dell’Assemblea nazionale del popolo parlarono dello spirito con cui era vissuto Zhou, e Deng Yingchao rievocò commossa il giorno in cui, a bordo di un aereo, aveva sparso le ceneri del defunto marito. Fu un racconto commovente.
«Da giovani io e Zhou En Lai giurammo di dedicare tutta la nostra vita per il bene del popolo cinese. Negli ultimi anni, per tener fede al nostro giuramento anche dopo la morte, decidemmo insieme di rinunciare a far conservare le nostre spoglie».
In questo caso, infatti, sarebbe stato eretto un edificio imponente come un mausoleo che avrebbe reso necessario un luogo da adibire, oltre a un’immane forza lavoro. Ma non era questo che i due coniugi intendevano per “dedicare la propria vita al popolo”. Facendo spargere le proprie ceneri, invece, divenendo concime per la terra esse sarebbero state almeno di qualche utilità.
Ciò tuttavia non rientrava nel costume e nelle tradizioni cinesi. Si trattava di un gesto inaccettabile per i più, un gesto veramente rivoluzionario, in tutti i sensi.
«Quando la malattia si fece più grave – disse Deng – tanto da impedirgli di reggersi in piedi senza l’aiuto degli infermieri, il compagno Zhou ribadì la sua ferma volontà: “Ti prego di realizzare assolutamente questa promessa”. Quando morì, l’unica richiesta che avanzai al Comitato centrale del partito fu di non imbalsamare le sue spoglie, ma di spargere le sue ceneri sul suo paese. Mao Tse-tung e il Comitato centrale acconsentirono a questa mia richiesta e io potei così mantenere la promessa fatta a Zhou». Un episodio che esprime lo spirito a cui Zhou En Lai rimase sempre fedele, di dedicare tutto se stesso al popolo.
Una volontà può dirsi genuina quando viene messa in pratica, e si trasforma in vera determinazione quando viene portata fino in fondo.

[3] Il pomeriggio del 22 aprile la delegazione di Shin’ichi fece visita all’Università di Pechino dove venne accolta dal vice rettore Ji Xianlin. Nell’edificio storico di Linhuxuan venne stipulato un accordo di scambi accademici con l’Università Soka e, in quell’occasione, fu comunicata a Shin’ichi la decisione dell’Università di Pechino di insignirlo di una laurea ad honorem.
Dopo aver espresso la sua gratitudine, Shin’ichi tenne una conferenza intitolata Alla ricerca di una nuova dimensione per il popolo. Considerazioni personali sulla Cina.
La Cina, definita una volta “nazione senza Dio”, è probabilmente uno dei paesi che per primi hanno rinunciato a una visione teistica del mondo.
Durante la conferenza Shin’ichi parlò di Sima Qian [celebre storico cinese, 145-86 a.C., n.d.t.] il quale, condannato all’evirazione dall’imperatore Han Wudi per aver preso le difese del generale Li Ling, caduto prigioniero dei Xiongnu [una tribù nomade della Cina settentrionale, n.d.t.], si mise a riflettere sull’esistenza o meno di un principio divino.
Shin’ichi sottolineò che l’atteggiamento di Sima Qian di interrogarsi sull’esistenza di un principio divino a partire dalle tragedie personali che lo avevano colpito, la ricerca cioè della dimensione universale attraverso la propria condizione individuale, costituisce il fondamento spirituale alla base della civiltà cinese. Al contrario, nella civiltà occidentale fino alla fine del diciannovesimo secolo, il principio universale di una provvidenza divina che regola il mondo, non nasceva da una riflessione a partire dall’essere umano, ma da una considerazione di un “dio”come entità superiore.
Si tratta cioè di una riflessione sull’essere umano e sulla natura attraverso un “prisma” chiamato “Dio”. Se si cerca però di applicare forzatamente questo stesso “prisma” a popoli che si differenziano fortemente per storia e tradizione, vi è il pericolo che si trasformi in un’imposizione e che, alla fine, una concezione colonialistica intrisa di aggressività ed esclusivismo dilaghi pericolosamente in nome di un’entità superiore.
Questa fu la sua considerazione. Shin’ichi ribadì tuttavia l’importanza della ricerca di un principio universale attraverso l’osservazione della realtà. Questa è una tradizione della cultura cinese e anche il professor Arnold Toynbee affermò di aver trovato proprio nella storia di questo popolo la spiritualità del mondo. Egli auspicò inoltre la nascita di una nuova concezione del popolo, un popolo che si facesse protagonista di questo nuovo principio universale.
Shin’ichi era convinto delle enormi potenzialità della Cina. Per questo aveva continuato a visitare ripetutamente questo paese pregando per lo sviluppo dell’amicizia tra Cina e Giappone e per la stabilità dell’intero continente asiatico.

[4] Dopo la conferenza presso l’Università di Pechino si tenne una cerimonia di donazione di libri in favore dell’Università di Sichuan.
In un primo momento era stata programmata una visita di Shin’ichi presso questa università che si trova a Chengdu, nella provincia dello Shichuan, ma per incompatibilità con l’agenda di Shin’ichi la cerimonia venne spostata presso l’Università di Pechino.
Quando il vice rettore dell’Università di Sichuan ricevette nelle sue mani il catalogo con la lista di mille libri e il diploma di consegna da parte di Shin’ichi, esplose un fragoroso applauso in sala.
Era stato aperto un nuovo varco negli scambi educativi e culturali fra i due paesi. La mattina del 23 aprile Shin’ichi ebbe un incontro con Chang Shuhong, il direttore del Centro studi sulle grotte di Dunhuang (l’attuale Dunhuang Academy) e sua moglie, presso il Beijin Hotel, dove alloggiavano.
Chang Shuhong aveva settantasei anni. Era un eminente studioso a livello mondiale del patrimonio artistico delle Grotte di Mogao (o Grotte dei mille Budda), a Dunhuang, e della Via della Seta, nonché membro rappresentante del quinto congresso dell’Assemblea nazionale del popolo.
Sebbene il giorno prima fosse rientrato da un viaggio nella Germania dell’Ovest, partecipò all’incontro senza lasciar trasparire la minima stanchezza. Shin’ichi chiese innanzitutto le ragioni che avevano spinto il professore a intraprendere i suoi studi sulle opere di Dunhuang.
La risposta fu estremamente interessante.
Nel 1927, a ventitré anni, aveva compiuto un viaggio di studio in Francia per approfondire la sua conoscenza dell’arte occidentale.
A Parigi si era imbattuto in un libro fotografico su Dunhuang ed era rimasto profondamente colpito dalla qualità espressiva di quelle opere di cui ignorava l’esistenza, nonostante appartenessero al patrimonio artistico del suo paese.
Comprese il suo errore e nel 1936 abbandonò ogni cosa e fece ritorno in Cina per dedicarsi alla ricerca, alla salvaguardia e alla promozione dell’arte di Dunhuang.
Nel 1943 finalmente entrò nel sito archeologio di Dunhuang come membro del team che preparava l’istituzione del Centro studi.
Da quel giorno vi si stabilì per ben trentasette anni, dedicando la sua vita alla conservazione del sito e al lavoro di restauro.
«La grande arte di Dunhuang – affermò il direttore – si è formata nel corso di mille anni di storia. Ma le spedizioni straniere trafugarono questi inestimabili tesori e li portarono all’estero».

[5] Il volto del direttore Chang Shuhong lasciava trasparire un profondo senso di amarezza.
Ma sicuramente egli aveva trasformato quell’amarezza in passione e tenacia impegnandosi nell’opera di conservazione e studio del sito.
Un’incrollabile, indomita tenacia è il requisito necessario per realizzare una grande impresa.
Nel periodo in cui Chang Shuhong aveva iniziato a vivere nel sito delle Grotte di Mogao, a Dunhuang, questa era una zona completamente isolata dal mondo. Circondata dal deserto, per procurarsi i beni di prima necessità occorreva raggiungere una città a venticinque chilometri.
Ovviamente egli non possedeva nemmeno una macchina. Su un basamento in mattoni di terracotta stendeva una stuoia con della paglia e ne faceva un giaciglio per dormire, con un pezzo di stoffa come coperta. Non c’era nemmeno acqua potabile a sufficienza. Non di rado le temperature in inverno scendevano venti gradi sotto lo zero.
Non esistevano nelle vicinanze strutture mediche, tanto che la seconda figlia, che si era ammalata, morì cinque giorni dopo l’arrivo.
Un pittore che aveva vissuto a Dunhuang portando avanti i suoi studi prima di lui, il giorno della partenza commentò scherzando che per lui si era trattato di un carcere a vita.
Chang Shuhong, al contrario, descrisse il suo stato d’animo con queste parole: «Pensai che avrei accettato più che volentieri anche il carcere a vita immerso in quell’immenso mare dell’antica civiltà buddista».
Coloro che hanno preso una salda risoluzione sono forti. Solo nella ferma decisione di avanzare imperterriti fra terribili tempeste e avversità è possibile portare fino in fondo il proprio intento originario, e in ciò risiede la vittoria nella vita. Questo è l’atteggiamento di un buddista. Per questa ragione Nichiren Daishonin afferma: «Dite loro [le persone] di essere preparate al peggio e di non aspettarsi tempi buoni, ma dare per scontati quelli cattivi» (RSND, 1, 886).
Le Grotte di Dunhuang, in stato di completo abbandono per anni, sepolte sotto le sabbie mobili e in balìa dell’azione di erosione di sabbia e vento, erano sull’orlo della rovina. In una situazione del genere il direttore si mise all’opera per preservare e restaurare gli affreschi parietali e le sculture della grotta. Il suo lavoro iniziò con la piantumazione degli alberi al fine di proteggere il sito dalla sabbia e dal vento. Un lavoro massacrante, senza fine. Ma i suoi sforzi vennero infine ricompensati e il Centro studi iniziò a essere apprezzato a livello internazionale.
Quel giorno fra Shin’ichi e Chang Shuhong ebbe luogo un piacevole colloquio, e fra i due nacque una sincera intesa. Fino al 1992 si incontrarono per dialogare in numerose occasioni, in tutto sette volte. Nel 1990 questi loro scambi vennero pubblicati nel libro Lo splendore di Dunhuang. Parlando della bellezza e della vita.
Erano dialoghi nati dalla volontà tenace di aprire “la via della seta” dell’amicizia e della cultura per il futuro.

[6] Nel novembre del 1990, presso il Museo Fuji, che si trovava allora nella prefettura di Shizuoka, si tenne una mostra di quadri di Chang Shuhong.
Tra le varie opere ce n’era una che attraeva in modo particolare l’attenzione del pubblico. Si trattava di una tela di tre metri di altezza e cinque di larghezza esposta in via straordinaria, intitolata La cima del Chomolungma dedicato ai compagni che hanno raggiunto eccellenti risultati in ambito tecnico-scientifico. Chomolungma, che nella lingua nepalese indica l’Everest, la vetta più alta della Terra, significa “dea della madre Terra”.
Nell’opera la montagna innevata si ergeva maestosa come per raggiungere il cielo, e vi si scorgevano alcune persone che scalavano la sublime, imponente vetta. Il quadro era un capolavoro immortale dipinto insieme alla moglie Li Chengxian.
Subito dopo la rivoluzione culturale, in un periodo estremamente critico in cui era difficile persino reperire i colori per dipingere, la coppia realizzò l’opera promettendo: «Anche se stiamo attraversando un momento doloroso e difficile, uniamo le nostre forze per raggiungere la vetta della cultura».
Shin’ichi dialogò con i due coniugi giunti in Giappone per la mostra. Era il sesto incontro con Chang Shuhong, che a un certo punto espresse il desiderio di offrire a Shin’ichi quel capolavoro, frutto di immense fatiche. Ma era un’opera talmente preziosa, nella quale era inciso profondamente lo spirito dell’artista, che Shin’ichi declinò cortesemente l’offerta dicendo: «La ringrazio comunque del gentile pensiero».
Ma Chang Shuhong insistette: «Credo che nessuno al di fuori di lei, maestro Yamamoto, possa essere degno proprietario di quest’opera. Durante la grande rivoluzione culturale abbiamo subìto maltrattamenti indicibili. La nostra vita era avvolta da tenebre così fitte da non lasciar filtrare il minimo raggio di luce. Ma nel dipingere quest’opera sentivamo le ali della speranza, che nessun potere è in grado di trattenere, librarsi alte nel cielo. Una volta compiuto il dipinto sentimmo rinascere in noi una nuova speranza. Lei, maestro Yamamoto, ha dato speranza a così tante persone fino a oggi! Per questo ritengo che la cosa più giusta da fare sia donarle quest’opera».
Pur pensando di non meritare così tanti elogi, Shin’ichi volle corrispondere alla sincerità della coppia e accettò con rispetto il dono in rappresentanza di tutti i compagni di fede che si stavano impegnando a infondere la luce della speranza all’umanità.

[7] Pensando alla donazione dell’opera La cima del Chomolungma, gli autori, Chang Shuhong e la consorte Li Chengxian, consapevoli del fatto che la qualità dei colori reperiti nel periodo successivo alla grande rivoluzione culturale era scadente, espressero il desiderio di ridipingerla affinché si conservasse il più a lungo possibile.
Shin’ichi si sentiva estremamente riconoscente di fronte a tanta premura. Gli venne così offerta una nuova tela con lo stesso tema e le stesse dimensioni, e nell’aprile del 1992 si tenne la cerimonia di scoprimento. In seguito la tela, divenuta un importante tesoro della Soka Gakkai, venne collocata nella sala d’ingresso del Makiguchi Memorial Hall di Tokyo, a Hachioji, in modo che potesse accogliere i membri della Soka Gakkai di tutto il mondo, che stavano compiendo grandi sforzi per trasmettere una luce di speranza all’umanità.
In seguito gli scambi con il sito di Dunhuang, nati dall’incontro con Chang Shuhong, si svilupparono ulteriormente, e dall’autunno del 1985 venne allestita la mostra itinerante Tesori di Dunhuang, Cina, inizialmente nel Museo Fuji di Tokyo e poi in altre cinque città del Giappone. L’arte di Dunhuang venne così presentata ampiamente nel paese. Nel 1992 la Dunhuang Academy conferì a Shin’ichi il titolo di ricercatore onorario e nel 1994 un’altra onorificenza, mentre il suo ritratto veniva esposto all’ingresso principale delle Grotte di Mogao.
La quinta delegazione della Soka Gakkai in visita in Cina guidata da Shin’ichi, venne ricevuta da Hua Guofeng, presidente del Comitato centrale del partito comunista cinese, la sera del 24 aprile.
Nel corso di un incontro durato un’ora e mezza, presso la grande Sala del popolo, i partecipanti discussero di temi quali il nuovo piano decennale cinese, la grande rivoluzione culturale, il problema del burocratismo, le nuove generazioni e l’educazione.
Il premier disse a Shin’ichi sorridendo: «Mi hanno riferito che questa è la vostra quinta visita in Cina. Già da tempo ero a conoscenza della sua reputazione quale “vecchio amico” del nostro popolo. Anche coloro che non hanno mai avuto il piacere di incontrarla, come io stesso fino a poco fa, conoscono bene il suo nome e quello della Soka Gakkai. Io, ad esempio, ho visto un documentario sulla Gakkai». Il movimento popolare della Gakkai, che aveva il suo fulcro nella rivoluzione umana, era oggetto di attenta osservazione da parte del premier Hua Guofeng. La chiave del progresso sociale si trova nella riforma dell’individuo.

[8] Durante il colloquio con Shin’ichi Yamamoto, il premier Hua Guofeng disse che la questione più grave era riuscire a garantire a un popolo come quello cinese, che superava il miliardo di abitanti, i beni di prima necessità: vitto, vestiario, alloggio e, soprattutto, cibo.
Per questo dichiarò di voler concentrare le sue forze nel consolidare le basi dell’agricoltura che costituiva la base economica dell’intero paese.
Migliorando le condizioni di vita dei contadini sarebbe di conseguenza aumentato il potere di acquisto del mercato, la forza per lo sviluppo industriale successivo.
Shin’ichi percepì la profonda preoccupazione del leader cinese di proteggere a tutti i costi la vita di un numero considerevole di persone e di voler trovare una via d’uscita.
Politica significa risolvere problemi reali. Sono in gioco le vite delle persone.
Le teorie che non guardano alla realtà non sono che mere speculazioni. Solo attraverso piccoli e costanti miglioramenti della realtà è possibile conquistare il sostegno della gente.
Shin’ichi chiese un parere al premier sul pericolo che, una volta compiuta la rivoluzione, si potesse diffondere il burocratismo e nascere una spaccatura fra la classe dirigente e il popolo.
Il premier affermò che era fondamentale una riforma in questa direzione per portare avanti le “quattro modernizzazioni” [riforma lanciata ufficialmente da Deng Xiaoping nel 1978, n.d.t.]. Per questo disse che era necessario educare i funzionari pubblici, riformare gli organismi e far sì che il popolo li controllasse.
Se coloro che guidano il paese dimenticano che ogni cosa ha come scopo finale il popolo, se predominano tendenze autoconservazioniste, ogni organizzazione rischia di fossilizzarsi su se stessa e di cadere nel burocratismo. Per questo i leader devono sempre essere in prima linea nell’organizzazione e vivere tra le persone, avanzare insieme e impegnarsi assiduamente insieme al popolo.
È indispensabile una rivoluzione umana che regoli le nostre azioni, che ci spinga a tornare sempre al punto di partenza del fine ultimo per cui stiamo facendo una cosa, e a guardare dentro noi stessi. Il premier avrebbe dovuto visitare il Giappone a fine maggio.
I due ribadirono reciprocamente la necessità di rafforzare il “ponte d’oro” dell’amicizia tra Cina e Giappone.
A Pechino Shin’ichi incontrò alcune studentesse cinesi che, dopo aver terminato i loro studi presso l’università Soka, a primavera di quell’anno erano ritornate in Cina.
L’attimo che stiamo vivendo è unico e irripetibile. Per questo Shin’ichi aveva deciso di non lasciarsene sfuggire nemmeno uno dedicando tutto se stesso nel cercare di incontrare, dialogare, incoraggiare e stringere amicizia con più persone possibili.
Il grande scrittore Lev Tolstoi afferma: «Prima di tutto, la cosa più importante è vivere il presente al meglio delle proprie possibilità, qualunque sia la situazione in cui ci si trova».

[9] Il 25 aprile la delegazione guidata da Shin’ichi partì in aereo da Pechino, fece scalo a Guangzhou, capoluogo della regione dello Guangdong, e giunse presso la città di Guilin.
Il giorno successivo Shin’ichi si recò in macchina a Yangdi, poi si diresse a piedi, mentre piovigginava, verso il pontile lungo la riva del fiume Lijiang. Mentre attraversava una foresta di bambù sotto una pioggia leggera, gli si avvicinarono dei bambini che si trovavano lungo il fiume. Tra loro vi erano due bambine che vendevano medicine portando un giogo sulle spalle. Si rivolgevano ai passanti dicendo di avere a disposizione ogni genere di medicine. Indossavano abiti sobri e semplici e avevano i capelli raccolti con delle treccine.
I loro occhi limpidi colpirono Shin’ichi. Egli sorridendo indicò il suo capo e chiese loro: «Allora avete anche delle medicine che facciano diventare intelligenti?».
Le bambine risposero senza la minima esitazione: «Quelle purtroppo le abbiamo appena finite…» e fecero trapelare un sorriso dimostrando una grande capacità d’improvvisazione. Tutti scoppiarono a ridere fragorosamente. Scrollando le spalle come per darsi per vinto, Shin’ichi disse: «Che peccato allora per il nostro cervello!».
Shin’ichi e Mineko acquistarono dalle bambine delle pomate da regalare. La loro capacità di improvvisare era certamente nata dall’esperienza maturata vendendo le medicine ai passanti.
I bambini rappresentano il tesoro della società e sono lo specchio del futuro. Nell’immagine di questi bambini che crescevano forti e vigorosi come se avessero messo radici profonde nella terra, Shin’ichi vide una luce di speranza per il ventunesimo secolo.
Rinnovò quindi la sua ferma determinazione di concentrare ancor di più le sue forze negli scambi educativi e culturali, per il bene dei bambini.
La delegazione, guidata dal vice sindaco di Guilin, si diresse su una nave da Yangdi fino a Yangshuo, che si trovava nel tratto inferiore del fiume Lijiang, e durante il tragitto di quasi due ore e mezza si sviluppò una piacevole conversazione. Erano i paesaggi di Guilin celebrati anche nella famosa poesia:

Il fiume Lijiang è un obi1
di rigogliosa edera
e le montagne formano
kanzashi2 di diaspro.

Su entrambe le rive del fiume si susseguivano, come fossero paraventi, particolari conformazioni rocciose.
La nave avanzava attraverso questi eremi lontani, avvolta dal velo bianco della pioggia.

1. obi: fascia per kimono.
2. kanzashi: ornamenti usati nelle acconciature femminili tradizionali giapponesi.

[10] Il vicepresidente dell’Associazione per l’amicizia tra Cina e Giappone, Sun Pinghua, parlando della “pioggia di nebbia del fiume Lijiang” disse che la vista più bella del fiume è quando vi cade una pioggia fine, simile alla foschia. Tuttavia, nonostante l’effusione di sentimenti poetici che il paesaggio di Guilin suscitava, si continuava a conversare sulla situazione internazionale. Verso la fine dell’anno precedente, l’Unione Sovietica aveva invaso l’Afghanistan e anche in Cina si erano intensificate le critiche nei confronti dell’URSS. C’erano persone che non vedevano favorevolmente le visite per il rafforzamento dell’amicizia e i dialoghi che Shin’ichi continuava a promuovere con importanti personalità sovietiche.
Sull’imbarcazione, mentre discutevano, qualcuno disse a Shin’ichi: «I rapporti tra Cina e Giappone non potranno consolidarsi se proprio lei che ha gettato un “ponte d’oro” tra i nostri due paesi, andrà in Unione Sovietica. Preferiremmo che non ci andasse».
Shin’ichi ringraziò l’interlocutore per aver esposto sinceramente la sua opinione, ma non poteva acconsentire: «Capisco quello che provate, ma la nostra epoca sta cambiando considerevolmente. Avvicinandoci al ventunesimo secolo, dobbiamo puntare alla creazione di un’era proiettata verso la pace dell’intera umanità. Sono finiti i tempi in cui le grandi potenze entravano in conflitto a causa dell’odio reciproco. Ora è necessaria una filosofia umanistica che aspiri a creare armonia tra persone che cercano di mettere in luce gli aspetti positivi degli altri, e alla costruzione di una nuova epoca in cui gli individui si aiutino a vicenda. Non è forse così?».
Shin’ichi mise tutta l’energia in quelle parole, ma non riusciva a convincerli. Infatti, gli chiesero subito se per lui fosse più importante la Cina o l’Unione Sovietica.
La vista del fiume Lijiang varia di momento in momento, ma comunque finisce per sfociare nell’oceano. Allo stesso modo l’epoca attuale sarebbe avanzata verso il vasto mare della pace dell’umanità: tale era la convinzione di Shin’ichi.
«Io amo la Cina, per me è un paese importante. Allo stesso modo, amo gli esseri umani. Tutta l’umanità è importante per me. Ho ottenuto dai vertici dell’Unione Sovietica l’esplicita affermazione che in nessun caso attaccheranno la Cina, e l’ho trasmessa ai vostri leader. Il mio desiderio è che i vostri paesi possano fraternizzare, e sono sicuro che un giorno comprenderete questo mio pensiero».
Tale era la sua sincera riflessione e la sua forte convinzione. Le azioni perseveranti rendono possibile l’impossibile.

[11] La sera del 26 aprile, presso il Ronghu Lake Hotel dove la delegazione alloggiava, Shin’ichi tenne un colloquio con Li Luo Gong, direttore della Guilin Lijiang Art Academy e professore al Guangxi Arts Institute.
Autore di opere calligrafiche e di dipinti, nonché incisore di chiara fama, aveva studiato anche in Giappone.
Conversarono vivacemente a proposito di calligrafie, di dipinti e altre opere artistiche, e un’affermazione in particolare di Li Luo Gong toccò profondamente il cuore di Shin’ichi: «Le calligrafie non sono semplici riproduzioni di caratteri. Nascono dai pensieri e dai sentimenti degli individui, e rivelano la loro visione del mondo e dell’universo, la loro personalità».
Trent’anni dopo, nell’aprile del 2010, il Guangxi Arts Institute conferì a Shin’ichi il titolo di professore onorario.
La mattina del 27 aprile la delegazione partì da Guilin e, passando da Guangzhou, giunse in serata a Shanghai, ultima tappa della visita. Il giorno seguente, la mattina del 28, Shin’ichi partecipò alla cerimonia di donazione di articoli sportivi da parte della Gakkai alla città di Shanghai, presso la palestra comunale, e nel pomeriggio visitò un istituto rieducativo nel distretto di Changning. Era un collegio che si prefissava lo scopo di riabilitare minorenni di sedici, diciassette anni che avevano compiuto atti illegali.
La delegazione, guidata dal direttore e da alcuni rappresentanti dell’istituto, fece il giro delle aule. Shin’ichi stringeva ininterrottamente le mani dei ragazzi soffermandosi a conversare con loro. I giovani possiedono per loro natura infinite capacità.
Desiderando che potessero vivere con forza tutta l’esistenza, a prescindere da ciò che poteva accadere, Shin’ichi infondeva in quelle strette di mano e in quelle parole una grande energia: «La vita è lunga. A volte ci scoraggiamo per poca cosa, ma non bisogna assolutamente perdere la speranza. Finché continueremo a sfidarci, la speranza non ci abbandonerà. Se invece ci lasciamo prendere dalla disperazione, se ci arrendiamo, è come se fossimo noi a spegnere la luce della speranza. In qualsiasi circostanza, non dovrete mai lasciarvi sconfiggere da voi stessi. Quando vincerete su voi stessi, vincerete su ogni cosa. In questa scuola, impegnatevi al massimo nello studio e riportate la vittoria per il bene della società, per vostro padre, per vostra madre e per voi stessi. Senza mai perdervi d’animo realizzate una grande crescita personale e venite assolutamente in Giappone! Dipende tutto dalla perseveranza. Non arrendetevi mai!».
Negli occhi di quei ragazzi che annuivano, Shin’ichi vide il bagliore della determinazione.

[12] Il pomeriggio del 28 aprile, il rettore Su Buqing della Fudan University andò a trovare Shin’ichi che era rientrato al Ronghu Lake Hotel dopo le visite della giornata. Shin’ichi si era recato presso la Fudan University nel 1975 e poi nel 1978 per donare dei libri all’ateneo, e Su Buqing era diventato un suo caro amico.
Il rettore era un noto matematico e il dialogo di quel giorno ebbe come temi centrali la matematica e l’educazione.
Shin’ichi domandò: «Esiste un modo chiaro e comprensibile di insegnare la matematica, che è considerata una materia così difficile?».
La risposta del rettore lo colpì in modo particolare: «In ogni cosa esiste un processo che va dal superficiale al profondo, dal piccolo al grande, dal facile al difficile. Insegnare in modo chiaro è possibile quando si aiuta l’allievo ad apprendere senza sforzi esagerati, illustrando ogni fase con accuratezza».
Il rettore proseguì con convinzione: «In altre parole, è importante che l’allievo apprenda con serietà e costanza, senza trascurare il minimo passo, e che continui a progredire mirando al conseguimento del suo massimo obiettivo personale. Prima di poterlo raggiungere ci saranno momenti in cui penserà di non farcela. Ma proprio quelli sono momenti decisivi, e se riuscirà ad avanzare con pazienza e perseveranza, la sua mente si aprirà e a un certo punto giungerà a una comprensione tale che può essere forse paragonata all’Illuminazione».
Quando avanziamo perseguendo uno scopo, inevitabilmente incontriamo dei muri. Si tratta di momenti cruciali in cui siamo chiamati a lottare con noi stessi.
Se sconfiggiamo la debolezza che si annida nel nostro cuore portandoci alla rassegnazione e alla ricerca di compromessi, e se continuiamo ad andare sempre avanti, si apriranno nuovi scenari.
I vincitori sono coloro che sanno dominare il proprio io.
In seguito Shin’ichi e Su Buqing continuarono a incontrarsi e il loro dialogo si sviluppò in sei occasioni. Nel giugno del 1987, in segno di amicizia e lealtà, Shin’ichi offrì a Su Buqing, divenuto rettore onorario della Fudan University, la poesia Il grande fiume della pace che contiene i seguenti versi:

Anche un grande fiume nasce
da una goccia d’acqua.
Per creare un fiume Yangtze della pace, dobbiamo avanzare insieme consapevoli
di essere quella singola goccia.

[13] Dopo l’incontro con Su Buqing, il 28 sera, Shin’ichi ricevette una visita dello scrittore Ba Jin. Rinomato a livello internazionale per opere quali Famiglia e Gelide notti, era una delle figure più rappresentative del mondo letterario cinese, oltre a essere vicepresidente dell’Associazione degli scrittori cinesi.
Era il secondo colloquio che Shin’ichi teneva con lui.
Il 5 aprile, prima di quella visita in Cina, Shin’ichi aveva avuto un primo incontro con Ba Jin al Training center di Shizuoka, quando era arrivato in Giappone alla guida di una delegazione di scrittori cinesi. In qualità di vice-capo delegazione, aveva partecipato anche Xie Bing-xin, presidentessa onoraria dell’Associazione degli scrittori cinesi, considerata la madre della letteratura contemporanea in Cina.
I tre avevano avuto un vivace scambio di opinioni sul ruolo della letteratura, sulla situazione del mondo letterario giapponese e su autori famosi quali Murasaki Shikibu e Natsume Soseki.
Alla conferenza organizzata dal quotidiano Seikyo sei giorni dopo quell’incontro, Ba Jin dichiarò esplicitamente: «Ho sempre scritto per lottare contro i nemici».
Pensando alle persone accecate dall’etica feudale che oscurava la Cina prima della rivoluzione, che non conosceva la gioventù e viveva imprigionata nella sofferenza, Ba Jin scriveva parole infuocate, con l’ardente desiderio di aprire loro gli occhi e mostrare la realtà.
«Chi sono i miei nemici? Qualunque vecchia concezione tradizionale, tutti i sistemi irrazionali che impediscono il progresso sociale e l’evoluzione della natura umana, tutto ciò che distrugge l’amore», spiegò Ba Jin.
Aveva settantacinque anni, ma in lui ferveva lo spirito del guerriero che lotta contro i nemici del popolo.
Shin’ichi disse: «Ammiro molto il suo carattere giovanile. Un grave problema del Giappone di oggi riguarda i giovani, che dovrebbero essere i portabandiera, i protagonisti di ogni trasformazione dell’epoca, e invece stanno diventando apatici, cadono nella rassegnazione e nella fuga dalla realtà. In questo la letteratura ha una grande responsabilità. Mi rincresce molto che siano diventati così pochi gli autori e le opere letterarie capaci di trasmettere ai giovani solide convinzioni e una grande speranza, le opere sorrette da una filosofia che ispiri degli ideali eterni nella vita. In ogni epoca sono sempre stati i giovani, le forze nuove a cambiare la società. I giovani hanno la missione di creare il futuro e sono dotati della capacità di farlo realmente. Non dovranno per nessuna ragione rassegnarsi, perché ciò significherebbe abbandonare, dimenticarsi del futuro».

[14] Durante i colloqui svoltisi in Giappone prima della sua visita in Cina, Shin’ichi aveva promesso ai membri dell’Associazione degli scrittori cinesi, tra cui Ba Jin, che nella successiva occasione avrebbero discusso insieme del rapporto fra letteratura, rivoluzione, politica e pace.
In seguito, in occasione della sua quinta visita in Cina, Shin’ichi ebbe modo di incontrare nuovamente Su Buqing il 24 aprile, durante il ricevimento da lui stesso offerto a Pechino per ricambiare l’accoglienza delle autorità cinesi.
Il secondo incontro con Ba Jin ebbe luogo a Shanghai.
Shin’ichi chiese a Ba Jin la sua opinione sul rapporto fra politica e letteratura e questi, senza esitazione, rispose: «Non è possibile separare l’ambito della politica da quello della letteratura. Ma la politica non potrà mai prendere il posto della letteratura. Infatti, mentre la letteratura è in grado di formare l’animo umano, alla politica ciò è precluso».
Il discorso cadde poi sulla grande rivoluzione culturale. Durante questo periodo Ba Jin, additato come dissidente antirivoluzionario, fu messo al bando dal mondo artistico e letterario cinese. Vennero affissi migliaia di dazibao (giornali scritti a mano affissi ai muri, n.d.t.) ed egli venne insultato e accusato di essere un traditore della patria. Ba Jin rifletté sulla difficile situazione che stava vivendo, fece un’attenta autoanalisi e ribadì con forza l’importanza di individuare e comprendere bene cosa stesse avvenendo. Anche nel suo discorso alla conferenza culturale del giornale Seikyo, dichiarò: «Io devo scrivere. Devo continuare a scrivere. Per farlo devo diventare una persona migliore, più pura, che possa essere di utilità agli altri. La mia vita è quasi giunta al termine. Ma non posso lasciare questo mondo senza aver compiuto il mio dovere. Devo scrivere. Non posso smettere di farlo. Anche quando la penna che alimenta la fiamma del mio cuore avrà consumato questo mio corpo trasformandolo in cenere, il mio amore e il mio odio rimarranno in questo mondo senza estinguersi».
Non è possibile ignorare le ingiustizie verificatesi in determinati periodi della storia. È necessario invece analizzarne attentamente le cause e la sostanza per dare il via alla sfida per il bene del futuro.
Durante il colloquio, Ba Jin disse: «Ho appena iniziato a scrivere un romanzo che ha come tema la grande rivoluzione culturale, e ho intenzione di procedere con calma concedendomi tutto il tempo necessario».
Le persone che lottano in nome della giustizia sono in grado di costruire un’epoca.

[15] Con un primo incontro si diventa conoscenti, continuando a dialogare si diventa amici e alla fine, dimostrando sincerità fino in fondo ed entrando in sintonia, si diventa “amici del cuore”.
Shin’ichi e Ba Jin continuarono negli anni ad approfondire i loro scambi e riuscirono a stringere una relazione di profonda fiducia e amicizia.
Ba Jin divenne in seguito presidente dell’Associazione degli scrittori cinesi e, a novembre del 2003, sia l’Associazione che la Fondazione per la promozione della letteratura cinese conferirono a Shin’ichi il premio internazionale per i suoi meriti nello sviluppo di una reciproca comprensione e amicizia fra i due popoli.
Ba Jin si spense due anni dopo, nel 2005, all’età di cento anni.
Su Buqing si spense nel 1999, a novantotto anni. Due anni prima, nel 1997, su proposta del Centro studi Buqing, di cui Ba Jin era presidente, venne istituito presso la città di Changle, nella provincia di Fujian, il Museo letterario Buqing finalizzato alla divulgazione dei meriti dello scrittore.
A settembre del 2004, lo stesso museo conferì a Shin’ichi il titolo di direttore onorario e alla moglie Mineko quello di “ambasciatrice di amore e di rispetto”. In quell’occasione Shin’ichi, insieme a Mineko, per rispondere alla cortesia dimostrata nei loro confronti, rinnovò il giuramento di dedicare le sue forze alla promozione di scambi culturali, artistici e di amicizia fra Cina e Giappone.
Il 29 aprile era previsto il ritorno in Giappone della quinta delegazione della Soka Gakkai in Cina. Alla richiesta del direttore generale dell’hotel Jin Jiang, dove Shin’ichi alloggiava, di firmare il libro d’onore degli ospiti, egli scrisse la seguente dedica: «Ponte dorato di amicizia. In occasione della quinta visita in Cina. Nel segno del Gosho Su rimproverare Hachiman». Nichiren Daishonin afferma infatti in questo Gosho, con profonda convinzione: «La luna si muove da ovest verso est, un segno di come il Buddismo dell’India si diffuse verso oriente. Il sole sorge a est, un segno propizio di come il Buddismo del Giappone è destinato a ritornare nel Paese della Luna» (RSND, 2, 882).
È la previsione del Budda del ritorno del Buddismo verso occidente. Costruire la felicità delle persone illuminando l’Asia e il mondo intero con la luce dell’umanesimo del Buddismo di Nichiren Daishonin è la missione affidata ai discepoli successori. Per realizzare questa profezia del Budda, Shin’ichi proseguiva il suo cammino di pace infondendo tutto se stesso in questa opera.
La nostra missione come buddisti che mirano ad adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese risiede proprio nel creare prosperità all’interno della società, e costruire un’eterna pace mondiale consolidando nel cuore delle singole persone i princìpi del rispetto della dignità della vita e della compassione.

[16] Una nuova lotta verso il nuovo secolo era iniziata. All’una e quaranta del 29 aprile, la delegazione guidata da Shin’ichi partì dall’aeroporto di Shanghai per il viaggio di ritorno.
Shin’ichi era diretto verso Nagasaki, nell’isola di Kyushu. Per aprire una nuova strada di kosen-rufu aveva preso la ferma risoluzione che quello era il momento di intraprendere una nuova lotta per spezzare la catena di complotti e intrighi escogitati dai preti della Nichiren Shoshu e da coloro che si erano allontanati dall’organizzazione e ne avevano tradito lo spirito, allo scopo di separare il maestro e i discepoli della Gakkai.
Sulla via del ritorno dalla Cina decise inoltre di partecipare alle recitazioni commemorative e alle varie riunioni che si sarebbero tenute a Nagasaki, Fukuoka, Osaka, Nagoya e in altre città, e di incoraggiare i membri con tutte le sue energie. Sapeva bene che in quel modo avrebbe “messo in moto” le funzioni demoniache che mirano alla distruzione di kosen-rufu, ma aveva determinato nel profondo del cuore che a prescindere da ciò che sarebbe potuto accadere, doveva a ogni costo proteggere i membri che soffrivano a causa delle persecuzioni da parte del dispotico potere del clero.
Quel giorno sopra l’aeroporto di Nagasaki era apparso uno splendido arcobaleno. Shin’ichi e i componenti della delegazione atterrarono alle quattro e mezza del pomeriggio del 29 aprile. Egli sostò sulla scaletta d’imbarco. Sul terrazzo dell’aeroporto una moltitudine di membri era andata ad accogliere la delegazione e salutava agitando le mani e mostrando uno striscione con la scritta “Congratulazioni per il pieno successo della quinta visita in Cina della Soka Gakkai”.
Shin’ichi rispose al saluto agitando le mani verso i membri. Da quell’istante iniziò la sua opera di incoraggiamento.
I volti delle persone traboccavano di gioia.
Tsuguya Umemori, responsabile della prefettura di Nagasaki, mostrava uno splendido sorriso, ma quando Shin’ichi gli strinse la mano, per la grande emozione i suoi occhi si velarono di lacrime. La città di Omura, dove era situato l’aeroporto di Nagasaki, era una zona in cui i preti infliggevano pesanti maltrattamenti ai membri che avevano continuato ad attendere quel giorno trattenendo lacrime di rabbia e umiliazione.
«Il vostro maestro è arrivato! Non avete più nulla da temere o preoccuparvi!». Una rappresentante delle giovani donne porse a Shin’ichi un mazzo di fiori dicendo: «Bentornato maestro!».
«Grazie! Bene, ora è il momento di ripartire. Inizia la grande spedizione verso kosen-rufu. Apriamo dunque le porte al futuro!».
Finché c’è progresso ci sarà sempre un domani pieno di speranza.
Finché arde lo spirito di sfidarsi, il futuro sarà illuminato da un sole radioso.

[17] Dall’aeroporto di Nagasaki, Shin’ichi si diresse verso l’omonimo Centro culturale. Erano passati dodici anni dalla sua ultima visita nella città.
Appena seppe dal responsabile di prefettura, Tsuguya Umemori, che nel Centro si teneva la riunione dei responsabili per celebrare il ventiduesimo anniversario della fondazione del capitolo di Nagasaki, andò subito nella sala della riunione, accolto da un fragoroso applauso.
«È da tanto che non ci vediamo! Gridiamo allora tutti insieme “evvivaper festeggiare la vittoria di Nagasaki, che è riuscita a superare una terribile tempesta!».
Guidati da Tsuguya Umemori, per tutta la sala risuonò il grido “Viva la Soka Gakkai di Nagasaki!”. Shin’ichi informò i presenti che li avrebbe lasciati entro breve poiché doveva partecipare a una conferenza stampa sulla visita in Cina, prevista in un albergo della città.
«Come possiamo fare per vincere nella vita e diventare felici? Sia la condizione vitale di Buddità sia lo stato di inferno esistono nel nostro cuore. Facendo emergere la Buddità possiamo costruire una felicità indistruttibile. Per renderlo possibile, è necessario rivolgere il nostro ichinen, il nostro unico pensiero a kosen-rufu, recitare Daimoku e sforzarci al massimo nella pratica buddista promettendo di realizzare la felicità nostra e degli altri. Nichiren Daishonin afferma: “Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri”, e ancora: “Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o un solo verso” (RSND, 1, 342). Impegnandoci fino in fondo per la causa di kosen-rufu e dedicando la nostra vita alla propagazione della Legge mistica e alle attività di shakubuku, faremo emergere nella nostra vita la grande condizione vitale del Budda e potremo trasformare qualsiasi sofferenza in un’immensa gioia. Nell’isola di Sado, dove il Daishonin dovette sopportare le dure condizioni dell’esilio, egli dichiarò: “Pur essendo esuli, abbiamo motivo di rallegrarci nel corpo e nello spirito!” (Ibidem, 274). Benché la Gakkai abbia raggiunto un numero di membri pari a diversi milioni, a dieci milioni di nuclei familiari, attualmente sul nostro pianeta vivono più di quattro miliardi di persone. Ciò significa che c’è un solo membro della Gakkai rispetto a centinaia di persone. Riflettendo in questo modo, non è evidente che l’opera di kosen-rufu mondiale sia appena iniziata?
Finalmente il nostro movimento si svilupperà da ora in avanti. La nostra vera lotta inizierà nel ventunesimo secolo. Mi raccomando, vivete a lungo. E dedichiamoci insieme, per tutta la vita, alla causa di kosen-rufu!». Nella sala risuonò un applauso vigoroso, che esprimeva la gioia e le promesse dei membri.

[18] Dal Centro culturale di Nagasaki, Shin’ichi in gran fretta si diresse verso un albergo della città dove si sarebbe tenuta una conferenza stampa dei rappresentanti dei maggiori organi di stampa. Nel corso della conferenza rispose a varie domande sullo stato attuale della Cina e sulle sue impressioni durante la quinta visita della Soka Gakkai nel Paese. In seguito Shin’ichi partecipò a una cena conviviale con i membri della delegazione che ne ufficializzava lo scioglimento, e in quell’occasione ringraziò tutti per gli sforzi profusi in Cina.
Rievocando i momenti trascorsi insieme, egli disse: «Credo che grazie a questa visita in Cina abbiamo potuto dare inizio a un movimento per la pace mondiale nella nuova epoca, e che i prossimi vent’anni, dopo i quali accoglieremo il ventunesimo secolo, rappresentino un periodo estremamente importante per la promozione degli scambi di amicizia a livello privato e degli scambi culturali ed educativi, nonché per la creazione di una corrente di pace che unisca i vari paesi del mondo.
Nel frattempo, la Cina realizzerà uno sviluppo considerevole, e il mondo subirà bruschi cambiamenti ed enormi sconvolgimenti. Per tali motivi si dovrà diffondere ampiamente nel mondo il pensiero pacifista e la filosofia umanistica del Buddismo. Rivestirà inoltre una grande importanza il movimento per la promozione dello studio, al fine di approfondire la filosofia del Daishonin e diffondere nella società e nel mondo il principio del rispetto della dignità della vita. Per costruire la pace nel ventunesimo secolo, ora siamo entrati in una fase in cui, sotto tutti i punti di vista, non abbiamo un solo istante da perdere».
Alla fine della conversazione con i membri della delegazione, un giornalista del quotidiano Seikyo che aveva accompagnato Shin’ichi disse: «Oltre alla notizia del suo ritorno dalla Cina, vorrei scrivere un articolo sulla sua partecipazione alla riunione dei responsabili presso il Centro culturale di Nagasaki per il ventiduesimo anniversario della fondazione del capitolo di Nagasaki».
«Per me va bene. Non c’è alcun bisogno di nascondere la realtà. Se si recide il legame fra maestro e discepolo Soka, se si perde questo spirito di non dualità, kosen-rufu non si potrà realizzare. Inizierò dunque a lottare insieme ai miei compagni. Pubblicheremo anche i miei programmi dei prossimi giorni. Che abbia inizio la nostra controffensiva, la nostra battaglia!».
Il giorno successivo, il 30 aprile, in prima pagina sul quotidiano Seikyo, insieme alla notizia sul rientro in Giappone di Shin’ichi, sulla conferenza stampa e sulla sua partecipazione alla riunione commemorativa dei responsabili, si precisava: «Dopo Nagasaki, il presidente onorario prevede di recarsi a Fukuoka e nelle regioni del Kansai e del Chubu per dare guide e incoraggiare i membri».
Questa frase non passò inosservata agli occhi dei lettori. Un’intensa ondata di gioia percorse tutto l’arcipelago giapponese.

[19] Il 30 aprile, verso l’una, Shin’ichi aveva previsto di partire da Nagasaki per Fukuoka in treno. Ma prima c’era un posto dove voleva assolutamente andare. Era la casa di Kikumaru Obayashi, segretario generale di prefettura del Gruppo uomini, che si trovava nel quartiere di Inasamachi. Nel marzo del 1973, quando si era svolta la prima riunione generale dei giovani del Kyushu nella città di Kita-Kyushu, Shin’ichi aveva promesso a Kikumaru, allora responsabile dei giovani uomini dell’area di Nagasaki: «Quando verrò a Nagasaki, passerò sicuramente a trovarti».
Quando venne a conoscenza di quella conversazione, Shizuyo, la madre di Kikumaru, disse con fermezza: «Solo la fede del discepolo potrà realizzare una cosa simile. Sforziamoci insieme nella preghiera!».
Da allora tutta la famiglia aveva iniziato a recitare Daimoku con grande impegno e sincerità. Shizuyo era una delle pioniere del movimento di kosen-rufu a Nagasaki.
La casa della famiglia Obayashi si trovava su una collina da cui si poteva ammirare una splendida vista del porto di Nagasaki. La madre Shizuyo per prima, seguita dal fratello maggiore di Kikumaru e dal fratello minore, insieme alle rispettive mogli, andarono ad accogliere Shin’ichi. Tutti insieme scattarono una foto ricordo e poi fecero Gongyo.
Shizuyo aveva confezionato uno zabuton [cuscino di forma quadrata per sedersi sul tatami, n.d.t.] per poter accogliere sensei in qualsiasi momento. Ringraziandola profondamente di quel gesto gentile e sincero, Shin’ichi si intrattenne con la famiglia in una conversazione densa di significato riguardo alle sue dimissioni dagli incarichi di presidente della Gakkai e di sokoto avvenute nell’anno precedente.
Quando Shizuyo aveva sentito quella notizia in televisione, era andata su tutte le furie e con voce tremante di collera aveva gridato: «Ma che cosa inconcepibile! È sicuramente un complotto tramato da qualcuno. È veramente imperdonabile!».
L’atteggiamento di quella madre di non voler tollerare per nessun motivo tutto ciò che era irragionevole, così come l’ingratitudine e ogni funzione negativa che mirava a distruggere kosen-rufu, dimostrava la sua convinzione incrollabile. Aveva trascorso quell’anno doloroso nella convinzione che la giustizia avrebbe sicuramente trionfato, nonostante il comportamento autoritario di quei preti arroganti e vanagloriosi. Nessuna pressione esterna potrà mai inaridire la sorgente spirituale della Soka che sgorga in abbondanza nel cuore dei nostri compagni di fede.
«Grazie! I suoi figli hanno ereditato magnificamente il suo spirito. Lei ha vinto! D’ora in avanti io sarò libero di agire. E verrò ancora a Nagasaki!». Terminata la conversazione giunse una responsabile delle giovani donne che desiderava ricevere una guida da Shin’ichi, ed egli continuò a incoraggiarla sino a poco prima della partenza.

[20] Giunto alla stazione di Nagasaki, Shin’ichi trovò ad attenderlo una moltitudine di persone.
Facendo attenzione a non arrecare disturbo al personale della stazione e agli altri passeggeri, Shin’ichi rivolgeva loro parole di incoraggiamento: «Vi ringrazio. Sono perfettamente a conoscenza dei vostri sforzi. Diventate felici! Anzi, l’importante è avanzare sempre con la convinzione di riuscirci assolutamente. Non accadrà mai che i Bodhisatva della Terra che vivono fino in fondo in nome di kosen-rufu non diventino felici! Costruiamo insieme una nuova Soka Gakkai!».
Anche dopo essere salito sul treno, Shin’ichi continuava a inchinarsi salutando con la mano. Attraverso il finestrino proseguiva il suo dialogo cuore a cuore con i membri. Il treno su cui viaggiava, dopo aver lasciato Nagasaki si fermò alle stazioni di Isahaya, Hizenkashima, Hizenyamaguchi, Saga e Tosu. A ogni stazione vi erano membri della Gakkai accorsi per salutarlo. La sua visita a Fukuoka era stata annunciata sul giornale Seikyo ed era facile prevedere su quale treno sarebbe arrivato. Quando vedevano Shin’ichi lo accoglievano con grandi sorrisi salutando con le mani. Vi erano anche membri che sulla banchina lo osservavano da lontano, nascosti dietro un pilone. Era un modo per non arrecargli disturbo, consapevoli che il solo fatto di chiamarlo “maestro” avrebbe attirato le critiche del clero della Nichiren Shoshu.
Shin’ichi non poteva non provare un immenso affetto per quei membri. Sentiva il desiderio di scendere dal treno per incoraggiarli con tutto se stesso. Si rivolse ai responsabili che lo accompagnavano: «Sono i semplici compagni come loro che hanno costruito la Soka Gakkai, che nelle estati torride e nelle bufere di neve, pregando per la felicità dei propri amici e portando avanti i loro dialoghi, fanno avanzare kosen-rufu nella realtà concreta. Questo cammino è la forza motrice per compiere la trasformazione del karma della società, dell’intera nazione e dell’umanità. Ciascuno di questi nobili figli del Budda è apparso in questo mondo per realizzare la missione di “adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”. Io lotterò per loro! I responsabili devono mostrare il massimo rispetto per questi membri sinceri, devono riservare loro la massima cura e proteggerli incoraggiandoli». L’organizzazione, così come i responsabili, esiste esclusivamente per realizzare la felicità dei membri e dei compagni di fede.

[21] La sera del 30 aprile Shin’ichi giunse al Centro culturale del Kyushu (poi Centro culturale centrale di Fukuoka), situato presso la circoscrizione Hakata della città di Fukuoka.
Appena sceso dall’auto si diresse immediatamente verso i compagni di fede che si erano riuniti. Nonostante fossero arrivati fin lì, la maggior parte di loro era convinta di non riuscire a incontrarlo.
Per questo appena lo videro venire verso di loro dicendo: «Vi ringrazio! Voi tutti avete vinto!», esplose un’immensa gioia.
Vi erano uomini e donne anziane che stringevano la mano di Shin’ichi e non volevano più lasciarla. Una donna gli mostrò una rivista dicendo: «Ho finalmente aperto un ristorante, il grande sogno della mia vita! Il mio ristorante è apparso anche su una rivista. La prego di venire a mangiare da noi!». Rivolgendole un sorriso, Shin’ichi disse: «Verrò senz’altro a trovarla!». Questa è la famiglia Soka, dove non esistono barriere, dove è la fede a cementare i rapporti fra le persone.
Il giorno successivo, primo maggio, fin dal mattino una moltitudine di compagni si radunò presso il Centro culturale del Kyushu. Appena vedeva i membri, Shin’ichi li invitava con premura da una parte stringendo loro le mani per scattare una foto insieme.
Il numero delle persone cresceva continuamente. Il responsabile dei giovani uomini che coordinava le attività era preoccupato: «Di questo passo la situazione diverrà ingestibile, ma sopratutto c’è il rischio che sensei si stanchi oltre misura». Perciò fece sistemare i membri, nei limiti del possibile, in modo che non incontrassero Shin’ichi.
Appena lo venne a sapere, Shin’ichi gli disse in tono severo: «Nessuno ha il diritto di impedire ai membri venuti per incontrarmi di poterlo fare!».
In una situazione come quella, dove da quasi un anno non aveva avuto la possibilità di incontrare i membri come avrebbe voluto, quegli appuntamenti erano occasioni per incoraggiarli, preparate da tempo.
La determinazione di Shin’ichi era di incontrare e incoraggiare i compagni di fede con tutte le sue forze. Il responsabile dei giovani che non aveva compreso a fondo il cuore del maestro, si vergognò di se stesso.
Quel giorno Shin’ichi si recò nel ristorante della donna che lo aveva invitato. Cercava di incontrare più persone possibili, fino allo stremo delle forze.
Non voleva assolutamente lasciarsi sfuggire il momento opportuno per passare al contrattacco. «Oh leoni, alzatevi in piedi! Adesso è il momento. La partita abbia inizio!»: così gridava in cuor suo.

[22] Il pomeriggio del primo maggio, Shin’ichi si recò presso il Centro del Kyushu situato nella circoscrizione di Nishi, a Fukuoka.
La sera partecipò alla riunione dei responsabili di hombu della prefettura di Fukuoka, presso il Centro per la pace del Kyushu, nella circoscrizione di Hakata.
Con il desiderio di infondere nelle sue parole “lo spirito del re leone”, disse: «Non dovete per nessuna ragione ammainare il vessillo di kosen-rufu che avete innalzato nel vostro cuore!».
«Mai ammainare il vessillo della pratica di shakubuku!».
«Non dovete a nessun costo spegnere la fiamma della fede per “il conseguimento della Buddità nell’esistenza presente”!».
Egli ripeté con forza queste parole.
Alla riunione partecipavano anche dei rappresentanti della prefettura di Oita che avevano perseverato nella fede nonostante le terribili sofferenze inflitte loro dal clero. Il prete capo di un tempio della città di Beppu, nella prefettura di Oita, continuava a spargere calunnie e maldicenze, tra cui quella che la Gakkai stesse offendendo la Legge.
C’erano persone che, ingannate dalle sue parole, avevano abbandonato l’organizzazione e si erano messe a distribuire volantini offensivi nei confronti della Gakkai. Tuttavia i membri, anche in quelle circostanze, consolidarono ulteriormente la loro unità e continuarono imperturbabili ad affermare la verità del movimento Soka.
Shin’ichi fece una foto ricordo con i compagni di Oita nella sala all’ingresso del Centro per la pace. «Più ci sforziamo per superare le difficoltà, più la nostra fede si “lucida” e brilla facendo emergere tutto il suo splendore. Le vostre battaglie rimarranno eternamente scolpite nella storia di kosen-rufu».
«Maestro, venga a Oita, la prego!». Le loro voci si levarono in coro.
Gli occhi di quei compagni erano pieni di lacrime. Shin’ichi annuì profondamente.
Durante la sua permanenza i membri della Gakkai si erano ininterrottamente radunati nei vari Centri locali: il Centro culturale, il Centro per la pace e il Centro commemorativo del Kyushu.
Si era infatti diffusa la voce che avrebbero potuto incontrare sensei. C’erano persone che erano arrivate ai Centri culturali in taxi o in bicicletta. Alcuni erano balzati fuori con la tuta da ginnastica che indossavano in casa. In due giorni, prima di ripartire da Fukuoka, Shin’ichi incontrò più di ventimila compagni di fede.
Prima della partenza, il segretario generale del Gruppo uomini di Oita, Takeo Yamaoka, andò a incontrare Shin’ichi al Centro per la pace.
Dopo aver appreso che il prete capo del tempio di quella prefettura aveva incitato alcuni membri della Gakkai, che si erano distinti per i loro meriti, a lasciare l’organizzazione, si era presentato al tempio per protestare.
La discussione si era protratta fino a tarda notte, dopodiché Takeo Yamaoka era riuscito a raggiungere il Centro prendendo più di un treno. Quando ci si trova nel mezzo di una battaglia, offensiva e difensiva, la cosa più importante è agire rapidamente.

[23] Mentre era in treno diretto a Fukuoka, Takeo Yamaoka cercava di trattenere con tutte le forze la collera e l’indignazione che provava nei confronti dei preti della Nichiren Shoshu.
Durante il loro incontro, il prete capo aveva affermato: «Non siamo noi a dire ai membri della Gakkai di lasciare l’organizzazione per affiliarsi ai templi!». Ma in realtà, di nascosto, egli incitava in modo meschino i membri ad abbandonare la Gakkai. E a proposito di quei fatti si esprimeva in modo intenzionalmente ambiguo, mostrando la vera natura del clero.
Shin’ichi ascoltò il resoconto di Yamaoka nell’ufficio del custode del Centro per la pace del Kyushu.
«Si sarà sicuramente molto stancato», gli disse. E avvolgendolo con un sorriso che era come un abbraccio affettuoso, continuò: «Mi è capitato di discutere con dei preti per sei ore di seguito, quindi capisco molto bene ciò che mi sta dicendo. Bisogna assolutamente proteggere i figli del Budda, così nobili e preziosi, e aiutare con tutte le forze ognuno di loro a diventare felice. Per questo motivo io lotto disperatamente, anche a costo della vita: questa è la mia decisione, ed è lo spirito di un leader della Gakkai. La prego di proteggere in mia vece i miei discepoli, i figli del Budda. Conto su di lei».
Subito dopo, Shin’ichi partì dal Centro per la pace del Kyushu e si avviò in aereo verso il Kansai, la sua tappa successiva.
Takeo Yamaoka, seguito dai membri del Kyushu, uscì nel giardino del Centro e tutti sollevarono lo sguardo verso il cielo agitando le mani verso un aereo che stava passando promettendo nel profondo del cuore: «Maestro! Il Kyushu vincerà!». Soffiò una piacevole brezza. Ognuno di loro sentiva distintamente che in quel momento, dalla terra del Kyushu, avrebbe avuto origine una nuova corrente Soka.
Era il 3 maggio 1980. Nel febbraio di quell’anno la Gakkai aveva stabilito che il 3 maggio, giorno della nomina di Josei Toda a secondo presidente e di Shin’ichi a terzo presidente, sarebbe diventato il “giorno della Soka Gakkai”.
Shin’ichi salutò quel primo “giorno della Soka Gakkai” insieme ai suoi amati compagni del Kansai, presso il Centro culturale del Kansai, a Osaka.
Il Centro, che era stato completato cinque giorni prima, era una nuova fortezza della Legge mistica dalla facciata marrone chiaro, con quattro piani più un seminterrato, collocata nel cuore del grande Kansai.
Lo splendido cielo sereno di maggio sembrava simboleggiare il Kansai sempre vittorioso. Ancora una volta, stava per prendere avvio un nuovo progresso del movimento.

[24] Il 3 maggio, al Centro culturale del Kansai era stata programmata una cerimonia di Gongyo per celebrare il “giorno della Soka Gakkai”, il cui inizio era previsto all’una. Tuttavia numerosi membri pieni di entusiasmo avevano cominciato a radunarsi al Centro sin dal mattino affollandone i dintorni, sebbene la maggior parte di loro non avesse l’invito per entrare.
Era successo che i membri del Kansai che avevano amici o parenti tra i membri di Nagasaki e Fukuoka, si erano fatti raccontare per telefono gli incoraggiamenti di Shin’ichi. La voce si era sparsa in un batter d’occhio e tutti i membri erano arrivati al Centro con l’unico desiderio di incontrarlo.
I responsabili del Kansai e lo staff preposto all’organizzazione della cerimonia si consultarono subito per trovare una soluzione e accompagnarono i membri che non avevano l’invito in un altro spazio per la recitazione di Daimoku, al terzo piano di un edificio annesso al Centro culturale.
Shin’ichi partì dal Makiguchi Memorial Hall del Kansai, situato nella città di Toyonaka, in provincia di Osaka, e arrivò al Centro culturale del Kansai alle undici di mattina. Andò subito a ringraziare i membri degli staff per tutti i loro sforzi incontrandoli uno dopo l’altro all’interno dell’edificio.
Intanto i membri affluivano ininterrottamente al Centro, spinti dal loro ardente spirito di ricerca. Per garantire la sicurezza durante lo svolgimento della cerimonia era stato chiuso un cancello davanti all’edificio annesso. Dopo un po’ Shin’ichi uscì dall’edificio e fu accolto da potenti grida di gioia. Vedendo tutte quelle persone che aspettavano fuori, Shin’ichi disse ad alcuni giovani che facevano parte degli staff: «Aprite le porte e fateli entrare».
«Ma dentro non c’è più posto».
«Li incoraggerò qui in cortile. Sono loro le persone più importanti!».
Appena il cancello si aprì le persone che erano lì ad aspettare affluirono nel cortile esultando di gioia. Era una gioia così prorompente che si trasmise persino a dei passanti che andarono a vedere cosa accadesse in quel cortile.
Shin’ichi stringeva la mano a tutti dicendo: «Benvenuti! Sono felice di vedervi», e scattò una serie interminabile di foto ricordo insieme ai membri.
«Scrivete i vostri nomi e indirizzi in modo che possiamo spedirvi le foto!».
Gli staff erano ormai sommersi dalle istruzioni. Shin’ichi fece scattare delle foto ricordo anche con i membri degli staff, tra cui i sokahan e i gajokai.
Il suo cuore traboccava di una forza spirituale che ardeva come una fiamma: «Come potrei non incoraggiare tutti questi compagni?», si diceva. Quell’ardente determinazione non era altro che lo “spirito Soka”.

[25] Shin’ichi si avviò verso la scala di sicurezza che si trovava fuori dell’edificio annesso. Un giovane di uno staff gli disse: «Nella seconda sala riunioni, la “sala della vittoria perenne” dell’edificio annesso, si possono ascoltare i discorsi trasmessi dalla sala principale».
«Prima di tutto andrò a incoraggiare i membri che si trovano nell’edificio annesso», disse Shin’ichi, e cominciò a salire la scala seguito da Mineko.
Da quella scala, per poter entrare nella sala bisognava aprire con la chiave una porta dall’interno dell’edificio. Il giovane affrettandosi prese un’altra strada per entrare nella sala, si fece largo tra la folla e aprì la porta.
I partecipanti lo osservavano chiedendosi che cosa potesse mai accadere. Dopodiché, con un sonoro cigolio la porta si aprì e apparve Shin’ichi.
«Salve! State tutti bene?». Alzando una mano per richiamare l’attenzione, prese il microfono. La sala traboccante di entusiasmo diventava sempre più rumorosa. Era il momento che i membri tanto aspettavano.
Tutti fissavano Shin’ichi con il volto illuminato dalla gioia. Alcuni avevano gli occhi pieni di lacrime.
«Vi ringrazio per essere accorsi appositamente per incontrarmi. Il legame spirituale che esiste tra me e voi non potrà essere spezzato da nessun potere autoritario!».
Quelle parole furono subito seguite da grida gioiose e fragorosi applausi che fecero tremare la sala.
«Chi sta sostenendo la Gakkai? Più di coloro che sono alla ribalta dell’organizzazione, sono le persone che si sforzano in silenzio, senza essere viste dagli altri. Sono loro i Budda, gli autentici vincitori. Senza alcun dubbio, siete tutti voi. È grazie a voi che esiste la Gakkai, è grazie a voi che kosen-rufu sarà realizzato».
Shin’ichi nutriva un profondo affetto per quei compagni di fede che con gli occhi gonfi annuivano con ampi cenni della testa a ogni sua parola.
Si rivolse loro con enfasi: «Tutti voi, pieni di speranza, state facendo ogni sforzo possibile per propagare la Legge mistica e introdurre i vostri amici al Buddismo del Daishonin, lottando ogni giorno contro ogni genere di sofferenza e difficoltà. In tale comportamento si può scorgere l’inconfondibile splendore umano, lo splendore dei Bodhisattva della Terra. Avanziamo insieme rinnovando ancora una volta la nostra determinazione!». Risuonarono voci risolute che gridavano: «Sì!».
Quando Shin’chi uscì dall’edificio, trovò una folla ancor più grande di membri, e insieme a loro scattò tante foto ricordo. Continuò a incoraggiarli con tutto se stesso, con il desiderio di realizzare il mandato del Budda.

[26] Presso il Centro culturale del Kansai era già iniziata la cerimonia di Gongyo a cui partecipava anche il presidente Kiyoshi Jujo.
Shin’ichi si diresse verso la sala al terzo piano del Centro ed entrò verso la fine della cerimonia. Tutti lo aspettavano con una trepidazione tale che al suo arrivo un’immensa gioia esplose per tutta la sala. Prese il microfono e disse: «Congratulazioni di cuore per questa riunione che celebra, in questo maggio radioso, il giorno della Soka Gakkai e l’inaugurazione del nuovo Centro culturale del Kansai. Vi porgo le mie più sincere felicitazioni! La Legge mistica è eterna e imperitura; di conseguenza, anche noi che abbracciamo questa Legge vivremo un’esistenza eterna. Dalla prospettiva dell’eternità della vita, questa esistenza rappresenta una pietra miliare nel lungo viaggio della missione di kosen-rufu. Il cammino di kosen-rufu è una lotta contro le funzioni demoniache. Anche il Gosho ci insegna l’importanza di avanzare fino in fondo lungo la strada maestra della fede, senza lasciarci sviare dagli otto venti: prosperità, declino, onore, disonore, lode, biasimo, sofferenza e piacere. Essi rappresentano le funzioni che fanno deviare il cuore delle persone e le allontanano dalla fede. Solo attraverso una rivoluzione umana che guidi il nostro cuore è possibile consolidare la nostra felicità e far avanzare kosen-rufu. Vinciamo superando gli otto venti e, coltivando una fede pura, diamo inizio a una nuova partenza di speranza verso il ventunesimo secolo. Vi prego di far sì che il grande Kansai possa diventare un modello per tutto il Giappone e per il mondo intero, un eterno precursore di kosen-rufu. Sono determinato a scrivere per tutta la vita, insieme a voi, amici del Kansai, nuove pagine nella storia del “Josho Kansai” e nuove pagine nelle nostre vite. Desidero infine rivolgere tre “urrà” al Kansai e concludere il mio saluto esprimendo profonda gratitudine per la sincerità che avete dimostrato».
Subito dopo, il coro intonò la canzone del Kansai Il cielo del Josho Kansai che iniziava con il verso “Nuovamente le schiere…”. L’inno di vittoria si levò nel cielo del “Josho Kansai”. In quella occasione il maestro e i discepoli Soka, opponendosi all’autoritarismo del clero della Nichiren Shoshu, si alzarono in piedi solennemente e innalzarono il vessillo dell’umanesimo buddista.
Era il segnale di una grande riforma religiosa che nasceva dalla gente comune.

[27] Dopo la cerimonia di Gongyo, Shin’ichi si diresse verso un’altra sala all’interno del Centro culturale e incoraggiò i compagni lì riuniti.
Partecipò inoltre alla cerimonia che si tenne verso sera, dopo le cinque, e incoraggiò i compagni suonando dei brani al pianoforte. In ogni occasione scattava foto ricordo insieme ai membri e continuava a stringere le loro mani con vigore, al punto che le sue mani diventarono rosse per il gonfiore. Ciononostante egli si tuffava con entusiasmo tra i membri. Fece anche un salto presso la sede del giornale Seikyo del Kansai e dopo aver incoraggiato i giornalisti con tutte le forze, si diresse verso il Makiguchi Memorial Hall del Kansai.
Quella sera Shin’ichi sentiva vibrare forte nel cuore il gong che segnava una nuova, grande partenza, così prese in mano il pennello e infondendovi tutto se stesso, scrisse con vigore le parole “3 maggio”. A fianco elencò le ricorrenze importanti legate a questo giorno: “3 maggio 1951, 3 maggio 1960, 3 maggio 1979, 3 maggio 1983 e 3 maggio 2001”.
Il 3 maggio 1951 Josei Toda divenne secondo presidente, e lo stesso giorno del 1960 Shin’ichi Yamamoto divenne terzo presidente della Soka Gakkai. Il 3 maggio 1979 si tenne la riunione dei responsabili di Centro, subito dopo le sue dimissioni da presidente della Soka Gakkai.
Il 3 maggio del 1983 sarebbero trascorsi trentadue anni dalla nomina di Toda a presidente. E infine impresse il suo ferreo giuramento per il 3 maggio 2001 scrivendo: «Darò vita assolutamente a un nuovo corso nel grande sviluppo della Soka Gakkai ponendomi come obiettivo questo giorno».
A queste date aggiunse infine: “3 maggio 1979. Questo giorno rappresenta il punto di partenza della nostra Soka Gakkai. Fresco è il mio cuore. Con le mani giunte in segno di preghiera”.
Era trascorso un anno dalle sue dimissioni da presidente.
Le trame di perfidi e astuti traditori coalizzati con il clero della Nichiren Shoshu, che puntava a distruggere la Soka Gakkai e a schiavizzare i suoi membri, divenivano chiare ogni giorno di più. Si trattava del demone del sesto cielo che cercava di ostacolare la pratica del Budda e il progresso di kosen-rufu, proprio come descritto nel Gosho.
Shin’ichi si alzò in piedi risoluto, verso una nuova sfida vittoriosa partendo proprio dalla terra del Josho Kansai.

[28] Nella mattinata del 4 maggio Shin’ichi partecipò a una cerimonia di Gongyo della prefettura di Tottori che si teneva al Toda Memorial Hall del Kansai, situato nella città di Toyonaka, in provincia di Osaka.
Erano tutti compagni di fede espressamente giunti dalla lontana prefettura di Tottori.
Egli accorse al luogo della cerimonia con il desiderio di sostenerli e incoraggiarli con tutte le sue forze. Erano passati circa due anni dall’ultima volta che aveva partecipato a una riunione dei compagni di Tottori, nel luglio del 1978, quando si era recato a Yonago.
I visi di tutti i compagni erano illuminati dalla gioia e dallo spirito di ricerca.
Il capitolo di Tottori era nato il 3 maggio del 1960, il giorno in cui Shin’ichi era divenuto presidente della Gakkai, e quella cerimonia commemorava il ventesimo anniversario della fondazione.
A quei compagni che avevano sempre continuato a lottare insieme a lui, offrì parole che lasciavano trasparire tante emozioni: «Grazie di cuore per essere venuti da così lontano. La vostra presenza luminosa, allegra e piena di vitalità, apre a un futuro di speranza. Questa splendida giornata di maggio dimostra come le divinità celesti si stiano congratulando con voi. Assaporate pienamente questo cielo sereno, l’immagine dell’invincibile Kansai. Tutti voi siete preziosi Bodhisattva della Terra. Lottando ogni giorno con le varie manifestazioni del karma e trionfando su di esse, voi dimostrate i grandi benefici del Buddismo e realizzate la missione di kosen-rufu. Tutte le sofferenze sono passi necessari per conseguire uno stato vitale di immensa felicità. In qualsiasi circostanza, avanzate serenamente sulla base della fede e costruite dei ricordi dorati, profondamente significativi. Nella vita di una persona possono verificarsi eventi di ogni tipo, ma coloro che osservandoli con lungimiranza si impegnano seriamente nella pratica buddista, riescono sempre a vincere e a brillare come esseri umani. Non c’è alcun bisogno di mostrarsi migliori di ciò che si è, va benissimo così come siete, ma continuate ad avanzare sempre insieme alla Gakkai. Anche il Budda ha sofferenze e preoccupazioni, esse ci seguiranno ovunque. Ma “i desideri terreni sono l’illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo ci permette di trasformare le sofferenze in gioia e tutti voi, Bodhisattva della Terra, siete emersi per costruire la felicità vostra e degli altri in un mondo impuro, faticoso, irto di difficoltà. Per conseguire la felicità, vincete su voi stessi. Anche io reciterò Daimoku per voi».
Quella guida penetrò profondamente nel cuore dei membri. Nel momento in cui ci si risveglia alla missione di Bodhisattva della Terra, emergono il coraggio e una traboccante forza vitale.

[29] Il 4 maggio era in programma la riunione dei responsabili di capitolo di Osaka per celebrare l’inaugurazione del Centro culturale del Kansai, che si sarebbe replicata quattro volte, dato il numero dei partecipanti.
Fermamente intenzionato a dare il via a una nuova partenza insieme ai preziosi responsabili uomini e donne di capitolo, Shin’ichi partecipò alle quattro riunioni infondendo nelle sue guide tutto se stesso: «Vi prego di avere sempre cura innanzitutto della vostra salute, e di assumervi la guida di kosen-rufu nella vostra zona con fresco entusiasmo. Se tutti voi state bene, anche i membri del capitolo staranno bene. Diventate leader ammirati da tutti per la traboccante forza vitale! Quali che siano i beni, la posizione sociale o i riconoscimenti che una persona può conquistare, non si può dire di essere felici se la propria vita è attanagliata da un senso di vuoto. Quando invece ci impegniamo con serietà nella fede, quando prendiamo parte agli zadanzai, il nostro corpo e il nostro cuore si sentono più leggeri e possiamo sentire le nostre vite pienamente soddisfatte. Solo in ciò si trova il supremo appagamento, la vera felicità. Nel condurre le vostre attività, vi saranno momenti in cui vi domanderete: «Perché devo subire parole del genere?», ma alla luce delle scritture buddiste e del Gosho, è naturale andare incontro a questi ostacoli, dal momento che siamo gli inviati del Budda apparsi nell’Ultimo giorno per propagare la Legge. Sommando i nostri sforzi per il bene di kosen-rufu, saremo in grado di trasformare il nostro karma in questa esistenza e aprire le nostre vite a un eterno stato vitale di felicità. Alla luce di ciò non possiamo forse considerare le difficoltà come la nostra gioia? Non bisogna mai permettere che la fiamma della fede per il conseguimento della Buddità in questa esistenza si spenga. Ricordate che la vittoria nella vita si trova solo nel continuare ad abbracciare la fede rimanendo per tutta la vita nelle fila di chi lotta per kosen-rufu, senza mai abbandonarle».
In ogni occasione Shin’ichi si impegnava con tutto se stesso nel dare guide. Fece anche delle foto con i nuovi membri del gruppo che rappresentava tredici università del Kansai. Inoltre suonò il pianoforte per incoraggiare i partecipanti e strinse le mani di tantissimi membri.
Quando terminò anche l’ultima sessione della riunione dei responsabili di capitolo, erano già passate le otto di sera. Proprio allora giunsero numerosi membri da Nara. Per loro venne subito organizzata una cerimonia di Gongyo.
Non risparmiarsi per il bene dei membri: questo era il cuore di Shin’ichi e ciò rappresenta lo spirito eterno e immutabile di un leader.

[30] Il 5 maggio era il giorno dei successori della Soka Gakkai.
Per celebrare questa ricorrenza, presso il Centro culturale del Kansai, a partire dalle 11 di mattina ebbe luogo la quinta cerimonia di Gongyo, in occasione della quale si riunirono i rappresentanti degli studenti delle scuole superiori, medie ed elementari.
L’anno precedente Shin’ichi aveva trascorso la giornata presso il Centro culturale di Kanagawa. Quel giorno avrebbe tanto desiderato partecipare alla riunione del Gruppo futuro per incoraggiarli con tutte le forze, ma le circostanze lo avevano impedito. Ora percepiva con chiarezza che il momento di farlo era arrivato. Shin’ichi desiderava ardentemente incontrare i membri del Gruppo futuro.
Era suo desiderio far crescere queste giovani promesse trasmettendo tutto il suo spirito, per poter affidare loro le sorti del ventunesimo secolo. Appena entrò in sala, i bambini e le bambine gli consegnarono in dono un elmetto di carta.
Durante la cerimonia Shin’ichi disse: «Voi siete i giovani arbusti che, piantando le radici nella grande terra, crescerete fino a diventare grandi alberi. I giovani arbusti hanno bisogno di sostegno e necessitano di acqua. Per farli crescere sono indispensabili molti sforzi.
Sappiate che vostro padre e vostra madre per farvi crescere si stanno impegnando, giorno dopo giorno, in modo inimmaginabile, nella dura realtà della vita quotidiana. Il requisito più importante per un essere umano è lo spirito di gratitudine. Vi saranno ovviamente momenti in cui fra genitori e figli sorgeranno divergenze di opinione, e potrete sentirvi arrabbiati nei loro confronti. Ma l’importante è considerare ciò che dicono come incoraggiamenti finalizzati alla vostra crescita. L’egoismo e l’indulgenza verso se stessi rovinano le persone, mentre la pazienza ci permette di migliorare. Questa esperienza diverrà un tesoro prezioso per il vostro futuro. L’età del Gruppo futuro è un periodo della vita in cui bisogna acquisire e consolidare le proprie fondamenta come individui. E per fare ciò è necessaria la pazienza. Vi prego di crescere come grandi alberi di kosen-rufu, studiando sodo, con perseveranza, senza dimenticare mai di crescere voi stessi nel mondo della fede».
Il filosofo giapponese Kitaro Nishida afferma: «In ogni cosa ciò che più conta sono la perseveranza e la pazienza. Non bisogna arrendersi perché qualcosa non è andato nel verso giusto una o due volte, ma piuttosto aguzzare l’ingegno sostenuti da uno spirito indomito. Anche gli antichi solevano dire che la virtù risiede nella pazienza».

[31] Nel pomeriggio del 5 maggio, Shin’ichi per prima cosa partecipò alla riunione dei responsabili di capitolo giovani uomini a Osaka, e lì diede questa guida: «Solo lottando fino in fondo con serietà e costanza è possibile far fiorire la propria vita. L’età giovanile è caratterizzata da problemi e conflitti. Non bisogna avere fretta. Vi prego quindi di impegnarvi nella fede e nelle attività della Soka Gakkai con costanza e tenacia, e di mostrare la prova concreta nella vita reale e nel vostro luogo di lavoro. È possibile che difficoltà di ogni genere si affaccino sul vostro cammino. Ma portando avanti con serietà e costanza questa pratica, con il tempo risolverete tutto. Recitare Daimoku con determinazione vi porterà ad accumulare buona fortuna e a crescere. Per quanto dura possa essere la realtà, non bisogna mai perdere la speranza. Vi prego di nutrire una profonda convinzione nel Gohonzon. Qualsiasi cosa accada, tutti voi avete la Legge mistica dalla vostra parte. Finché l’eterna e imperitura Legge sarà con voi, non accadrà mai che sarete sconfitti nella vita. Bisogna guardare le cose con lungimiranza. La maggior parte di voi all’inizio del ventunesimo secolo avrà una cinquantina d’anni. Sarete cioè nel pieno della vostra vita lavorativa. Per poter esprimere appieno e senza rimpianti le vostre potenzialità, non trascurate mai l’allenamento per sviluppare le salde e irremovibili radici della vostra vita».
In seguito Shin’ichi incoraggiò i membri provenienti dalle scuole femminili Soka, e alle quattro del pomeriggio partecipò alla riunione delle responsabili di capitolo giovani donne. Egli ribadì con convinzione: «Recitando Daimoku con costanza come l’acqua che scorre, giorno dopo giorno, vi prego di diventare persone che possano affermare con fierezza di essere le più felici del Giappone e del mondo intero. Qualunque situazione stiate vivendo, ricordate che coloro che portano avanti la fede fino in fondo, alla fine vinceranno sicuramente e saranno in grado di godere di una vita traboccante di buona fortuna. Posso affermarlo con assoluta certezza. Qualunque sia il karma che vi attanaglia, siate convinte che anche il solo fatto di recitare Daimoku rappresenta la felicità suprema. Fede significa non allontanarsi mai dal Gohonzon, qualunque cosa accada».
Verso sera Shin’ichi, durante la cena, conversò con alcuni rappresentanti del Kansai e sulla strada del ritorno fece un salto al Centro culturale di Naka, a Osaka. A qualsiasi riunione prendesse parte cercava sempre di trovare parole di incoraggiamento per tutti.
Il futuro è racchiuso qui, in questo preciso istante. La chiave di tutto è chiedersi non cosa devo fare domani, ma cosa posso fare qui, adesso, in questo momento.

[32] Shin’ichi fece ritorno al Centro culturale del Kansai e non appena saputo che si trovavano lì riuniti i membri del gruppo allestimento, chiamato “gruppo uomini di ferro”, decise immediatamente di andarli a trovare per incoraggiarli ripetutamente, con gioia ed entusiasmo. I membri del gruppo avevano fabbricato e fatto dono a Shin’ichi di una sedia affinché potesse servirsene. Egli desiderava ricambiare quel gesto sincero ed esprimere la sua gratitudine per l’estremo impegno da loro mostrato nel lavoro di allestimento svolto nell’ombra.
«Vi ringrazio – disse Shin’ichi. – Sono perfettamente a conoscenza di tutti i vostri sforzi. Ho avuto modo di utilizzare più volte la meravigliosa sedia che avete preparato per me con le vostre mani. Ho apprezzato tanto questa vostra premura, per cui provo la più profonda gratitudine. Il mondo della Soka è un meraviglioso, incontaminato e limpido universo unito dai cuori delle persone. Comprendo perfettamente quanto lodevole sia il vostro ichinen».
Udendo le parole di Shin’ichi, alcuni membri avevano le lacrime agli occhi. Il loro era un gesto disinteressato che non si aspettava alcuna ricompensa. Nasceva dalla fede pura e dal sincero ichinen dei discepoli che desideravano fare qualcosa per il loro maestro che stava guidando con tutte le forze il movimento di kosen-rufu nel mondo.
Ciò faceva del loro gesto qualcosa di bellissimo e nobile. Si sentivano appagati, perché Shin’ichi aveva compreso il loro spirito. Egli desiderava esprimere grande apprezzamento e gratitudine per quel sentimento genuino. Come afferma Nichiren Daishonin: «È il cuore che è importante» (RSND, 1, 889).
Nel mondo della fede il punto fondamentale è il cuore.
Shin’ichi partecipò poi alla cerimonia di Gongyo con i “compagni del Kansai”, un altro gruppo per la formazione di persone di valore.
In quell’occasione disse: «Le vere persone di valore sono coloro che, risvegliatesi alla missione di Bodhisattva della Terra, diffondono la Legge ampiamente e in profondità. Sono coloro su cui fanno affidamento sempre più persone, persone sagge che agiscono secondo ragione, capaci di convincere gli altri, persone in grado di far crescere le generazioni future. Infine sono persone dotate di buon senso, capaci di trasmettere agli altri serenità, speranza e fiducia in se stessi. Vi prego di crescere e allenarvi per diventare persone del genere».
Shin’ichi lanciò questo accorato appello.
L’ideogramma “incoraggiare” (hagemasu) è composto dai caratteri “illimitato” e “forza”.
Solo impegnandosi con tutte le forze nasce un incoraggiamento capace di scuotere lo spirito dei compagni di fede.

[33] Il 6 maggio si tennero le cerimonie di Gongyo per i responsabili delle guide nel Kansai, in tre sessioni, dal pomeriggio alla sera, presso l’omonimo Centro culturale. Anche quel giorno Shin’ichi prese parte a ciascuna di esse. Citando il Gosho che afferma: «Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 608), Shin’ichi diede la seguente guida al Gruppo donne: «La felicità si trova proprio qui, vicino a voi. Non esiste una vita libera dalle preoccupazioni: esse sono il “concime” della vita. “Armati” di Daimoku, facciamo di ogni circostanza un trampolino verso la felicità».
Ai membri del Gruppo uomini lanciò poi questo appello: «Il Daimoku vibra in tutto l’universo ed è la fonte di un eterno, supremo stato vitale. Vi prego di dare il via a una nuova partenza, basandovi sul Gohonzon e ponendo sempre il Daimoku prima di tutto».
Giorno dopo giorno i membri si riunivano sempre più numerosi presso il Centro culturale, provenienti da Osaka e da ogni zona del Kansai. Il loro numero cresceva sempre di più.
Shin’ichi disse ai responsabili: «Organizziamo più cerimonie di Gongyo. Non stanno forse accorrendo qui proprio per questo i nostri compagni? Io li incontrerò tutti».
Il giorno successivo, il 7 maggio, ebbe luogo una cerimonia di Gongyo che non era in programma, articolata in due sessioni, una di pomeriggio e una di sera.
La sera si tenne inoltre la riunione nazionale dei responsabili di prefettura. Shin’ichi prese parte anche a questo incontro, e disse ai partecipanti: «Quando i malvagi cercano di annientare la verità del Buddismo, i leader devono alzarsi risolutamente in piedi e lottare. Non bisogna accettare alcun compromesso. Se non fosse così, poveri membri! La giustizia deve sempre vincere. Solo vincendo potrà affermarsi come tale. Qualora il cammino di maestro e discepoli Soka dovesse interrompersi, il movimento di kosen-rufu finirebbe per scomparire. Io lotterò per proteggere la correttezza della Legge mistica e per aprire la strada maestra al cammino di kosen-rufu. Desidero quindi dare il via a un nuovo slancio in avanti nel cammino di maestro e discepolo, insieme ai coraggiosi eroi che vorranno lottare insieme a me. La relazione che unisce il maestro e i discepoli di kosen-rufu e della Soka è diversa dai legami o dai contratti basati su interessi. È diversa anche dai rapporti di apprendistato. È una fusione spirituale tra individui che di propria iniziativa hanno formulato il voto per tutta la vita. Questa è la ragione per cui si tratta del più puro, nobile e saldo dei legami umani».

[34] La mattina dell’8 maggio Shin’ichi partì dal Centro culturale del Kansai. Fece una breve sosta presso il nuovo Centro culturale di Osaka e intorno all’una salì sullo Shinkansen, il treno ad alta velocità diretto a Nagoya.
Da quando era arrivato nel Kansai dal Kyushu, il 2 maggio, in sette giorni aveva incontrato e incoraggiato più di settantamila compagni di fede. In quel periodo aveva anche visitato il Centro culturale di Naka, a Osaka.
Qui, nel dicembre del 1969, Shin’ichi, che si trovava nel Kansai per una serie di guide, era stato colpito dalla febbre alta e aveva trascorso la notte in una sala del Centro, che in quel periodo veniva utilizzato come Centro delle donne del Kansai.
La moglie Mineko accorse da Tokyo e si prese cura di lui per tutta la notte. Appena scese la febbre, Shin’ichi affrontò il viaggio verso Wakayama.
Partecipò alla riunione dei responsabili della prefettura presso una palestra, e dopo aver incoraggiato i membri con tutte le forze, venendo incontro alle richieste dei partecipanti guidò la canzone di Takeda [Takeda Bushi, che canta le gesta del grande condottiero, n.d.t.].
Al termine della riunione, mentre stava per lasciare la sala, le sue gambe iniziarono a barcollare. Aveva ormai consumato tutte le forze. Rifletté che anche se fosse morto lì, in quell’istante, non avrebbe avuto rimpianti riguardo al compimento della sua missione. Era una strenua lotta, un susseguirsi di sfide continue, giorno dopo giorno.
Solo sommando azioni come queste, caratterizzate da un impegno assoluto, è stato possibile aprire la strada maestra di kosen-rufu.
Shin’ichi desiderava che, anche in epoche diverse, lo spirito di non lesinare la propria vita per la Legge si trasmettesse ai compagni uniti a lui nello spirito di non dualità.
Nei Ventisei ammonimenti di Nikko Shonin si legge: «Finché kosen-rufu non sarà realizzato, propagate la Legge al massimo delle vostre capacità, senza risparmiare la vostra vita!» (Il Buddismo della gente, IBISG, pag. 109).
Qualora questo spirito dovesse interrompersi, non sarebbe possibile realizzare kosen-rufu. Per celebrare l’inaugurazione del Centro delle donne del Kansai, che ebbe luogo il primo maggio, Shin’ichi lesse e fece dono ai membri di questa poesia haiku:

Proteggete assolutamente, fino in fondo,
il Kansai, il nostro castello.

Durante la loro visita nel Kansai, sua moglie Mineko scrisse il seguente messaggio sul libro d’onore del Centro culturale:

Riuniti presso il Palazzo delle madri Soka.
Corriamo verso
kosen-rufu
animati da un fervido slancio vitale.

Dopo il Kyushu, anche il Kansai si era alzato con coraggio insieme a Shin’ichi. L’indomita forza della Soka Gakkai risiede nella solida unità della lotta condivisa di maestro e discepolo.
«Forza! Tocca al Chubu, allora!», pensò dentro di sé. Lo spirito combattivo di Shin’ichi fremeva.

[35] Il 9 maggio, fin dal mattino si era formata una lunga coda davanti al Centro culturale del Chubu, a Nagoya, nella prefettura di Aichi.
Shin’ichi aveva infatti proposto: «Facciamo una cerimonia di Gongyo per i responsabili di capitolo uomini e donne. Ma chiunque voglia venire, al di là della responsabilità, sarà il benvenuto. Che sia una cerimonia di Gongyo aperta a tutti!».
I compagni esplosero di gioia e si diressero verso il Centro gremito di persone non solo nella sala della cerimonia, ma anche nelle altre sale riunioni e in quelle adibite all’accoglienza degli ospiti.
Durante la mattinata si svolsero cinque cerimonie. Nonostante il mal di gola per lo sforzo, Shin’ichi fece Gongyo insieme ai membri e li incoraggiò.
Di fronte alle persone che gioivano con le lacrime agli occhi afferrandogli il braccio o stringendogli la mano, non se la sentiva di stare lì a preoccuparsi per la propria salute.
L’anno precedente, all’annuncio delle sue dimissioni da presidente della Soka Gakkai, aveva ricevuto numerose lettere e telegrammi dai compagni del Chubu. Desiderava quindi esprimere loro tutta la sua riconoscenza e dare il via a una nuova partenza insieme.
Dopo aver guidato Gongyo, fece un giro fuori dalla sala principale recandosi nelle altre sale e nell’atrio, dove si rivolse ai membri stringendo loro le mani, e scattò numerose foto ricordo. Anche le cerimonie del pomeriggio divennero cinque, e poi sei. Sebbene fossero passate le dieci di sera, vi erano ancora persone che aspettavano fuori dal Centro. Shin’ichi si precipitò per incoraggiare anche loro. Udì una voce che lo chiamava: «Sensei!». Pensando ai vicini egli disse: «Vi prego di fare piano, è sera tarda ormai…», e mentre da una parte conteneva il loro entusiasmo, dall’altra li avvolse con un grande sorriso. Quando tutto finì erano quasi le undici di sera.
Nel Chubu Shin’ichi si recò anche nella prefettura di Gifu.
Era l’11 maggio e un cielo radioso si estendeva di fronte a loro.
Shin’ichi andava a trovare a casa i membri che avevano contributo allo sviluppo del movimento in quella zona e prese parte, presso il Centro culturale di Gifu, alla riunione dei responsabili per il ventesimo anniversario della fondazione del capitolo di Gifu.
Nell’atrio al secondo piano intrattenne una breve conversazione con una signora che aveva cento anni e partecipava alla riunione insieme alla figlia. Era la donna più anziana di tutta la città di Gifu. Aveva aderito alla Soka Gakkai nel periodo pionieristico del movimento e dichiarava che la recitazione del Daimoku rappresentava per lei la gioia più grande. «Sono venuto qui per incontrarla – le disse Shin’ichi -. Lei è il tesoro di tutto il Giappone. La prego di stare sempre in buona salute!». Quel giorno era anche la Festa delle mamme e Shin’ichi, per festeggiare, le fece dono di un mazzo di garofani e si fece scattare una foto insieme a lei. Gli sembrava di vedere un Budda in quest’anziana signora che nonostante l’età tanto avanzata, si impegnava alzandosi insieme a lui per la causa di kosen-rufu.

[36] Shin’ichi si trasferì dal Centro culturale di Gifu alla volta di quello di Kakamigahara. Anche qui si erano riuniti tantissimi compagni che avevano saputo della sua visita nella loro terra.
Il Centro era gremito a tal punto che le persone non erano in grado di varcare l’ingresso. «Forza dunque, diamo inizio a questa cerimonia di Gongyo aperta a tutti!» e così dicendo, salì le scale a chiocciola d’emergenza, esterne all’edificio, e si diresse verso la sala.
Lì si rivolse ai membri dicendo: «Immagino che abbiate sofferto molto, ma non avete più nulla di cui preoccuparvi. Avete vinto! Prego affinché tutti voi, nessuno escluso, possiate conquistare la gloriosa corona della felicità a suggello della vittoria nella vostra vita. Io vi proteggerò fino in fondo».
La sua voce che infondeva coraggio risuonava per la sala.
Shin’ichi si mise quindi a pregare insieme ai membri. Si esibì poi in alcuni brani al pianoforte, fra cui È giunta la primavera, un celebre brano folkloristico, e si intrattenne a dialogare con alcune rappresentanti delle donne scattando foto ricordo insieme ai vari gruppi.
Durante il suo soggiorno nel Chubu, il numero delle sessioni di foto scattate con i membri superò abbondantemente il centinaio. I suoi incoraggiamenti proseguirono fino al giorno successivo, il 12 maggio, data prevista per la sua partenza dalla stazione di Gifu, Hashima.
Non appena si accorse della presenza dei membri che si erano riuniti alla stazione per poterlo vedere almeno una volta, Shin’ichi si soffermò a parlare con loro fino a poco prima di entrare nel tornello della stazione e propose, per l’occasione, la nascita del gruppo Hashima, composto da quei diciannove membri che erano accorsi lì per salutarlo.
Shin’ichi non voleva che quegli incontri finissero per essere un semplice ricordo. Desiderava invece che ogni singolo incontro fosse l’occasione per formulare un nuovo giuramento, il punto di svolta per una nuova partenza verso il futuro.
Il suo viaggio per dare guide proseguiva.
A Shizuoka partecipò alla riunione dei responsabili di capitolo dei giovani uomini e lanciò questo appello, con tutto il suo cuore: «Affido a voi il compito di continuare l’opera di kosen-rufu», «Ora è il momento di continuare a sforzarsi e allenarsi nella fede», «Scolpite nel vostro cuore la frase “Il corpo è insignificante, la Legge è suprema” (RSND, 1, 548). Siate vincitori nella società e sul luogo di lavoro».
Il 13 maggio si tenne una recitazione a partecipazione libera di Gongyo e anche in quell’occasione Shin’ichi si immerse letteralmente fra i compagni che lottavano in prima linea. Il 14 fece ritorno a Tokyo.
In questo viaggio, iniziato il 29 aprile a Nagasaki per incontrare i membri, aveva incoraggiato in totale più di centocinquantamila compagni.
Una fiamma di gioia e di coraggio si levava ardente nel cuore di ognuno. Tutti giurarono di percorrere fino in fondo la strada del maestro e dei discepoli della Soka, l’organizzazione che vive fino in fondo per kosen-rufu. Il segnale della controffensiva nei confronti delle trame di preti malvagi e di perfidi cospiratori, si levò alto nel cielo.

[37] Tokyo si trovava immersa nella rigogliosa stagione di maggio.
Shin’ichi aveva spezzato il giogo delle trame che impedivano alla Soka Gakkai di spiccare il volo verso kosen-rufu e si era librato alto in un cielo azzurro di speranza, imponente come una grande aquila. Tornato a Shinanomachi al termine della sua quinta visita in Cina, e dopo aver dato incoraggiamenti a Nagasaki, Fukuoka, Osaka, Aichi, Gifu e Shizuoka, Shin’ichi si recò ai Centri culturali delle circoscrizioni di Nerima, Taito, Setagaya e Minato mirando a una ricostruzione dell’organizzazione centrale di Tokyo, e si diede da fare per incoraggiare i membri. Egli aveva spiegato le ali verso la nuova epoca di kosen-rufu e proseguiva nella sua impavida lotta. Nel frattempo i massimi responsabili della Gakkai, a cominciare dal presidente Kiyoshi Jujo, si tormentavano già da tempo per un problema, la questione Tomomasa Yamawaki. Questi infatti, accecato dalla brama di denaro, si era arricchito cinque anni prima con astute manovre inserendosi in un affare per la compravendita di terreni a Fujinomiya e si era cimentato nella gestione di un’attività di surgelati. Si trattava di un’attività improvvisata e la mala gestione finanziaria portò ben presto la sua ditta a trovarsi in cattive acque e ad accumulare ingenti debiti, che ammontavano a più di quattro miliardi di yen. Non avendo a chi rivolgersi per chiederli in prestito, messo alle strette aveva pensato di estorcere soldi alla Soka Gakkai.
Fino ad allora Yamawaki aveva istigato i giovani preti della Nichiren Shoshu affinché attaccassero violentemente la Soka Gakkai, tramando per manovrarla a suo piacimento e vestendo con astuzia i panni del pacificatore nei rapporti con il clero.
Per far questo aveva alimentato di nascosto la diffidenza e l’odio dei preti verso la Soka Gakkai continuando a diffondere informazioni costruite ad arte in modo che la attaccassero. Aveva inoltre escogitato un piano per impadronirsene che aveva, a più riprese, riferito al clero, continuando a calunniare la Soka Gakkai anche di fronte al patriarca Nittatsu. Da un lato quindi accendeva focolai di discordia aggravando la situazione, dall’altra si offriva di fare da intermediario per tenerla a freno, proprio come quei piromani che prima appiccano gli incendi e poi li spengono prendendosene i meriti. Per far perdere il credito che la Soka Gakkai godeva nella società e per mettere alle strette il presidente Yamamoto, aveva continuato a diffondere presso i mass media informazioni che distorcevano la realtà. Pian piano però i suoi piani vennero smascherati e man mano che le sue trame e tutti i suoi doppi giochi venivano a galla, la sua attività andava sempre più in rovina. [Come dice il proverbio] “chi è causa del suo male pianga se stesso”.
Il Gosho afferma: «In un primo momento sembra che i governanti e i sudditi che disprezzano i devoti del Sutra del Loto non subiscano punizioni, ma alla fine tutti finiscono tragicamente» (RSND, 1, 885).

[38] Tomomasa Yamawaki si era messo segretamente in combutta con il responsabile del Dipartimento di studio Takao Harayama. L’anno precedente, nel settembre del 1979, quest’ultimo gli aveva portato una gran quantità di copie di documenti che erano conservati presso la sede del quotidiano Seikyo. Utilizzando tali documenti, Yamawaki tramava il suo piano finalizzato a porre discordia tra la Gakkai e il clero della Nichiren Shoshu, e faceva circolare tra i media informazioni distorte con l’obiettivo di attaccare la Gakkai.
Nell’aprile del 1980, egli arrivò a estorcere denaro con le minacce alla Gakkai. Conoscendo bene il modo di agire disonesto e il temperamento insistente di Yamawaki, Kiyoshi Jujo e il comitato esecutivo della Gakkai non sapevano come affrontarlo. Ma se non avessero fatto qualcosa per fermarlo, era ormai chiaro che avrebbe messo in atto il suo piano ignobile provocando una frattura ancor più ampia nella relazione di armonia tra preti e laici, che la Gakkai con tanti sforzi aveva cercato di creare.
Volevano soprattutto evitare che tanti membri soffrissero a causa dell’autoritarismo dei preti che avrebbero approfittato di tale situazione.
Alla fine Yamawaki ricattò quei responsabili che si arrovellavano per trovare una soluzione, imponendo il pagamento di trecento milioni di yen. A questo proposito Yamawaki arrivò a dire che avrebbe utilizzato qualsiasi mezzo contro la Gakkai, anche i ricatti, a rischio di finire in prigione.
Dopo averci pensato e ripensato, pur con il cuore straziato Jujo acconsentì al pagamento, facendosi promettere che da quel momento in poi Yamawaki non avebbe più tramato alcun complotto o attacco alla Gakkai.
Quell’episodio avveniva durante la visita di Shin’ichi in Cina. Tuttavia Yamawaki reclamò altri cinquecento milioni.
Il 7 giugno, la Gakkai lo denunciò alla questura di Tokyo per ricatto e tentato ricatto.
A quel punto Yamawaki, fuori di sé, si mise a escogitare complotti con l’intenzione di creare scompiglio nella Gakkai. Servendosi di un settimanale, sferrò ripetutamente attacchi spregevoli all’organizzazione. Si trattava di storie inventate, che lasciavano trasparire la sua invidia, proprio come scrive Nichiren Daishonin: «Questa è una calunnia senza alcun fondamento» (RSND, I, 712), e ancora: «Quanto alle cose inventate da coloro che nutrono gelosia» (Ibidem, 716).
Anche Harayama apparve sui settimanali e si mise a pubblicare contenuti diffamatori contro la Gakkai. Nel processo contro Yamawaki si venne poi a sapere che Harayama aveva ricevuto da lui una somma ingente di denaro a tale scopo.
La Gakkai è un’organizzazione di persone dalla fede pura, persone che si impegnano con serietà e sincerità, è un mondo che non tollera i malvagi e i disonesti.
Alla fine sia Yamawaki che Harayama si ritrovarono senza nessuno intorno che potesse accordargli la pur minima fiducia, e capirono cosa vuol dire fare la fine squallida di coloro che tradiscono la fiducia dei membri della Gakkai, causando la propria rovina.

[39] Il 7 giugno, il giorno in cui la Soka Gakkai aveva denunciato Tomomasa Yamawaki, vennero presentati i risultati delle elezioni dei membri dell’assemblea della Nichiren Shoshu. I giovani preti che attaccavano incessantemente la Gakkai ottennero la maggioranza dei seggi, ovvero dieci su sedici.
Il 3 luglio si aprì la prima seduta dell’assemblea dopo le elezioni, in cui quei preti occuparono le posizioni chiave, come quella di presidente della seduta. Successivamente, il 4, costituirono ufficialmente un gruppo denominato shoshinkai.
Durante le riunioni dei fedeli di luglio, ignorando i ripetuti avvisi che vietavano di criticare la Gakkai, in molti templi essa venne attaccata furiosamente. A manovrare i fili dietro le quinte c’era Yamawaki, che era stato messo con le spalle al muro. I preti da lui istigati continuavano a comportarsi in modo arbitrario, contravvenendo alle disposizioni del clero. Intanto i compagni di fede sopportavano con pazienza gli attacchi che convergevano sulla Gakkai, da parte sia di quei preti malvagi e dispotici, sia dei settimanali.
C’erano membri che anche sul posto di lavoro furono costretti ad ascoltare i discorsi dei loro colleghi e superiori su critiche e accuse alla Gakkai pubblicate dai settimanali. Ma i figli del Budda della Soka Gakkai, tenendo a mente le parole di Nichiren Daishonin quali: «Sorgeranno difficoltà, ed esse devono essere considerate pratiche pacifiche» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 116, 58); e ancora: «I santi e i saggi sono messi alla prova dagli insulti» (RSND, 1, 266), si incoraggiavano reciprocamente e si dedicavano con vigore alle attività per la propagazione della Legge mistica.
In quel periodo, benché il quotidiano Seikyo stesse finalmente presentando le attività di Shin’ichi, si trattava ancora di timide pubblicazioni, che non esprimevano certo un forte entusiasmo in vista del progresso del movimento di kosen-rufu. Pensando ai compagni di fede, Shin’ichi era profondamente addolorato: «Devo assolutamente infondere in tutti loro una nuova luce!», pensava.
Proprio in quel periodo gli fu chiesto da parte del quotidiano Seikyo di pubblicare a puntate i ricordi dei compagni che erano scomparsi mentre si impegnavano per la causa di kosen-rufu agli inizi del movimento Soka.
Shin’ichi decise di iniziare a scrivere quella serie per far conoscere a un ampio pubblico quei compagni che avevano dedicato la loro vita a kosen-rufu, impegnandosi in silenzio nella pratica buddista sin dai primi tempi del nostro movimento e sostenendo l’organizzazione. Desiderava incoraggiare tutti i membri presentando le nobili vite di quei compagni così meritevoli. Il titolo della serie era Compagni indimenticabili.
Inoltre, avendo ricevuto numerose richieste di ripresa della pubblicazione del romanzo a puntate La rivoluzione umana, che aveva interrotto dopo il decimo volume nell’agosto di due anni prima, decise di riprenderne la stesura. Alzarsi da soli con una decisione ferma e risoluta per affrontare le tempeste che imperversano su di noi: tale è lo spirito della Gakkai, la via del re leone.

[40] Verso la fine di luglio Shin’ichi tenne una riunione presso il Training center di Kanagawa con i giornalisti del Seikyo Shimbun che curavano la serie Gli indimenticabili compagni e La rivoluzione umana.
Non appena Shin’ichi annunciò la sua volontà di riprendere la stesura delle puntate della Rivoluzione umana, il redattore incaricato della serie si mostrò sorpreso. Con grande esitazione iniziò a parlare: «Credo che i lettori gioiranno enormemente alla notizia. Ma non c’è il rischio che i giovani preti facciano chiasso e che il maestro diventi bersaglio di nuovi attacchi?». Detto ciò tacque.
A questo punto Shin’ichi rispose in tono severo: «Questo lo so benissimo. L’importante adesso non è cosa sarà di me, bensì proteggere i compagni di fede. I membri della Soka Gakkai, pur continuando a sopportare le terribili angherie di preti malvagi e individui meschini che si sono coalizzati, stanno tenendo duro impegnandosi con tutte le forze, con ammirevole costanza, imperterriti, per il bene di kosen-rufu, per il bene della Gakkai.
La mia responsabilità è proteggere tutti i membri della Gakkai, che rappresentano i figli del Budda. E fare in modo che tutti, con fierezza e fiducia in se stessi, possano avanzare lungo la strada maestra della propria missione, continuando a infondere in loro la luce del coraggio, della speranza e della convinzione. Io sono qui per questo. Ed è proprio questa la ragione per cui devo scrivere adesso le puntate de La rivoluzione umana. Questa è la mia battaglia. Va bene? Mi capite?».
I giornalisti annuirono con decisione.
Accennando un sorriso Shin’ichi proseguì: «Voglio iniziare il più presto possibile. Vi prego di contattare immediatamente anche il grafico che cura le illustrazioni delle puntate. In realtà, in questo momento ho un dolore così acuto alla spalla da non riuscire ad alzare il braccio. Sono veramente desolato e può darsi che in alcuni casi io sia costretto a chiedervi di scrivere le puntate sotto dettatura».
Nell’estate del 1980 si susseguirono giornate molto umide a causa del prolungarsi delle piogge nella regione del Kanto. Il fisico di Shin’ichi, che si portava dietro la stanchezza accumulata dall’anno precedente, fu particolarmente provato da quel clima. E tuttavia ardeva di passione. Il suo cuore era colmo di spirito combattivo.
«Ciò che anima il nostro cuore è la ferma convinzione che la giustizia alla fine trionferà»: queste parole esprimono lo spirito del Mahatma Gandhi.

[41] La pubblicazione della serie Gli indimenticabili compagni riprese il 29 luglio. Le puntate de La rivoluzione umana ricominciarono il 10 agosto, dal volume 11, con una cadenza di tre puntate a settimana.
Il titolo del primo capitolo fu “La svolta”.
Il racconto ripartì dagli eventi del settembre 1956, quando Josei Toda, dopo essersi ritirato da ogni attività commerciale, aveva deciso di dedicare il resto della sua vita a kosen-rufu e aveva affidato a Shin’ichi la guida della campagna di Yamaguchi.
Ovunque si recasse, presso il Training center di Kanagawa o il Training center di Shizuoka, Shin’ichi faceva redigere sotto dettatura le nuove puntate della serie. Nel frattempo la sua agenda era fitta di riunioni con rappresentanti di ogni regione e di tutti i Gruppi e di incontri con i membri locali, mentre cercava di trovare il tempo per andare a trovare a casa i membri per incoraggiarli.
Al giornalista che si occupava de La rivoluzione umana disse: «Io sono un discepolo del maestro Toda. Perciò, in qualunque situazione mi trovi, qualunque sia il mio ruolo, non posso in alcun modo interrompere la mia lotta per kosen-rufu. Finché avrò vita continuerò a lottare. Guardate bene cosa sarò in grado di fare!».
Ma la fatica dovuta a quella strenua lotta si andava accumulando. Shin’ichi continuava a tossire e in alcuni giorni veniva assalito dalla febbre. Un giorno aspettava il giornalista a cui avrebbe dettato il testo disteso sul tatami, mentre cercava di rinfrescare la fronte bollente con un asciugamano bagnato. Poco dopo si sentì la voce del giornalista che entrava nella stanza chiedendo permesso. Shin’ichi aprì un poco gli occhi e, riverso sul tatami, guardando verso di lui disse: «Sono veramente desolato, puoi aspettare un attimo?». Il giornalista, con volto preoccupato, si sedette al suo fianco.
Shin’ichi ogni tanto tossiva, con gli occhi arrossati.
Il giornalista si chiedeva se, in quelle condizioni, fosse in grado di procedere con la dettatura. Le lancette dell’orologio procedevano inesorabili.
Dopo dieci minuti, Shin’ichi colpì con la mano il tatami sollevandosi:
«Forza! Iniziamo dunque! Scriviamo una nuova pagina di storia! Stanno tutti aspettando con impazienza queste puntate. Già mi sembra di vedere i loro volti felici. Se penso che tutto questo è per il bene dei membri, sento scaturire una grande forza dentro di me».

[42] Shin’ichi era circondato dalle copie stampate in formato ridotto del giornale Seikyo che risalivano al periodo che si accingeva a narrare, nonché da annotazioni e testi utili da consultare per la stesura della puntata. Prese in mano uno di questi appunti e disse al giornalista: «Iniziamo allora! Sei pronto?», e iniziò la dettatura.
La voce di Shin’ichi si faceva man mano più energica.
Il giornalista si mise a scrivere con tutte le sue forze. Ma la velocità con cui Shin’ichi dava voce ai suoi pensieri era tale che egli non riusciva a stargli dietro.
Shin’ichi si mise quindi a dettare tenendo d’occhio di volta in volta il movimento della mano del giornalista per assicurarsi che riuscisse a scrivere. Dopo una quindicina di minuti, Shin’ichi iniziò a tossire.
E in seguito, nonostante la tosse si placasse, il suo respiro era ancora affannoso. «Lasciami riposare un attimo», disse Shin’ichi, e si rimise disteso sul tatami. Dopo circa dieci minuti, quando il giornalista aveva finito di trascrivere in bella copia il testo, il suo respiro si fece più rilassato. Raccolse di nuovo le forze e dando un colpo con la mano sul tatami, si risollevò.
«Forza allora! Tutti stanno aspettando con ansia! I membri si stanno impegnando al massimo sopportando tante amarezze. Al solo pensiero il mio cuore arde di passione. Perciò desidero che i compagni possano sentirsi anche solo un po’ sollevati. Voglio che ritrovino il coraggio». Riprese quindi la dettatura.
Ma dopo dieci, quindici minuti, fu costretto a far riposare nuovamente il suo corpo. Fu così che vide la luce il testo che venne poi rivisto più volte. Vennero apportate ulteriori modifiche anche nella bozza di stampa, e infine la puntata venne pubblicata sul giornale.
Una volta ripresa la serie, Shin’ichi non avrebbe potuto più concedersi una pausa. Questa è la dura sfida di pubblicare una serie a puntate su un giornale. Per Shin’ichi quella era una vera lotta portata avanti consumando la sua stessa vita.
«La parola, se ben temprata, può divenire la freccia che taglia il vento, può essere una spada infuocata»: questa è una massima dello scrittore danese Hans Andersen.
Shin’ichi pensò tra sé che doveva essere così e diede alla luce un testo riflettendo fino in fondo su ogni singola parola nell’intento di far vibrare l’anima dei compagni.Ci fu una reazione di grande entusiasmo alla ripresa della serie de La rivoluzione umana. Era il barlume della rinascita che faceva breccia nel cuore di tutti i membri.

[43] Il caos all’interno della Nichiren Shoshu si acuì. Nonostante il clero si fosse impegnato esplicitamente a cessare ogni attacco una volta che Shin’ichi Yamamoto si fosse dimesso da sokoto [responsabile di tutte le associazioni laiche della Nichiren Shoshu, ndr] e da presidente della Soka Gakkai, il trattamento riservato ai membri della Gakkai dal gruppo shoshinkai si fece sempre più duro.
La Soka Gakkai chiese perciò alla Nichiren Shoshu di mantenere la promessa fatta. La Nichiren Shoshu, da parte sua, aveva cercato di convincere questi preti a perseguire la strada dell’armonia con i laici, secondo le indicazioni del precedente patriarca Nittatsu, ma questi, incuranti di tutto ciò, il 24 agosto tennero presso il Nippon Budokan la riunione generale dei danto [affiliati ai templi della Nichiren Shoshu, n.d.r.].
Durante la riunione pretesero a gran voce le dimissioni di Shin’ichi anche da sokoto onorario e una modifica dello Statuto che sanciva l’autonomia della Soka Gakkai come ente religioso, reclamando animatamente che essa fosse inglobata come organismo dipendente dalla Nichiren Shoshu.
In quest’occasione Tomomasa Yamawaki non si fece vedere, ma alla manifestazione prese parte Takao Harayama, che criticò severamente la Gakkai e parlò della necessità di condannare il patriarca Nikken.
La corsa impazzita dei preti del gruppo shoshinkai, che seguivano le trame di Yamawaki, non si arrestò più. Essi si mostrarono apertamente in conflitto con Nikken e inviarono una lettera con richieste di chiarimenti e un atto d’accusa per aver abusato dell’autorità di patriarca.
Si trattava di un fatto gravissimo, che avrebbe minato alle fondamenta la Nichiren Shoshu stessa. Il 24 settembre la Nichiren Shoshu tenne una riunione del Consiglio direttivo e decise una sanzione disciplinare nei confronti dei preti del gruppo shoshinkai, accusati di aver turbato l’ordine all’interno della scuola. Si trattava di duecentouno preti, pari a un terzo di quelli con qualifica di precettori. I preti colpiti dall’ordinanza organizzarono una manifestazione di protesta urlando di essere vittime di un atto brutale che aveva violato i loro diritti. Il clero colpì i preti dello shoshinkai, uno dopo l’altro, con decreti di espulsione dai templi. Ve ne furono alcuni che, preso atto del corso degli eventi, ritrattarono le loro posizioni e seguirono il patriarca e il Consiglio direttivo. La lotta contro la Nichiren Shoshu da parte dei preti costretti ad abbandonare i templi, proseguì poi nelle sedi legali dei tribunali.
Alle dieci del 30 settembre, Shin’ichi partì dall’areoporto Narita di Tokyo alla volta di Honolulu.
Avrebbe dovuto infatti presenziare agli eventi commemorativi per il ventesimo anniversario di kosen-rufu negli Stati Uniti e alzare il nuovo sipario di kosen-rufu nel mondo.
La marcia verso kosen-rufu mondiale non ammetteva rinvii.

[44] A Honolulu, nelle Hawaii, prima meta del suo viaggio, Shin’ichi prese parte a una serie di eventi presso il Centro delle Hawaii e incoraggiò i membri della delegazione giapponese per gli scambi di amicizia con le Hawaii, e quelli della delegazione per l’amicizia con i paesi dell’America Latina.
Il 2 ottobre partecipò presso il Centro delle Hawaii alla cerimonia di Gongyo per la Giornata mondiale della pace. Era una ricorrenza che la Soka Gakkai aveva stabilito facendola coincidere con il primo viaggio di Shin’ichi all’estero, compiuto proprio quel giorno di vent’anni prima, nel 1960.
Shin’ichi compì il suo primo passo in quel viaggio per la pace proprio nelle Hawaii perché lì aveva avuto inizio la guerra nel Pacifico.
Aveva infatti deciso, nel profondo del suo cuore, di dar vita a un nuovo, grande corso per la pace nel mondo partendo proprio da quella terra così segnata nella sua storia dall’orrore della guerra.
Ai tempi della sua prima visita, i membri che partecipavano agli zadankai delle Hawaii erano solamente trenta o quaranta. Molti di loro erano in balìa delle sofferenze della vita. Vi erano donne che si erano sposate con militari americani e si erano trasferite lì, ma ora, trovandosi alle strette per via delle difficoltà economiche e vittime delle violenze dei mariti, maledicevano la sorte lamentandosi di voler ritornare in Giappone.
Shin’ichi le incoraggiò a coltivare l’assoluta convinzione che impegnandosi seriamente nella fede sarebbero divenute sicuramente felici, e sottolineò con tutte le forze che si trovavano in quella terra proprio per adempiere alla loro missione di Bodhisattva della Terra trasformando il karma e costruendo la felicità per sé e per gli altri.
Il primo passo per la realizzazione di una società fondata sul rispetto della dignità della vita, il punto di partenza per la costruzione della pace, risiede proprio nell’opera di incoraggiare, dare forza e far rinascere la singola persona che soffre di fronte a noi.
Shin’ichi sentì che il sole di quell’assoluta fede nel Buddismo ardeva nel cuore dei partecipanti. I membri si alzarono in piedi risvegliandosi alla missione di kosen-rufu e sollevarono lo sguardo fieri, verso il cielo azzurro. Durante quel primo viaggio all’estero di Shin’ichi attraverso l’America del Nord e del Sud, videro la luce il capitolo generale degli Stati Uniti e i capitoli del Brasile e di Los Angeles, oltre a diciassette settori, fra cui quello delle Hawaii. Erano trascorsi vent’anni da allora e le schiere dei Bodhisattva della Terra si erano ampliate fino a raggiungere novanta paesi e territori in tutto il mondo. In occasione della cerimonia di Gongyo per la Giornata mondiale della pace, Shin’ichi giurò e pregò profondamente di riuscire a unire l’umanità e il mondo intero in un’unica rete di persone comuni impegnate per la pace, puntando a vent’anni da quel giorno, all’anno 2000.

[45] In occasione della sua visita alle Hawaii, Shin’ichi ebbe un colloquio con il governatore George Ariyoshi, partecipò alla riunione generale delle Hawaii e ad altre attività adoperandosi con straordinario dinamismo per promuovere relazioni per la pace e incoraggiare i membri.
Poi, passando da San Francisco e Washington D.C., il 10 ottobre arrivò a Chicago. Shin’ichi aveva deciso fermamente che ovunque andasse avrebbe incontrato il maggior numero possibile di membri, anche una sola persona in più, e che li avrebbe incoraggiati con tutte le sue forze.
Partecipò in diversi luoghi del paese a riunioni generali per commemorare il ventesimo anniversario di kosen-rufu in America, andò a visitare i Centri culturali e presenziò a varie riunioni. Appena trovava un po’ di tempo, andava a trovare i membri a casa.
A San Francisco tenne un incontro informale con tremilacinquecento compagni di fede che si erano radunati per la loro riunione generale.
Si recò anche a Telegraph Hill, dove si erge la statua di Cristoforo Colombo, un luogo che aveva visitato durante la sua prima visita negli Stati Uniti; lì fece scattare delle foto ricordo con i membri, e insieme a loro promise di realizzare una nuova partenza in vista del conseguimento di kosen-rufu in America.
Anche alla riunione generale commemorativa di Washington D.C. colse l’occasione per dare incoraggiamenti ai quattromila membri che partecipavano. Il giorno successivo, al meeting del consiglio dei più alti responsabili, diede una guida citando il «banchetto di un grande re» (SDL, 168) di cui parla il Sutra del Loto.
«Attraverso la metafora del “banchetto di un grande re” si paragona la grandiosità del Sutra del Loto al lauto pasto di un sovrano, ricco di ogni sorta di leccornie. Esso rappresenta l’immenso stato vitale caratterizzato dal profondo appagamento che conseguiamo ottenendo benefici incommensurabili quando, a partire da un’iniziale infelicità, incontriamo il Gohonzon e ci impegniamo nella pratica buddista. Ma seppur pieno di prelibatezze, il banchetto di coloro che hanno sempre rapporti ostili con gli altri e generano discordia, diventerà il “banchetto della collera”; quello di coloro che sono sempre, vilmente assetati di qualcosa sarà il “banchetto dell’avidità”, e quello di coloro che tramano complotti per intrappolare le persone rendendole infelici, finirà per essere il “banchetto dell’inferno”. Siate certi che il “banchetto” di noi membri della Soka Gakkai che con un cuore puro desideriamo che tutti diventino felici e che si realizzi kosen-rufu nel mondo, così come le nostre riunioni e attività quotidiane, corrispondono al più ricco e prezioso “banchetto di un grande re”. Sempre nel Sutra del Loto troviamo l’espressione dei «fiori umani» (SDL, 162). Con questo termine viene esaltata la bellezza delle persone che, illuminate dalla luce della Legge mistica, si impegnano strenuamente per la causa di kosen-rufu. Questi fiori che brillano di gioia profumano di benefici ed emanano fragranza di felicità per le altre persone, giungono alla piena fioritura, ovvero al profondo appagamento nella loro esistenza. Desidero che ognuno di voi avanzi con la fierezza di essere un “fiore umano”».

[46] Il 12 ottobre, a Chicago, dove Shin’ichi si recò dopo Washington D.C., si riunirono gioiosamente cinquemila membri presso la Sala civica Madina, dove si svolsero il Festival culturale di Chicago e una riunione generale. Pensando che vent’anni addietro, quando si era recato per la prima volta a Chicago, i membri erano circa una decina, Shin’ichi ebbe la netta sensazione di essere entrato in una nuova epoca.
In quel festival fu commosso in particolare dall’esibizione di Sachie Perry e i suoi sette figli. All’età di quattordici anni, Sachie era rimasta esposta alla radioattività dopo l’esplosione della bomba atomica a Hiroshima.
Nel 1952 si era sposata con un militare americano e si era trasferita con lui negli Stati Uniti. Ma lì l’aspettavano la dipendenza dall’alcool e la violenza del marito, le difficoltà economiche, gli atti di delinquenza dei figli, le barriere linguistiche, i preconcetti e le discriminazioni. Lei lavorava con tutte le forze per poter crescere i sette figli. Nella regione dove viveva con la sua famiglia, i contrasti e i conflitti razziali continuavano incessantemente, tanto che il marito le fornì un fucile per difendersi. Viveva quotidianamente nella sofferenza e nel terrore. Un giorno, una sua vicina di origine giapponese le parlò del Buddismo di Nichiren Daishonin e così decise di cominciare a praticare. Era il 1965. In particolare il suo cuore fu toccato dall’affermazione che sarebbe diventata sicuramente felice. Sachie desiderava più di ogni altra cosa trasformare il suo karma.
Recitando Daimoku sentì affiorare il coraggio, e studiando la filosofia buddista si rese conto di avere la missione dei Bodhisattva della Terra, di propagare la Legge mistica tra gli americani e di conseguire la felicità per sé e per gli altri.
Quando si riconosce il vero significato dell’esistenza si può rinnovare profondamente la propria vita. Cercando di farsi capire più che poteva con il suo inglese stentato, Sachie cominciò a introdurre al Buddismo altre persone. Ma venne ben presto assalita dal proprio karma, come un’onda furiosa. La figlia minore soffriva di una grave malattia e venne operata più volte. Il marito continuava a dipendere dall’alcool e ad avere problemi economici.
Nonostante tutto, Sachie affrontava ogni difficoltà risolutamente, ponendo la fede alla base di tutto e dicendo a se stessa: «Io non mi arrenderò mai, qualunque cosa accada». Anche i suoi sette figli si impegnarono nella pratica buddista e per sostenere il bilancio familiare formarono un gruppo musicale, diventando poi dei musicisti professionisti.
Benché stesse lottando contro il proprio karma, Sachie trascorreva dei giorni in cui percepiva la speranza e un profondo senso di gioia.
Sul palcoscenico di quel Festival culturale lesse la sua esperienza.
La Legge universale viene dimostrata proprio dalle esperienze che narrano la rivitalizzazione di ogni individuo.

[47] Al Festival culturale di Chicago, Sachie Perry lesse la sua esperienza nella forma di una lettera indirizzata a Shin’ichi Yamamoto: «Caro maestro Yamamoto! Quando ho iniziato a praticare non avevo né fiducia in me stessa, né coraggio, né aspirazioni, e non facevo che trascorrere i miei giorni soffrendo per le preoccupazioni e le difficoltà quotidiane. Pensando che non potevo far altro che conquistare la felicità attraverso la pratica buddista, mi sono dedicata con grande serietà e impegno alla propagazione della Legge mistica».
A un certo punto vennero proiettate delle diapositive che illustravano la storia della famiglia. Sachie gridò con una voce che tremava per l’emozione: «Sensei! Ora che sono riuscita a realizzare la gioia e l’armonia familiare, guardi come sono felice! Anche i miei figli sono cresciuti magnificamente. Ho sempre desiderato che un giorno lei potesse vederli. Ed ecco i miei figli!».
I proiettori illuminarono i sette ragazzi, i quali cominciarono a suonare e a cantare su ritmi allegri. Negli occhi della madre brillavano le lacrime.
Quei canti erano come fanfare che annunciavano un’alba di speranza, e quelle melodie erano ritmate dalla gioia e dalla felicità.
Di fronte allo spettacolo della vittoria di quella famiglia, Shin’ichi espresse la sua ammirazione con un grandissimo applauso.
La pace mondiale inizia dalla rivoluzione umana, dalla trasformazione del karma di una singola persona, e l’immagine reale della pace si scorge nell’armonia, nella felicità di una famiglia. Shin’ichi dedicò ai membri che avevano partecipato allo spettacolo delle poesie o frasi di incoraggiamento, e al figlio maggiore della signora Perry, in rappresentanza di tutta la famiglia, offrì i seguenti versi:

Siate fieri e risplendete della musica della madre, figli della campionessa della vita.

Ereditando l’aspirazione della madre, i figli diventarono dei leader di kosen-rufu nella società americana. Ad esempio Ayumi, la figlia più piccola, che era debole di salute, nonostante le difficoltà economiche frequentò l’università e cominciò a lavorare in ambito educativo.
Poi continuò gli studi e ottenne un dottorato di ricerca. Nel lavoro di cui si occupò in seguito, offriva programmi di formazione professionale per educatori, leader di aziende e varie organizzazioni, e per il personale delle Nazioni Unite. Divenne inoltre responsabile nazionale del Gruppo donne nell’organizzazione americana della SGI.
In occasione del ventesimo anniversario di kosen-rufu negli Stati Uniti, grazie al Buddismo di Nichiren Daishonin che spiega e dimostra che tutti gli esseri umani sono ugualmente dotati della natura di Budda, si realizzò così un nuovo “sogno americano” e sbocciarono numerosi “fiori umani” di felicità.

[48] Dopo il Festival Culturale di Chicago si tenne una riunione generale.
In quella sede, il direttore generale della SGI americana annunciò la proposta di Shin’ichi di organizzare a Chicago il Festival culturale mondiale per la pace dell’anno successivo, e chiese il parere dei partecipanti, che risposero con un fragoroso applauso di approvazione.
Nel suo intervento, Shin’ichi parlò dell’importanza dello studio della filosofia buddista, sottolineando che è indispensabile impegnarsi nella pratica buddista ponendo sempre e ovunque, alla base di tutto, lo studio degli scritti di Nichiren Daishonin.
Se ci si chiude in una visione personale e angusta, non si potrà mai creare unità. Se invece si considerano gli scritti del Daishonin come il punto d’origine a cui far sempre ritorno, si potranno unire i cuori delle persone fino a formare un tutt’uno. È nella Legge buddista che possiamo trovare il punto di riferimento per il nostro comportamento.
La mattina del 13 ottobre, giorno della sua partenza da Chicago, Shin’ichi, che aveva esortato i partecipanti affinché si applicassero con costanza e diligenza nello studio del Buddismo, tenne una lezione sugli Insegnamenti orali del Daishonin ad alcuni rappresentanti dei responsabili. Anche all’aeroporto, nei tempi di attesa, offrì una lezione ad alcuni responsabili sul trattato L’apertura degli occhi, e una guida su come un buddista dovrebbe essere e comportarsi.
Agire e mostrare l’esempio di propria iniziativa è il requisito indispensabile di un leader.
Appena arrivato a Los Angeles, Shin’ichi si diresse verso Santa Monica e partecipò presso il Centro culturale mondiale, tra le altre attività, a una cerimonia di Gongyo e a un incontro informale di rappresentanti della SGI.
Poi, la sera del 17 ottobre, presenziò alla prima riunione generale della SGI in cui si riunirono quindicimila rappresentanti provenienti da quarantotto aree e nazioni.
Il luogo della riunione era lo Shrine Auditorium di Los Angeles, un imponente palazzo che vantava una storia illustre, accogliendo ad esempio le cerimonie di premiazione degli Oscar del cinema. Alla riunione generale vennero letti i messaggi di congratulazioni di numerose personalità, tra cui il segretario generale dell’ONU, alcuni membri della Camera dei rappresentanti e del Senato, i governatori di vari Stati tra cui New York e la California, che accoglieva la riunione, e numerosi sindaci di città quali Los Angeles e Detroit, insieme a rappresentanti del mondo accademico, come il rettore dell’ Università del Minnesota.
Nel corso della riunione, Shin’ichi presentò una poesia waka che il suo maestro Josei Toda, nel luglio del 1953, gli aveva dedicato.

Come Dapeng3 che si libra maestoso nel cielo, vivi una vita intensa e appagata,
per mille generazioni!

Con quelle parole, egli rivelò i suoi sinceri sentimenti e la sua determinazione di girare il mondo intero compiendo ogni sforzo possibile per propagare la Legge mistica.
«Il bello comincia ora!». Il suo sguardo era rivolto verso il nuovo secolo, rifulgente di un’alba di speranza.

3. Dapeng: uccello mitologico cinese

[49] Nel frattempo, a giugno, in Giappone la Soka Gakkai denunciava Tomomasa Yamawaki per tentata estorsione e lui, messo alle strette, si servì di settimanali e televisioni per reiterare i suoi attacchi alla Soka Gakkai. Mentre Yamawaki, attraverso storie assurde costruite ad arte, cercava di diffondere un’immagine della Soka Gakkai come di un’organizzazione che compiva azioni socialmente illecite, dall’altra il gruppo shoshinkai organizzò comizi e dimostrazioni per chiedere la convocazione come teste in Parlamento di Shin’ichi Yamamoto, e fece pressioni su alcuni parlamentari affinché presentassero in Parlamento un’istanza in tal senso.
Nonostante avessero messo in atto tutto ciò, il loro piano fallì miseramente. Il contrasto fra i preti del gruppo shoshinkai da una parte e Nikken e il Consiglio direttivo dall’altra, si acuì ulteriormente e alla fine si giunse a una definitiva rottura.
Sebbene il tempio fosse ormai in subbuglio, l’atteggiamento assunto dalla Soka Gakkai di cercare di perseguire l’armonia fra clero e laici non mutò mai.
Il 18 novembre, in un clima festoso, presso la palestra centrale dell’Università Soka si tenne la cerimonia commemorativa dei cinquant’anni dalla fondazione della Soka Gakkai.
Anche Shin’ichi intervenne mostrandosi in pubblico più in forma che mai.
Tra gli applausi scroscianti prese la parola: «Vorrei in questa sede ringraziare innanzitutto il primo presidente, il maestro Tsunesaburo Makiguchi, che ha fondato la Soka Gakkai, e il secondo presidente, il maestro Toda, che ne ha consolidato le fondamenta e ha contribuito al grande sviluppo a cui assistiamo oggi. Desidero poi ringraziare, colmo di gratitudine, tutti i lodevoli pionieri che in questi cinquant’anni, condividendo gioie e dolori per kosen-rufu, hanno percorso insieme questo cammino, e tutti i compagni di fede. La Soka Gakkai durerà eterna e immortale fintanto che in essa continuerà a pulsare una fede irremovibile e, mirando a kosen-rufu, continuerà tenace a portare avanti la pratica di propagare la Legge. Si conclude qui il primo atto di questo grande movimento della gente comune portato avanti dalla Soka Gakkai la quale, basandosi sulla Legge mistica, si è dedicata a promuovere la pace e la cultura. Oggi qui ha inizio la seconda fase. Diamo quindi vita a un grandioso avanzamento con rinnovato entusiasmo, puntando al centenario della fondazione della Soka Gakkai, per la pace nel mondo, per la cultura e per kosen-rufu».
Il ruggito di Shin’ichi risuonò in tutta la sala.
Un passo del Gosho afferma: «Il leone non teme nessun altro animale e così neppure i suoi cuccioli» (RSND, 1, 885).
A quelle parole lo spirito combattivo di tutti i presenti s’infiammò.

[50] Si era appena aperto il 1981, l’anno in cui avrebbe avuto inizio la controffensiva. La Soka Gakkai stabilì che quello sarebbe stato l’Anno dei giovani, e i compagni di fede rafforzarono la propria determinazione di fare di quell’anno la partenza della rinascita. Il primo dell’anno Shin’ichi ripensava in cuor suo alla poesia waka che il suo maestro Toda aveva letto a Capodanno del 1952, quando era stato da poco nominato secondo presidente della Soka Gakkai.

Orsù andiamo! Con coraggio intraprendiamo questo viaggio per la propagazione
della Legge mistica
che raggiunga perfino i confini dell’India.

Questi versi erano stati affissi a fianco della foto di Toda in occasione della cerimonia di insediamento di Shin’ichi a terzo presidente della Soka Gakkai, che ebbe luogo il 3 maggio del 1960 presso l’Auditorium della Nihon University.
Quel giorno Shin’ichi, imprimendo nel cuore quella poesia, aveva giurato profondamente di fronte alla foto del maestro di dare il via alla grande lotta per la propagazione della Legge a cui avrebbe dedicato tutta la sua vita, e di intraprendere il viaggio di kosen-rufu nel mondo come discepolo che vive in uno spirito di non dualità con il maestro Toda.
La mattina della cerimonia Shin’ichi aveva espresso il suo solenne giuramento in questa poesia waka:

Non lasciarti vincere! Assumi la guida!
La voce del maestro risuona come un’eco
nel profondo della mia vita

La mattina di Capodanno del 1981 decise profondamente nel suo cuore di assumere la guida di kosen-rufu partendo in questo viaggio insieme ai compagni di fede di tutto il mondo.
Il giorno successivo, il 2 gennaio, Shin’ichi avrebbe compiuto cinquantatré anni. Pensando a quanto sia limitata la durata della vita di un essere umano, erano ancora troppe le cose che gli rimanevano da compiere.
Shin’ichi non poteva permettersi di indugiare nemmeno per un istante.
La situazione di caos che regnava nel tempio si fece ancora più grave. Nonostante tutto Shin’ichi era deciso a fare da scudo a ogni attacco contro la Soka Gakkai e, proteggendo il clero, ad aprire una nuova strada.
La sera del 13 gennaio Shin’ichi partì da Narita alla volta delle Hawaii, negli Stati Uniti. Era prevista una sua visita nel continente che sarebbe durata ben due mesi.
Negli Stati Uniti avrebbe fatto visita, oltre che alle Hawaii, a Los Angeles e a Miami, e si sarebbe poi diretto in America centrale per visitare Panama e il Messico. Alle Hawaii si tenne la prima conferenza mondiale del Dipartimento di studio a cui parteciparono rappresentanti provenienti da quindici paesi nel mondo.
Shin’ichi sentiva fortemente l’importanza di approfondire i princìpi del Buddismo alla base del rispetto della dignità della vita e di innalzare nel mondo il vessillo della solida filosofia della pace per il bene dell’umanità.

[51] Shin’ichi Yamamoto, che nell’ottobre dell’anno precedente aveva esortato i membri americani ad approfondire lo studio della filosofia buddista, anche in occasione di quella visita prese l’iniziativa dando lui stesso un esempio di metodo nello studio degli scritti di Nichiren Daishonin.
Alla conferenza mondiale del Dipartimento di studio diede una guida su questo passo del Gosho Il vero aspetto di tutti i fenomeni: «Impegnati nelle due vie della pratica e dello studio. Senza pratica e studio, non può esservi Buddismo. Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri. Sia la pratica che lo studio sorgono dalla fede. Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o un solo verso» (RSND, 1, 342).
«Per “pratica” si intende la pratica per sé e per gli altri, che concretamente consiste nella recitazione di Daimoku e nello shakubuku. Lo “studio” è l’approfondimento del Buddismo di Nichiren Daishonin, portato avanti con impegno serio e costante. Gli autentici discepoli del Daishonin sono coloro che si sforzano nella pratica e nello studio. Egli dichiara che non esiste Buddismo senza questa costante applicazione nelle “due vie”. Solo la Gakkai ha mantenuto tale impegno secondo le parole del Daishonin e ha promosso kosen-rufu affrontando ogni genere di avversità. Nessuno potrà negare questa chiara e inconfutabile realtà. Le due vie della pratica e dello studio nascono dalla fede. Trascurare la pratica e lo studio non è altro che perdere di vista la fede. Avere fede significa non cedere a nessuna minaccia, persecuzione o lusinga che ci possa far deviare dalla fede, significa non retrocedere mai né allontanarsi da essa, abbracciare il Gohonzon con tutto il cuore e dedicarsi con il massimo impegno alla causa di kosen-rufu. La pratica e lo studio potrebbero essere paragonate alle due ruote di un carro il cui asse centrale è la fede. Di conseguenza, una persona potrà conoscere a fondo la filosofia buddista, ma senza la pratica la sua resterà una semplice conoscenza: è come se stesse cercando di avanzare con una sola ruota e finirà per allontanarsi dal corretto cammino della fede. Ci sono stati membri che si sono immersi in uno studio parziale e riduttivo, ma che ostentando quelle conoscenze si sono sentiti superiori agli altri, sono diventati arroganti e presuntuosi, finendo per essere detestati dai compagni che invece si impegnavano con diligenza e sincerità nella fede. Alcuni di loro hanno poi smesso di praticare. Sono esempi veramente incresciosi. Noi non studiamo la filosofia buddista per diventare “esperti” di professione. Desidero quindi confermare insieme a voi che lo studio ci consente di approfondire la nostra fede, di aspirare a conseguire la Buddità nell’esistenza presente e di promuovere kosen-rufu».
Lo studio nella Soka Gakkai esiste per essere messo in pratica, è la ricerca della Legge della vita per costruire la felicità per sé e per gli altri.

[52] Alle Hawaii Shin’ichi si recò all’Arizona Memorial & Battleship Missouri, a Pearl Harbour, dove aveva avuto luogo l’attacco che scatenò la guerra del Pacifico, e offrì dei fiori davanti al monumento ai caduti insieme a una preghiera per la pace, dal profondo del cuore. Poi assistette al primo grande Festival culturale per l’amicizia tra Giappone e Stati Uniti, che si svolse in grande stile presso il Waikiki Shell Amphitheatre, a cui parteciparono rappresentanti di quindici aree e nazioni. Tenne inoltre una lezione sul trattato di Nichiren Daishonin L’apertura degli occhi, rivolgendosi ai leader riuniti da varie zone delle Hawaii, e parlò della preziosa missione dei compagni di fede che vivono per la nobile causa di kosen-rufu nell’Ultimo giorno della Legge: «Il muro dell’opposizione tra est e ovest sta dividendo il mondo e causando un caos sempre più profondo. Come discepoli di Nichiren Daishonin, mirando alla salvezza dell’intero genere umano e propagando la Legge suprema di Nam-myoho-renge-kyo, decidiamo ora, ancora una volta, di diffondere la luce tra gli individui per risvegliarli nel profondo della vita, e di far risuonare la campana della pace e della felicità. Siete d’accordo? Se non dissipiamo l’oscurità che si annida nel cuore degli esseri umani, non realizzeremo mai la pace nel mondo. Allo stesso modo, per rispettare la dignità della vita umana, bisognerà innanzitutto manifestare “il Budda” nel nostro cuore e far brillare l’umanità di ciascun individuo. La nostra missione sociale consiste dunque nel rigenerare la vita delle persone attraverso il Buddismo, unire gli individui attraverso la cultura e costruire il ponte della pace eterna dell’umanità».
Dopo aver atteso agli eventi in programma nella sua visita alle Hawaii, durata otto giorni, un po’ prima delle due del pomeriggio del 20 gennaio, Shin’ichi si diresse in aereo alla volta di Los Angeles, dove partecipò a diverse manifestazioni, tra cui una cerimonia di Gongyo per la pace al Centro culturale mondiale di Santa Monica, la riunione dei caporedattori delle riviste e dei giornali della SGI di vari paesi e territori, e il grande Festival culturale per l’amicizia tra Giappone e Stati Uniti organizzato allo Shrine Auditorium, che commemorava il bicentenario della fondazione di Los Angeles.
Questo festival, che riunì quindicimila persone e presentò, tra le varie esibizioni, spettacoli di compagni giapponesi e americani che desideravano la pace mondiale e musical che esprimevano lo spirito dei pionieri della Gakkai, ottenne una vera e propria ovazione.
Una famosa attrice, assistendo allo spettacolo tra gli ospiti, commentò visibilmente emozionata: «È come aver visto il caldo bagliore dello spirito umano. I meravigliosi ideali e lo spirito di quest’organizzazione mi hanno davvero commossa».
La cultura genera empatia spirituale e unisce gli esseri umani.

[53] Il 24 gennaio in Giappone Tomomasa Yamawaki venne arrestato, sospettato di ricatto e tentato ricatto alla Gakkai.
Alla questura di Tokyo era stata ufficialmente accettata la denuncia nei suoi confronti, nell’ottobre dell’anno precedente, e da allora l’indagine era stata condotta accuratamente ascoltando diverse testimonianze. I sospetti si erano confermati portando poi alla decisione di convalida dell’arresto.
Per proteggere se stesso, Yamawaki aveva portato avanti varie campagne contro la Gakkai utilizzando diversi settimanali, ma nel corso dei processi che seguirono fu reso noto come a più riprese avesse mostrato un comportamento disonesto e inattendibile, estremamente falso. Quando Yamawaki venne arrestato, la procura distrettuale di Tokyo chiese a Shin’ichi di presentarsi per rendere la sua testimonianza.
Anche in rappresentanza della Gakkai, egli desiderava a tutti i costi scoprire e appurare la verità. Ma per poter soddisfare la richiesta della procura doveva interrompere subito le guide che stava dando in America e tornare momentaneamente in Giappone.
Shin’ichi informò i membri americani: «Ora devo assolutamente recarmi in Giappone, ma ritornerò. L’America rappresenta il perno di kosen-rufu mondiale. Unitevi dunque solidamente e costruite un’organizzazione che diventi un modello nel mondo di armoniosa coesione tra gli esseri umani».
Il 28 gennaio Shin’ichi tornò in Giappone e si presentò alla procura per quattro audizioni. Partecipò anche a diverse riunioni tra cui un incontro informale con i membri del consiglio dei responsabili di prefettura, e il 15 febbraio tornò negli Stati Uniti. Diede numerose guide e incoraggiamenti ai membri presso il Centro culturale mondiale di Santa Monica e il Malibu Training center, tra le altre sedi, poi si trasferì a Miami e il 19 si diresse in aereo a Panama. Dopo sette anni dall’ultima sua visita a Panama, c’erano numerosi membri nell’organizzazione.
Shin’ichi si adoperò instancabilmente facendo i preparativi necessari in vista del nuovo secolo: tra le varie attività incontrò i rappresentanti dei sette paesi dell’America centrale, partecipò al Festival culturale per l’amicizia tra la Repubblica di Panama e il Giappone, organizzato presso il Teatro nazionale, tenne dei colloqui con il presidente e alcuni sindaci di Panama, offrì dei libri alla scuola giapponese e visitò l’Università di Panama.
«Nessuno ci regala il tempo. Se non si è capaci di usarlo in modo costruttivo, esso scomparirà subito» ha affermato il leader americano dei diritti civili, Martin Luther King.

[54] Il 26 febbraio Shin’ichi si diresse da Panama alla volta del Messico.
Era la sua seconda visita ufficiale nel paese, e l’ultima risaliva a sedici anni prima. Sia a Panama che in Messico, c’erano ad attenderlo in aeroporto televisioni di stato e conferenze stampa, a dimostrazione di come il movimento della Soka Gakkai per la pace, la cultura e l’educazione fosse ormai largamente apprezzato in ogni parte del mondo.
A Città del Messico, oltre a recarsi per la prima volta al Centro culturale della Soka Gakkai messicana, Shin’ichi fece visita alle rovine dell’antica città di Teotihuacan, nella periferia della città, e partecipò al Festival culturale per l’amicizia tra Messico e Giappone.
Il 2 marzo incontrò il presidente messicano Josè López Portillo.
Visitò poi l’Università nazionale autonoma del Messico per presenziare alla cerimonia di donazione di libri e per un incontro con il rettore dell’Università.
Dopo aver lasciato l’ateneo, durante il tragitto scese dalla macchina per una passeggiata a piedi insieme alla moglie Mineko, che lo accompagnava in quel viaggio. In un ampio viale principale, scintillante nel sole, si stagliava il maestoso monumento che celebra l’indipendenza del paese. In cima a una colonna una statua dorata dispiegava le sue grandi ali tenendo nella mano destra una corona d’alloro, simbolo della vittoria, e nella sinistra una catena spezzata, simbolo della libertà conquistata.
Shin’ichi domandò a Mineko: «È qui, non è vero?», e lei rispose di sì.
Il maestro Toda aveva descritto nei minimi dettagli quel luogo del paesaggio messicano che ora si apriva davanti ai loro occhi.
Avvenne dieci giorni prima della sua morte. Toda chiamò Shin’ichi al suo capezzale, e sorridendo gli raccontò: «Ieri ho fatto un sogno. Mi recavo in Messico. Tutti stavano aspettando, tutti cercavano il Buddismo di Nichiren Daishonin. Io voglio andare, voglio viaggiare nel mondo per kosen-rufu».
Nonostante fosse indebolito nel fisico, il suo spirito non indietreggiava di un solo passo, viaggiava libero per il mondo.
Questo era lo spirito, l’ardore di quel valoroso generale di kosen-rufu.
Toda gli raccontò ciò che aveva visto in sogno, di quel monumento per l’indipendenza nel centro di Città del Messico, e dei paesaggi della città.

[55] Durante la sua vita, Josei Toda non ebbe mai occasione di fare un viaggio all’estero. Probabilmente gli erano rimasti impressi i libri sul Messico che leggeva di frequente, e le foto che aveva visto del monumento celebrativo dell’indipendenza messicana e dei panorami della città.
Si era inoltre informato chiedendo di quei luoghi a Fumiko Haruki, la prima responsabile donne del capitolo Osaka, che da piccola aveva vissuto in Messico per via del lavoro del padre.
La vivida immagine che Toda descriveva a Shin’ichi derivava da questo genere di conoscenze. Quel giorno Toda proseguì dicendo: «Shin’ichi, il mondo è la tua sfida, il mondo è il tuo vero palcoscenico». Poi lo fissò negli occhi con fermezza e gli tese la mano magra che spuntava fuori dal futon.
Il discepolo strinse in silenzio la mano indebolita del maestro: «Shin’ichi, vivi! Devi vivere fino in fondo la tua vita e viaggiare per il mondo».
Shin’ichi aveva raccontato i particolari di quello scambio tra maestro e discepolo a sua moglie Mineko.
Anche in occasione della sua prima visita in Messico, sedici anni prima, nell’agosto del 1965, alla vista di quel monumento erano riaffiorate alla sua mente le parole di Toda e aveva provato una profonda commozione.
Ora, nuovamente in piedi di fronte al monumento che scintillava sotto il sole, Shin’ichi sentì riecheggiare dentro di sé le parole di Toda: «Shin’ichi, va’ in giro per il mondo!».
«Sensei! Andrò in giro per il mondo. Getterò solide basi di kosen-rufu nel mondo in sua vece!».
Mineko si rivolse a Shin’ichi, che in quel momento stava rinnovando nel cuore il giuramento fatto al maestro: «Oggi è il 2, il giorno in cui il maestro Toda è venuto a mancare».
«Sì, hai ragione. E noi proprio in questo giorno siamo scesi dalla macchina e, camminando, ci siamo ritrovati qui».
«Credo sia stato il maestro stesso a condurci fin qui».
Annuendo ammiravano insieme il monumento di fronte a loro. Il giorno successivo Shin’ichi fece visita al Municipio di Città del Messico e in seguito si diresse verso Guadalajara, la seconda città più grande del Messico. Qui fece visita ad alcuni Centri culturali privati dove partecipò a delle riunioni per incoraggiare i membri. Poi si recò all’Università di Guadalajara per un incontro con il rettore e tenne un discorso commemorativo.

[56] Riflessione sullo spirito poetico del Messico, era il titolo della lezione tenuta da Shin’ichi presso l’Università di Guadalajara.
Nel suo intervento, riferendosi alla particolare ricchezza spirituale della gente del Messico, il paese del sole e della passione, argomentò come lo spirito poetico e il sorriso di questo popolo sapessero accendere e unire i cuori delle persone, e di come questo aspetto fosse importante anche nella costruzione della pace e negli scambi culturali.
Shin’ichi manifestò inoltre il suo profondo apprezzamento per i continui sforzi del popolo messicano che stava portando avanti a favore della denuclearizzazione dell’America Latina con una forte iniziativa.
In seguito Shin’ichi tornò da Guadalajara a Los Angeles, negli Stati Uniti, per poi compiere una visita alle Hawaii.
Anche qui, dopo aver dato tutto se stesso negli incoraggiamenti durante gli incontri con i membri e le riunioni di studio sul Gosho, il 12 marzo fece ritorno in Giappone.
Shin’ichi proseguiva nella sua opera di incoraggiare le persone del Giappone e del mondo intero con tutte le sue forze. Il movimento di kosen-rufu aveva iniziato pian piano la sua svolta, e la marea montante stava crescendo.
Il 3 maggio, in un clima festoso, si tenne presso l’Università Soka la cerimonia commemorativa del giorno della Soka Gakkai.
Dal 2 al 5 maggio Shin’ichi prese parte ogni giorno, senza concedersi sosta, alle cerimonie di Gongyo e alle riunioni commemorative.
Le schiere del maestro e dei discepoli Soka, nelle prime brezze estive avevano dato solennemente inizio a questa marcia verso il ventunesimo secolo. «Forza dunque! Continuiamo a muoverci per la pace nel mondo».
Il 9 maggio Shin’ichi, senza riposarsi nemmeno un istante, partì alla volta dell’Unione Sovietica, dell’Europa e dell’America del Nord.
Avrebbe visitato l’Unione Sovietica, prima destinazione del suo viaggio, proprio nel momento in cui tutte le critiche del mondo erano puntate contro di essa. Più di una sessantina di paesi avevano infatti boicottato le Olimpiadi di Mosca del 1980 in risposta all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica, scatenatasi nel dicembre del 1979, e il paese si trovava in una situazione difficile a livello internazionale. Shin’ichi era però convinto che quella crisi si potesse circoscrivere nei limiti di un problema politico e che la porta del dialogo non dovesse essere chiusa. Proprio in considerazione di quella situazione, Shin’ichi era convinto della necessità di concentrare le forze soprattutto negli scambi tra i popoli a livello della società civile, all’insegna della cultura e dell’educazione, per promuovere la comprensione reciproca.

[57] Per quella visita in Unione Sovietica, Shin’ichi aveva ricevuto l’invito sia dal Ministero sovietico dell’istruzione superiore e secondaria, sia dall’Università di Mosca. Egli aveva determinato di promuovere gli scambi educativi e culturali tra il Giappone e l’URSS e, attraverso quegli scambi, di aprire un varco per creare una nuova via dell’amicizia tra i due paesi.
La delegazione era numericamente considerevole, comprendendo circa duecentocinquanta membri tra la banda musicale Fuji di flauti e tamburi e il coro “Montagna bianco argentea” dell’Univesità Soka, ed era stata organizzata allo scopo di intraprendere ampi scambi con i cittadini e gli studenti dell’ateneo moscovita.
Negli otto giorni di permanenza in Unione Sovietica, Shin’ichi visitò il Teatro musicale per bambini di Mosca, detto anche il “Teatro dell’Opera dei bambini”, strinse amicizia con Natalya Sats, fondatrice e direttrice del teatro e, attraverso scambi culturali per la pace con figure di grande rilievo dell’Unione Sovietica, si intrattenne in numerosi dialoghi.
Ebbe infatti vivaci scambi di opinione con personalità quali il ministro della cultura Pyotr Nilovich Demichev, il ministro dell’istruzione superiore e secondaria V.P. Elutsin, il presidente dell’Unione delle società sovietiche per l’amicizia e le relazioni culturali con i paesi stranieri, Z. M. Kruglova, il presidente dell’Associazione per l’amicizia tra l’Unione Sovietica e il Giappone, T.B. Guzenko, il presidente dell’Università di Mosca Anatoli A. Logunov e il presidente del Soviet supremo dell’URSS, A.P. Shitikov.
Shin’ichi si recò anche al Mausoleo di Lenin, alla Necropoli delle mura del Cremlino dove erano poste le reliquie dell’ex premier Aleksey Kosygin, e offrì dei fiori al monumento al milite ignoto. In quel viaggio in Unione Sovietica, la visita alla tomba dell’ex premier rivestiva per lui un’importanza particolare.
Kosygin era morto nel dicembre dell’anno precedente.
Shin’ichi l’aveva incontrato due volte al Cremlino. Nell’incontro avvenuto nel settembre del 1974, durante la sua prima visita nell’URSS, proprio quando la crisi sino-sovietica si stava aggravando, gli domandò francamente: «L’Unione Sovietica attaccherà la Cina?». Kosygin dichiarò esplicitamente: «L’Unione Sovietica non ha intenzione di attaccare la Cina».
Con il suo consenso, in occasione della seconda visita in Cina, nel dicembre dello stesso anno, egli riferì quelle parole al premier cinese. Shin’ichi aveva fatto tutto ciò che gli era possibile per impedire il conflitto, desiderando a tutti i costi che le due nazioni evitassero di aprire le ostilità.
Il grande cammino della pace inizia con un singolo passo concreto.

[58] Il 12 maggio Shin’ichi presenziò alla cerimonia di apertura di una mostra di bambole giapponesi organizzata congiuntamente dalla Soka Gakkai, dal Ministero della cultura sovietico e dal Museo delle arti folcloristiche orientali di Mosca. Nel pomeriggio si recò alla Biblioteca nazionale di letteratura straniera, la cui direttrice era Ludmila Gvishiani, figlia dell’ex premier Kosygin, e si intrattenne in un colloquio con lei.
Lo sguardo limpido di quella donna che indossava un pullover beige e un completo blu, illuminata da un sorriso dolce e intelligente, faceva pensare a suo padre.
Shin’ichi le raccontò che si era recato a pregare sulla tomba del padre, e le espresse le sue condoglianze. Lei rispose con voce che lasciava trapelare l’emozione: «Sono profondamente commossa sentendo il calore del suo cuore, in questa sua cortese visita». E cominciò a parlare in tono nostalgico del primo incontro tra suo padre e Shin’ichi.
«Quel giorno, tornato a casa dopo il lavoro, mio padre mi raccontò: “Oggi ho incontrato un giapponese veramente interessante, una persona fuori dal comune. Sono stato molto felice della nostra fruttuosa conversazione, che ha toccato anche tematiche complesse”. E mi affidò un suo libro dicendo: “Mi raccomando, conserva con cura questo libro che mi è stato donato dal presidente”».
Poi, porgendo a Shin’ichi un vaso di vetro, Ludmila Gvishiani disse: «Tutti noi in famiglia ci siamo consultati pensando a cosa potevamo offrirle».
Era un oggetto che Kosygin aveva ricevuto quando, a sessant’anni, era stato insignito del massimo riconoscimento di “eroe del lavoro socialista”.
Offrì inoltre a Shin’ichi due libri rilegati in pelle. Erano le ultime opere dell’ex premier, che le aveva tenute nel suo studio fino a poco prima di morire: «In questi libri si sente ancora il calore delle mani di mio padre. Desidero donarglieli a suo nome».
Esprimendo la sua riconoscenza, Shin’ichi rispose: «In questi doni colgo il profondo significato di un’amicizia eterna, che trasmetterò al popolo giapponese. Pregherò per la fortuna e la felicità di tutta la vostra famiglia».
Attraverso i legami di amicizia che si trasmettono dai genitori ai figli, trascendendo le generazioni, si può creare una sicura corrente di pace. Al momento del congedo, l’immagine di quella donna che continuava a salutarlo con la mano rimase profondamente impressa nel cuore di Shin’ichi.

[59] La mattina del 13 maggio Shin’ichi e la moglie Mineko fecero visita al cimitero di Novodevichy, all’interno della città di Mosca.
Dopo aver reso omaggio alla tomba dell’ex rettore dell’Università statale di Mosca, il professor R. V. Khokhlov, deceduto quattro anni prima, fecero visita alla sua famiglia. Shin’ichi si intrattenne in un colloquio in suo ricordo con la vedova Elena, con il primogenito Alexei e il secondogenito Dimitri. Alexei era un fisico dell’Università statale di Mosca e Dimitri frequentava un master di Fisica.
I familiari provarono una profonda gioia alla visita di Shin’ichi e il primogenito espresse a nome della famiglia tutta la loro gratitudine: «La ringraziamo di cuore per essere giunto fin qui per rendere omaggio a mio padre. La sua visita in Unione Sovietica è stata accompagnata dal bel tempo, come se anche il cielo volesse celebrarla. Qui a Mosca ci siamo lasciati alle spalle un lungo inverno e ci troviamo in un momento dell’anno dove il verde sta rifiorendo e la natura riacquista la sua fresca vitalità».
Shin’ichi rispose senza indugio: «Anche la sua famiglia sta vivendo un momento analogo. Passato il dolore dell’inverno, è giunto il momento in cui rinasce la speranza e la vita riacquista il suo slancio. Il più grande desiderio di vostro padre è certamente che la sua famiglia, che ha lasciato, stia bene. Prego in particolare voi figli di continuare a impegnarvi diventando degli eminenti studiosi che superino persino il padre, in modo tale che possiate contribuire allo sviluppo della società ed essere felici».
Alexei annuì: «Nostro padre parlava sempre di lei, maestro Yamamoto. Sono estremamente felice di averla potuta incontrare».
«Mi auguro di rivedervi ancora tante volte per poter ricordare insieme vostro padre, e vi prego di venire a trovarmi un giorno in Giappone e all’Università Soka», rispose Shin’ichi.
La moglie dell’ex rettore rispose con tono commosso: «La sento così vicino al mio cuore che mi sembra di essere sempre stata insieme a lei».
I loro cuori si fusero in uno, dando vita a un piacevole incontro.
La famiglia Khokhlov fece dono a Shin’ichi di una raccolta di scritti inediti lasciati dal professore, insieme ad alcune foto dell’ex rettore scattate in montagna. La moglie Elena raccontò con espressione felice a Shin’ichi che il marito era un grande appassionato di montagna.
Gli scambi con la famiglia Khokhlov proseguirono negli anni.
Come le piante che si sviluppano rigogliose grazie alle radici che si estendono in profondità nel terreno, allo stesso modo solo quando i legami di amicizia si svilupperanno in questa terra della gente comune, solo allora vedremo estendersi a perdita d’occhio grandi praterie di pace.

[60] A mezzogiorno Shin’ichi fece visita all’Università di Mosca per un incontro con il rettore Anatoli A. Logunov.
Il rettore era membro ordinario dell’Accademia sovietica delle Scienze, nonché fisico teorico di chiara fama. Nell’aprile dello stesso anno aveva visitato il Giappone e durante un incontro aveva avanzato a Shin’ichi la richiesta di intraprendere dei dialoghi per discutere insieme della necessità di promuovere scambi educativi fra Unione Sovietica e Giappone, per favorire l’amicizia fra i due paesi e la pace di tutta l’umanità.
Per poter lasciare in eredità al futuro una filosofia di pace, Shin’ichi accolse la proposta e, in occasione della visita in Unione Sovietica, preparò per l’incontro numerose domande che spaziavano in vari ambiti.
Shin’ichi propose temi quali “le problematiche relative alla scienza moderna”, “religione e letteratura”, “guerra, pace ed etnie”, “scambi culturali”, sui quali il rettore si trovò completamente d’accordo.
Prima dell’incontro, il rettore era stato insignito di un dottorato onorario da parte dell’Università Soka. In quell’occasione, parlando della missione delle università come baluardo in difesa della pace, e della questione delle armi nucleari, aveva affermato: «Se in questo preciso momento dovessero essere impiegate delle armi nucleari, l’umanità correrebbe il rischio di estinguersi completamente. Perciò è necessario rinunciare all’idea stessa di difendere la pace con la forza piuttosto che con l’uso della saggezza. In caso contrario, si finirebbe per accettare implicitamente l’idea stessa di una guerra nucleare».
Il colloquio proseguì con l’ausilio di un ricercatore, il professor L.A. Strizhak dell’Istituto per i paesi asiatici e africani presso l’Università di Mosca, che faceva da interprete.
«Bisogna evitare a qualunque costo lo spettro di una guerra nucleare, e l’unica strada per la sopravvivenza dell’umanità è la costruzione di un cammino di pace»: questa era la profonda convinzione a cui giunsero.
Il colloquio proseguì con una perfetta armonia tra i due interlocutori. Tredici furono gli incontri complessivi, e mentre erano in corso ne venne pubblicata una raccolta, a giugno del 1987, dal titolo The third rainbow bridge. A maggio del 1994 venne pubblicata una nuova raccolta, intitolata Scienza e religione.
La pace nel mondo ha inizio nel momento preciso in cui si uniscono i cuori delle persone.
Shin’ichi desiderava mostrare chiaramente al mondo che partendo dalla considerazione dell’essere umano e della pace, e superando le barriere delle strutture sociali e delle ideologie, le persone erano in grado di comprendersi reciprocamente e provare empatia una per l’altra, ed era possibile unire i loro cuori.

[61] La sera del 13 maggio, giorno in cui Shin’ichi aveva visitato l’Università di Mosca, si svolse una serata dedicata all’amicizia tra studenti giapponesi e sovietici.
La serata ebbe luogo presso la piazza di fronte all’università e si aprì con la meravigliosa parata della banda Fuji di pifferi e tamburi, messaggeri di pace.
La serata si trasferì poi nel Palazzo della cultura della stessa università, dove si svolse un Festival dell’amicizia e della pace. I membri del coro Ginrei (Vetta argentata di neve) dell’Università Soka, insieme a una delegazione di rappresentanti dei Gruppi uomini e donne, si esibirono con alcune canzoni, fra cui Kuroda-bushi (La canzone di Kuroda) e Madre. Quando il coro intonò Katiusha, il battito delle mani dei presenti che accompagnavano il ritmo della canzone risuonò per la sala all’unisono.
Anche da parte dell’Università di Mosca si susseguirono appassionate esecuzioni di pianoforte e dell’orchestra di musica da camera, di cori e danze in costumi tradizionali del folklore russo.
Si giunse infine alle esibizioni dei cori delle due università, che cantarono insieme in giapponese Shiki-no-uta (La canzone delle quattro stagioni) e in russo Il walzer dell’amicizia.
I cuori degli studenti giapponesi e russi si sciolsero e si fusero insieme.
Il Palazzo della cultura, teatro della serata, era anche il luogo dove nel maggio del 1975, sei anni prima, Shin’ichi aveva tenuto una conferenza dal titolo Una nuova strada nel cammino degli scambi culturali fra Est e Ovest.
In quell’occasione egli ribadì come solamente attraverso gli scambi culturali fosse possibile aprire una nuova “via della seta” dello spirito, unendo il mondo intero.
Mentre assisteva allo scambio culturale e di amicizia fra i giovani giapponesi e sovietici, Shin’ichi percepiva chiaramente che una “via della seta” spirituale univa ormai quei giovani.
A ciascuna di quelle esibizioni Shin’ichi riservò un applauso entusiasta.
Il pomeriggio del giorno successivo, il 14 maggio, fece visita al Cremlino per un incontro con il premier Nikolai Aleksandrovich Tikhonov.
Quel giorno coincideva proprio con il settantaseiesimo compleanno del premier e Shin’ichi, in apertura del colloquio, gli fece dono di un mazzo di fiori.
«Io non sono un uomo politico, né un esponente del mondo economico e tantomeno un diplomatico, ma desidero avanzare delle proposte come semplice cittadino che ama la pace», disse Shin’ichi.
«Con grande piacere» rispose il premier, e così ebbe inizio un’amabile conversazione.
Tutti gli esseri umani, originariamente, aspirano alla pace.
Non sono certo le lusinghe o l’ostentazione a tenere uniti i cuori: solo un dialogo franco, espressione di una natura sincera, può farlo.

[62] Shin’ichi si rivolse al premier Tikhonov: «L’aspirazione dell’intera umanità è di evitare la guerra. Sono convinto che se il segretario sovietico Breznev e lei, premier Tikhonov, vi allontanaste per po’ da Mosca ritirandovi in un luogo ideale, come ad esempio la Svizzera, per confrontarvi fino in fondo con il presidente degli Stati Uniti e con i vertici cinesi e giapponesi, il mondo intero si sentirebbe sollevato. Credo sia importante, per il bene della pace del mondo, che convochiate un vertice dei premier di questi paesi e, continuando a dialogare per scongiurare il rischio di una guerra, rassicuriate l’intera umanità».
Shin’ichi parlò anche delle relazioni nippo-sovietiche. «Prima di affrontare il tema dei trattati, credo sia necessario conoscere lo spirito dei giapponesi e cercare di promuovere scambi culturali che permettano di sviluppare un senso di reciproca fiducia. È indispensabile inoltre perseguire incontri al vertice fra i leader dei due paesi che, liberi dai condizionamenti del passato, siano costruttivi e godano del consenso dei rispettivi popoli».
Nel suo intervento il premier Tikhonov, toccando temi economici e commerciali, affermò che gli scambi culturali fra Giappone e Unione Sovietica erano ancora indietro, e che l’opinione espressa da Shin’ichi in quell’occasione era molto importante.
Manifestò poi la sua intenzione di continuare anche in futuro a promuovere scambi per la pace e la cultura.
Shin’ichi consegnò inoltre nelle mani del premier una lettera di ringraziamento rivolta al segretario Breznev per il suo invito ufficiale in Unione Sovietica. Anche in occasione delle Proposte di pace della SGI del 26 gennaio del 1983 e del 1985, Shin’ichi lanciò un appello riguardo alla necessità di un incontro al vertice fra Stati Uniti e Unione Sovietica, considerando il clima di diffusa preoccupazione a causa del perdurare della grave contrapposizione fra le due potenze.
Nel 1985, con l’insediamento del segretario M. Gorbaciov, si ebbe una decisa svolta in direzione della fine della Guerra Fredda. A novembre dello stesso anno si tenne in Svizzera, a Ginevra, l’incontro al vertice fra il presidente degli Stati Uniti R. Reagan e il segretario dell’Unione Sovietica M. Gorbaciov.
Il dialogo fra Est e Ovest ebbe così un impulso. A dicembre del 1989 il segretario Gorbaciov e il presidente Bush si incontrarono a Malta. Posero fine alla Guerra Fredda e sottoscrissero una dichiarazione nell’intento di compiere, in uno spirito di collaborazione fra i due paesi, il primo passo verso la creazione di una nuova era mondiale.
Nell’anno successivo, il 1990, Shin’ichi ebbe il suo primo incontro con M. Gorbaciov, divenuto primo presidente dell’Unione Sovietica. La loro amicizia proseguì nel corso degli anni e i in seguito pubblicarono la raccolta dei loro dialoghi con il titolo: Le nostre vie si incontrano all’orizzonte.

[63] La sera del 14 maggio, il giorno in cui aveva tenuto il colloquio con il premier Tikhonov, Shin’ichi organizzò un ricevimento presso l’albergo in cui pernottava per ringraziare coloro che avevano contribuito al successo della visita insieme a svariati ospiti che operavano in vari campi. Il giorno seguente si recò presso la casa museo di Lev Tolstoj, a Mosca.
La dimora del grande scrittore, conservata così com’era nel diciannovesimo secolo, era una costruzione di due piani in legno, il cui pavimento scricchiolava evocando i ricordi del passato. Tolstoj aveva trascorso gli ultimi diciannove anni della sua vita in quella modesta abitazione.
Nel suo studio si conservavano un tavolo, una sedia, un portapenne, una boccetta d’inchiostro e altri oggetti, così come lui li aveva lasciati. Vi era esposta anche l’accetta con cui tagliava la legna per la stufa, e il grembiule che era solito indossare per quel lavoro. In quella casa erano nati molti dei suoi capolavori, tra cui Resurrezione, una delle sue ultime opere più famose.
La delegazione entrò nel museo. Nell’austero edificio con i soffitti alti, tipici del periodo in cui visse l’autore, erano conservati i componimenti di Tolstoj dei tempi delle elementari, il diario che aveva tenuto fino alla fine dei suoi giorni, i manoscritti di opere quali Guerra e pace e Anna Karenina, una statua e alcuni suoi ritratti. In particolare attirò l’attenzione di Shin’ichi un fermacarte di vetro verde posto accanto a una bozza in cui si notavano alcune parti censurate. Sulla superficie erano state impresse numerose firme ed espressioni di ammirazione rivolte allo scrittore.
Era un dono degli operai di una vetreria.
«Lei si è costruito lo stesso destino di numerosi grandi precursori dell’epoca», «Il popolo russo la annovera tra le grandi personalità, così care e preziose, e sarà eternamente il nostro orgoglio». Mentre si prodigava per sostenere le persone in stato di indigenza, Tolstoj aveva impugnato la penna per lottare contro le falsità e l’ipocrisia di una chiesa e di un governo caduti nella corruzione.
Per tali ragioni le sue opere furono sottoposte a una severa censura, la pubblicazione venne ostacolata ed egli finì per essere scomunicato dalla Chiesa ortodossa. Ma il popolo infuriato lo difendeva e lanciava potenti grida di giustizia. Quel popolo risvegliato che aveva smascherato gli inganni dei religiosi dell’epoca, ricercava una religione che si ponesse dalla parte del popolo, degli esseri umani.
Le persone sagge sanno discernere accuratamente tra le religioni.

[64] Lev Tolstoj continuò sempre a osservare ricercando il vero significato della fede e della religione.
In questa sua ricerca scoprì Dio all’interno dell’essere umano. Non il Dio predicato nelle chiese, ma la suprema spiritualità, la divinità intesa come massima espressione della coscienza umana. Espose la sua teoria sulla necessità, per il bene della pace nel mondo e per la felicità delle persone, di una rinascita morale, della negazione della violenza e della resistenza passiva al male. Le sue idee andavano contro gli insegnamenti della Chiesa ortodossa di allora, connivente con il potere dello Stato.
Perciò fu costretto a pubblicare molti dei suoi scritti – non soltanto Resurrezione, ma anche quelli di natura religiosa come <Hpl:=La mia fede e <Hpl:=Il regno di Dio è in voi – attraverso canali clandestini o all’estero, essendo ormai difficile farli pubblicare nel suo paese. «Possiamo interpretare le ingiurie del presente come l’eco di gloria che proviene dalle generazioni future».
Quest’affermazione di Victor Hugo ebbe una grande influenza su di lui. Mentre il governo e la chiesa cercavano in tutti i modi di reprimere Tolstoj, fu il popolo a sostenerlo, e grazie al popolo riuscì a conquistarsi ancora di più la stima e la fiducia di tutto il mondo.
Il Mahatma Gandhi è una delle personalità che si trovarono in sintonia con lui. La scomunica della Chiesa ortodossa sortì dunque l’effetto contrario: né il governo russo, né la chiesa potevano più colpire facilmente Tolstoj, che godeva ormai dell’appoggio del mondo intero. Le persecuzioni furono indirizzate allora verso i suoi discepoli. Chertkov fu costretto all’esilio. Biriukov visse in esilio per otto anni al confino in un luogo sperduto ma, senza mai arrendersi, scrisse una biografia dal titolo Il grande Tolstoj, animato dalla volontà di lasciare ai posteri la verità sul maestro e sul grandioso cammino da lui compiuto.
Anche il popolo, che sosteneva Tolstoj, venne perseguitato. Il solo fatto di possedere una copia dei suoi scritti, la cui pubblicazione era bandita, sarebbe costata la galera. Ma il sostegno della gente non vacillò mai. Le persone compresero a fondo la sua sincerità e condivisero l’ideale di religione a cui egli puntava.
Il valore di una religione si misura in base a ciò che è in grado di dare alle persone.
Una religione veramente al servizio degli esseri umani è in grado di infondere coraggio, speranza e saggezza, di rendere forte il cuore delle persone mettendole in grado di liberarsi dalle catene della sofferenza.

[65] Dopo la visita alla Casa museo di Tolstoj, Shin’ichi ebbe l’impressione che il modo di vivere del sommo scrittore l’avesse ispirato e incoraggiato. Shin’ichi rifletteva su una frase scritta da Tolstoj nell’ultima pagina del suo diario: «Fai quel che devi, accada quel che può». Sentiva profondamente il senso della missione a cui si sarebbe dedicato per tutta la vita: la pace mondiale, kosen-rufu nel mondo. La delegazione visitò in seguito il padiglione spaziale dell’Esposizione delle conquiste dell’economia nazionale.
Osservando i satelliti artificiali e altre strumentazioni, tutti percepirono ancora una volta l’entusiasmo e l’impegno che l’Unione Sovietica stava dedicando allo sviluppo dell’industria spaziale. Shin’ichi espresse le sue impressioni alla guida: «Avete delle capacità tecnologiche davvero favolose. Vi prego di utilizzare queste vostre straordinarie potenzialità scientifiche e tecnologiche per la pace e la prosperità dell’umanità! Le persone di tutto il mondo sicuramente sperano e desiderano questo».
Il 16 maggio, dopo gli otto giorni trascorsi in Unione Sovietica, la delegazione si trasferì in Europa dirigendosi a Francoforte, nella Germania Occidentale. Prima della partenza, fu invitata dal ministro dell’Istruzione superiore e secondaria e dalla sua consorte a compiere una gita in nave sul canale che congiunge i fiumi Moscova e Volga, e in quella breve crociera intavolarono un’appassionata conversazione sugli scambi educativi.
Sulla riva che si scorgeva attraverso l’oblò, si estendeva uno splendido, verde paesaggio.
Il ministro spiegò che, grazie a quel canale, Mosca era diventata un importante punto di intersezione di canali interni che sfociavano in cinque mari: il Mar Bianco, il Mar Baltico, il Mar Caspio, il Mar d’Azov e il Mar Nero.
Era diventata quindi una “città portuale”. Shin’ichi rifletté che promuovere scambi educativi era un po’ come costruire canali, ovvero unire individui appartenenti a nazioni, ideologie ed etnie diverse verso un futuro di condivisione, costruire delle “città portuali dell’amicizia” da cui poter raggiungere l’oceano della pace. Alle sette di sera, accompagnata dal rettore dell’Università di Mosca Logunov, la delegazione partì dall’aeroporto Sheremetyevo. A Mosca, capitale del Nord, durante il periodo estivo la luce del sole è accecante.
In quell’immensa luce, l’aereo s’innalzava.
«In Europa, numerosi compagni mi stanno aspettando!».
Il cuore di Shin’ichi batteva trepidante di gioia.

(fine del capitolo)

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