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Ho creato la speranza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:55

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Ho creato la speranza

Michaela K. Bellisario, Milano

di Michaela K. Bellisario

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Mi sono appassionata al concetto “da adesso in poi” che mi ha dato speranza, mi ha incoraggiata, mi ha fatto vedere la luce nel buio, ed è stato il primo passo di questa lunga rivoluzione umana

Da quando ho iniziato a praticare, il concetto di “trasformare il veleno in medicina” non mi ha mai abbandonato. Mi sono successe tante cose in questi anni. Ho perso tutto e poi sono risalita trasformando tanti aspetti della mia vita: famiglia, lavoro, amore, malattia, grazie al sostegno dei compagni di fede, sempre vicini in questi alti e bassi. Nei primi mesi di pratica mi sono appassionata al concetto “da adesso in poi” che mi ha dato speranza, mi ha incoraggiata, mi ha fatto vedere la luce nel buio, ed è stato il primo passo di questa lunga rivoluzione umana.
Ho iniziato a praticare nel luglio 2011, sei mesi dopo la morte di mia figlia, avvenuta venti ore dopo la nascita. È stata l’unica che ho avuto visto che poi non ho più potuto averne. Quella volta anch’io ho rischiato di morire, sono stata sei ore tra la vita e la morte dopo un’emorragia. È stata una tragedia che mi ha cambiato completamente la vita. Poi durante un viaggio di lavoro ho incontrato Anna che mi ha parlato della pratica buddista accendendomi una “lanterna nell’oscurità”. La sera stessa ho recitato per la prima volta Nam-myoho-renge-kyo e non ho più smesso.
Dopo sei mesi ha chiuso la testata per la quale lavoravo – faccio la giornalista – e mi sono ritrovata in cassa integrazione; inoltre con il mio compagno le cose non stavano andando bene. Ogni mattina, con il freddo e con il gelo, la mia responsabile di gruppo veniva a sostenermi, incoraggiandomi a praticare per trovare il lavoro “perfetto” per me. Non capivo perché oltre ad aver perso mia figlia, avevo perso anche il lavoro che tanto amavo. Ero annientata, ma continuavo a recitare Daimoku. Poi ho letto una frase di Ikeda: «Se la situazione è senza speranza, create voi la speranza» (BS, 172, 15). Mi ha illuminata. Ho accettato di collaborare a una nuova iniziativa editoriale e ho imparato a lavorare nel web. Mesi dopo, un giornale della casa editrice per cui avevo lavorato cercava un redattore web e io ero una delle poche ad avere le competenze adatte. Così sono stata assunta.
Eppure ero infelice e con il mio compagno le cose non cambiavano. Davanti al Gohonzon ho deciso di sfidarmi facendo un milione di Daimoku per la felicità di entrambi. Alla fine, con grande forza, ci siamo separati. Nel 2014 ho conosciuto il mio futuro marito. Ci saremmo dovuti sposare il primo luglio del 2016, ma mentre eravamo in corsa per i preparativi un’ecografia ha rivelato un nodulo alla mia tiroide di natura incerta. Sono uscita barcollando dallo studio medico. Ancora una volta la vita mi sfidava nel momento più bello. La prima cosa che ho fatto è stato correre davanti al Gohonzon. Avrei superato la paura della malattia con la preghiera: “io non ero quel nodulo”. Da quel giorno ho offerto la casa tutte le mattine per fare Daimoku. Una compagna di fede mi ha dato Il Nuovo Rinascimento dedicato alla malattia (NR, 560, 14). Quando sei in crisi studia, mi dicevano, così ho letto e riletto più volte il Gosho: «Credi profondamente in questo mandala. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo? […] Una spada sarà inutile nelle mani di qualcuno che non si sforza di lottare» (RSND, 1, 365).
Ho deciso di farmi operare subito. Le compagne di fede hanno pregato ogni giorno per me: è andato tutto bene, l’esame istologico ha rivelato che il tumore era benigno. Mentre ero dai miei genitori in convalescenza ho parlato del Buddismo a mia madre e l’ho accompagnata a un meeting vicino casa sua. Qualche tempo dopo mi ha scritto: «Ho un gruppo speciale», una vittoria indimenticabile!
Con la pratica sono sempre risorta. Trasformare “l’impossibile in possibile” è la pura verità, ne ho avuto un’altra conferma con il romanzo autobiografico che ho scritto per dare voce a mia figlia Carolina. Un libro con il quale desidero incoraggiare altre mamme “mancate” per invitarle a essere comunque felici. La pubblicazione è stata un’altra prova inattesa davanti al Gohonzon. Sarebbe dovuto uscire nell’ottobre 2015. Invece pochi mesi prima mi è stato detto che non sarebbe stato pubblicato. È stato uno choc. Ho provato una frustrazione profonda, ho pianto davanti al Gohonzon. Mi scervellavo per capire. Ancora una volta venivo messa alla prova. Nella mia testa riecheggiavano le parole di Nichiren Daishonin: «Non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (RSND, 1, 306). Desideravo che il libro uscisse. Anche questa volta i compagni di fede mi hanno sostenuta ricordandomi di usare la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra. Tutte le mattine leggevo un Gosho e questa frase mi è rimasta nel cuore: «Il Sutra del Loto è un’eccellente spada, ma la sua forza dipende da chi la impugna» (RSND, 1, 846).
Ancora una volta ho deciso di sfidarmi col Daimoku, desiderando una prova concreta. Ho chiesto dei consigli sulla fede e col tempo ho capito che tutto era un allenamento per farmi fare un passo in avanti, per migliorarmi. Ho capito che dovevo riscrivere la seconda parte del libro perché nel frattempo ero cambiata, avevo incontrato il Buddismo. Dovevo togliere l’attenzione da me stessa e dedicare il libro a kosen-rufu. Quando ormai avevo perso le speranze e non ci pensavo più, la mia agente mi ha detto che sarebbe stato pubblicato. Il veleno si era trasformato in medicina, che per me ha voluto dire mettere da parte paure e angosce e affrontare con coraggio ogni cosa, abbandonando la posizione passiva e rassegnata e indirizzando il cuore verso la fiducia e la speranza. Oggi se sono una donna coraggiosa e forte lo devo al Buddismo e al mio maestro Ikeda che mostra chiara la strada da percorrere.

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