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L'eternità della vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:54

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L’eternità della vita

Cosa vuol dire condurre un’esistenza veramente significativa? Cosa succede dopo la morte? Nichiren Daishonin ci esorta a «studiare prima di tutto ciò che riguarda il momento della morte e poi tutto il resto». solo affrontando direttamente la questione della morte possiamo costruire una vita veramente felice. in questo focus presentiamo alcuni estratti dagli scritti di Daisaku Ikeda per approfondire questo tema fondamentale

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Cosa vuol dire condurre un’esistenza veramente significativa? Cosa succede dopo la morte? Nichiren Daishonin ci esorta a «studiare prima di tutto ciò che riguarda il momento della morte e poi tutto il resto». solo affrontando direttamente la questione della morte possiamo costruire una vita veramente felice. in questo focus presentiamo alcuni estratti dagli scritti di Daisaku Ikeda per approfondire questo tema fondamentale

Il Sutra del Loto ci insegna che la nostra vita non è limitata all’esistenza presente ma continua per l’eternità.
Basandosi su questa visione della vita, Nichiren Daishonin ci assicura che se viviamo in accordo con la Legge mistica percorreremo il sentiero della Buddità per l’eternità, trascendendo le sofferenze di nascita e morte.
Scrive infatti:« Se vuoi liberarti dalle sofferenze di nascita e morte che sopporti dal tempo senza inizio e ottenere sicuramente la suprema illuminazione in questa esistenza, devi cogliere la mistica verità che è originariamente inerente a tutti gli esseri viventi. Questa verità è Myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 4).
Il presidente Ikeda esprime in termini contemporanei il messaggio fondamentale del Daishonin attraverso l’immagine di un’esistenza caratterizzata dalla gioia sia nella vita che nella morte. Ci esorta a vivere creando valore per la nostra felicità e quella degli altri, in altre parole ci indica come conseguire la Buddità nella vita presente.
In che modo il Buddismo fornisce la soluzione alle questioni fondamentali della vita e della morte? In queste pagine offriamo alcuni spunti di riflessione.

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La morte esiste per il bene della vita
Esaminando la natura dell’Illuminazione di Shakyamuni, il presidente Ikeda parla della visione buddista della vita e della morte

Tutti gli esseri viventi hanno una paura istintiva della morte. Gli esseri umani in particolare provano un dolore indescrivibile quando pensano a cosa li aspetta dopo questa vita.
Con estremo coraggio Shakyamuni superò il primordiale istinto di paura della morte e rifletté profondamente sull’essenza della vita. Non cercava di mascherare la realtà della sofferenza umana offrendo miti o storie consolanti a cui aggrapparsi; la guardava dritta in faccia con obiettività.
Tutto ciò che nasce muore. Questa è la legge della vita. Ma la vita e la morte sono completamente separate una dall’altra? O invece sono strettamente correlate? C’è una continuità che soggiace alla vita stessa? Riflettendo su di sé, Shakyamuni cercò le risposte a queste domande con coraggio e tenacia. E la verità a cui si risvegliò è che la vita è eterna.
L’esistenza umana comprende sia la vita che la morte. Scorre per l’eternità, potentemente, ripetendo un ciclo in cui si alternano fasi manifeste e fasi di latenza. Non si tratta di una filosofia dell’immortalità dell’anima che nasce da un ostinato attaccamento alla vita. Piuttosto, è una convinta affermazione dell’eternità della vita basata sul riconoscimento del funzionamento della legge di causa ed effetto nell’esistenza di ogni individuo. Il significato della morte in questa visione è analogo al sonno rispetto alla veglia, che ci fornisce quel riposo necessario per risvegliarci di nuovo.
In questo senso la morte è un “espediente” per vivere, e lo scopo della morte è far brillare la vita ancora di più. Vita e morte non sono in opposizione: la morte esiste per il bene della vita. (cfr. D. Ikeda, BS, 171, 12)

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Il ciclo di nascita e morte
Il presidente Ikeda spiega come nel susseguirsi del ritmo di vita e morte si manifesti il ritmo stesso dell’universo, come le onde del mare che fluiscono

Finché non ci si libera dalla sofferenza della morte non si può godere di vera felicità, e a nulla valgono i ragionamenti e le teorie intellettuali. La vita e la morte costituiscono il grande ed eterno ritmo dell’universo.[…] La strada per la liberazione interiore consiste nel recitare Nam-myoho-renge-kyo e insegnare agli altri a fare lo stesso. […] La Legge mistica è la Legge eterna e infinita dell’universo che comprende le due fasi di vita e morte. In altre parole le due fasi di vita e morte sono di per sé il ritmo della Legge eterna e appaiono come la vita e la morte di innumerevoli entità viventi, come il sorgere e l’estinguersi di tutti i fenomeni, come tutti i tipi di differenti cause ed effetti in ogni sorta di dimensione, come l’armonia e il dinamismo dell’universo nella sua interezza. […]
La relazione tra la vita, la morte e la Legge mistica può essere descritta come un’onda che appare sulla superficie dell’oceano e poi si inabissa nuovamente. L’oceano rappresenta la Legge mistica, l’onda sta a indicare una singola vita o fenomeno. Il movimento delle onde che emergono dall’oceano e poi vi ritornano corrisponde al ciclo di nascita e morte. Tuttavia, quando muoiono le singole vite non scompaiono nell’oceano della Legge mistica, come accade normalmente alle onde marine. Così come in fondo all’oceano fluiscono numerose correnti invisibili alla superficie, si può affermare che la differenza fra vita e morte è simile a quella fra le onde che appaiono in superficie e le correnti che scorrono nelle profondità dell’oceano. L’essenza vitale di un individuo non si estingue con la morte; vita e morte non sono altro che le fluttuazioni della Legge mistica.
Le correnti che scorrono nelle profondità dell’oceano emergono in superficie sotto forma di onde, poi si inabissano nuovamente, tornando a essere invisibili. Similmente, un’onda di vita che emerge nella superficie dell’oceano della Legge mistica, nel morire si fonderà nuovamente con quell’oceano e continuerà le sue fluttuazioni invisibili. Quando le condizioni saranno appropriate, quell’essenza vitale apparirà un’altra volta sotto forma di una nuova onda.
(D. Ikeda, lezione su L’eredità della Legge fondamentale della vita, esperia, pag. 10)

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Gioia nella vita, gioia nella morte
In questo estratto della conferenza di Harvard del 1993, il presidente Ikeda sottolinea che coloro che si dedicano a kosen-rufu e stabiliscono nella propria vita uno stato di felicità assoluta, possono percorrere in eterno un sentiero in cui sperimentare gioia sia nella vita che nella morte

La morte non è la fine di tutto. Nascita e morte sono aspetti dell’eternità della vita. Il ciclo di nascita e morte fondato sulla Legge mistica è il meraviglioso dramma che viene rappresentato per l’eternità sul grande palcoscenico della vita. Impegnandoci per kosen-rufu possiamo stabilire in questa esistenza uno stato di felicità assoluta, avanzando lungo il sentiero della gioia sia nella vita che nella morte. […]
Il presidente Toda spesso paragonava la morte al sonno. Soleva dire che proprio come ci risvegliamo freschi e pieni di energia dopo un buon sonno notturno, coloro che muoiono avendo recitato Nam-myoho-renge-kyo per tutta la vita, dopo un periodo di riposo rinasceranno per tornare a dedicarsi a kosen-rufu.
Nichiren Daishonin si riferisce ripetutamente nei suoi scritti al momento della morte.
Per esempio: «È impossibile trattenere lacrime di gioia sapendo che non uno o due, non cento o duecento, ma mille Budda verranno ad accoglierci con le braccia aperte» (RSND, 1, 190); e ancora: «Al momento della tua morte sarò sicuramente con te e ti accompagnerò nel passaggio fra questa vita e la prossima» (RSND,1, 857); «Finché era in vita egli era un Budda vivente e ora è un Budda defunto. Si è Budda sia nella vita sia nella morte. Questa è la profonda dottrina del conseguimento della Buddità nella forma presente» (RSND, 1, 403).
Molti grandi scrittori e pensatori di tutto il mondo credono nell’eternità della vita. La loro visione ha molto in comune con quella buddista. Lev Tolstoj (1828-1910) era uno di questi. Nel 1907, all’età di settantanove anni, poco tempo prima di morire, scrisse: «La vita è gioia e anche la morte è gioia». Queste parole esprimono la solidità spirituale a cui era giunto Tolstoj dopo una vita piena di vicissitudini. (D. Ikeda, BS, 171, 13-14)

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Legami senza fine
I legami che abbiamo forgiato nell’esistenza presente non saranno recisi e non si estingueranno con la morte. Anche se possono essere invisibili come le onde radio, dureranno eternamente

Ne La raccolta degli insegnamenti orali Nichiren Daishonin afferma: «Ora, quando Nichiren e i suoi seguaci svolgono cerimonie per i defunti, declamando il Sutra del Loto e recitando Nam-myoho-renge-kyo, il raggio di luce del Daimoku penetra fino all’inferno della sofferenza incessante e rende possibile che i defunti conseguano immediatamente la Buddità. Questa è l’origine delle preghiere per il trasferimento dei meriti ai defunti» (BS, 109, 47).
Il potere della recitazione del Daimoku è inimmaginabile. Il Daishonin afferma che la luce del Daimoku che noi recitiamo raggiunge ogni angolo dell’universo, illuminando anche coloro che si trovano nell’inferno della sofferenza incessante dopo la morte, permettendo loro di conseguire la Buddità.
Il Daishonin scrive a una discepola: «Sii fermamente convinta che i benefici derivanti da questa offerta si estenderanno ai tuoi genitori, ai tuoi nonni e a un infinito numero di esseri viventi» (RSND, 1, 474). I grandi benefici che otteniamo grazie alla pratica buddista per kosen-rufu si estendono anche ai defunti e alle generazioni future.
Offrire preghiere basate sulla Legge mistica – ossia recitare Nam-myoho-renge-kyo – è l’offerta più preziosa che possiamo fare ai nostri cari defunti, poiché la Legge mistica ha il potere di far sì che tutti conseguano la Buddità, non solo chi vive qui nel presente ma tutte le persone delle tre esistenze di passato, presente e futuro.
In una lettera indirizzata a Joren-bo, che aveva perso il padre, il Daishonin scrive: «Il corpo che il padre e la madre lasciano dietro di sé non è altro che la forma fisica e la mente del figlio. I benefici che tu, onorevole Joren, hai acquisito attraverso la fede nel Sutra del Loto daranno forza al tuo gentile padre» (RSND, 2, 540).
I benefici che ricevete in quanto praticanti della Legge mistica si estendono anche ai vostri genitori, perfino se non praticano il Buddismo del Daishonin. Oggi siamo in vita grazie ai nostri genitori. Loro ci hanno messo al mondo. Per questo il conseguimento della nostra Buddità conduce alla loro. Non importa il passato, è il presente che conta; sono le nostre azioni che determinano il futuro. Basta il risveglio di un singolo individuo per illuminare come un sole tutti i membri della sua famiglia e tutti i suoi legami con la luce della Legge mistica.
Il Daishonin fa notare che se noi stessi non conseguiamo la Buddità, non possiamo neppure aiutare i nostri genitori a conseguirla, e tanto meno le altre persone (cfr. RSND, 1, 825). Custodiamo queste parole nel cuore. (D. Ikeda, BS, 171, 21)

La vita è eterna. Benché quando qualcuno muore diciamo di averlo perduto, di fatto sarebbe più corretto dire che è andato lontano per un certo periodo, come quando un amico si trasferisce all’estero e per un po’ non possiamo vederlo.
Il presidente Toda da giovane perse una figlia. Molti anni dopo, rispondendo a una persona alla quale era morto un figlio e gli chiedeva se fosse possibile stabilire di nuovo una relazione genitore-figlio nella stessa esistenza, disse: «Quando avevo ventitré anni persi mia figlia Yasuyo. Dopo che morì la tenni in braccio per tutta la notte. Allora non conoscevo ancora il Gohonzon. Ero annientato dal dolore e mi addormentai con la mia bambina morta tra le braccia. Così ci separammo. Quando lei morì aveva tre anni, io oggi ne ho cinquantotto, perciò se fosse ancora viva sarebbe una donna adulta. Ho incontrato di nuovo mia figlia nel corso della mia vita? Questa è una cosa che può essere percepita solo attraverso la fede. Io credo di averla incontrata nuovamente. Il fatto di essere riuniti con un parente defunto in questa esistenza o nella prossima è una questione di fede». Dopo aver perso la figlia, Toda perse anche la moglie. Anche in quella occasione la sua pena fu immensa, ma lui diceva che proprio quelle sofferenze gli avevano permesso di incoraggiare e consolare molte altre persone e di diventare un leader capace di comprendere i sentimenti degli altri.
Ogni cosa che ci succede ha un significato. Anche se siete tristi e colmi di dolore, e sentite di non poter più andare avanti, se continuate comunque ad avanzare coraggiosamente, vivendo la vostra vita senza farvi sconfiggere, arriverete un giorno a capire il significato della sofferenza che state attraversando. Questo è il potere della fede ed è anche l’essenza della vita. (D. Ikeda, BS, 171, 25)

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L’inizio di un nuovo viaggio
Quando recitiamo il Daimoku di Nam-myoho-renge-kyo con la profonda convinzione che siamo entità della Legge mistica possiamo sprigionare la grande forza vitale propria di questa Legge, dotata di saggezza e compassione. Possiamo utilizzarla per superare qualsiasi doloroso ostacolo o difficoltà, e stabilire uno stato di assoluta felicità che nulla può distruggere. […] Coloro che portano a termine la loro vita con una fede corretta e risoluta fino al momento della morte incarnano, nella profondità del loro essere, le funzioni compassionevoli dell’universo che ci spingono ad alzarci e fare il grande voto di intraprendere ancora una volta il nobile impegno per kosen-rufu. Per noi praticanti del Buddismo del Daishonin la morte segna l’inizio di un viaggio pieno di speranza verso la prossima esistenza.
(D. Ikeda, lezione su L’eredità della Legge fondamentale della vita, esperia, pag. 44)

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Bibliografia di riferimento

– D. Ikeda, I misteri di nascita e morte, esperia
– D. Ikeda, Sfide e visioni per il futuro, esperia
Buddismo e società, n. 151, 165, 171
-.D. Ikeda, lezione su L’eredità della legge fondamentale della vita, esperia
– D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, voll. 2 e 3

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Non dualità di vita e morte

«La nostra esistenza è eterna, si manifesta come vita per poi diventare nuovamente latente come morte, in un ciclo infinito»

La nascita e la morte sono due aspetti della vita. In altre parole, la vita si manifesta attraverso il ciclo di nascita e morte. Per i comuni mortali la vita inizia con la nascita e termina con la morte. Ma il Buddismo descrive la natura della vita come un tutto che si manifesta in maniera attiva come nascita, o esistenza, e permane in forma latente come morte.
Qual è la visione buddista dei due aspetti di nascita e morte? Il Sutra del Loto parla di “flusso” e “riflusso”. “Flusso” si riferisce alla vita e “riflusso” indica la morte. […] Secondo questo principio, la vita è lo stato in cui la nostra esistenza si manifesta in maniera attiva e la morte è lo stato in cui ritorna latente. Tali fasi di nascita e morte continuano per l’eternità. Questa è la vera natura della vita.
Il supremo insegnamento del Buddismo secondo cui la vita è una condizione attiva e la morte uno stato latente, offre una visione profonda e straordinaria dell’eternità della vita. Inoltre insegna la non dualità di vita e morte. Quando la vita nello stato latente entra in contatto con le cause e le condizioni giuste, diventa manifesta e assume la forma dinamica di un essere vivente dotato di una ricca individualità. Alla fine quella vita pian piano rifluisce e va verso la morte. Ma una volta passata allo stato di latenza, accumula nuova energia in attesa della fase di vita successiva. La vita è l’esplosione dell’energia immagazzinata nello stato di latenza. Alla fine quella vita giunge al termine e ritorna nella fase di morte. Si fonde con l’universo, si ricarica grazie al potere della vita dell’universo e attende di manifestarsi nuovamente come vita attiva. Questa è la natura della vita e della morte inerente a tutte le cose e Nam-myoho-renge-kyo è l’essenza di questo ritmo intrinseco dell’universo.
(D. Ikeda, BS, 171, 14)

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Il coraggio di sorridere ancora

Rosi racconta come ha affrontato la morte della figlia con la pratica buddista: «ll beneficio più grande è stato ricominciare a vivere»

di Rosi Telese, Livorno

La prima volta che ho sentito Nam-myoho-renge-kyo è stato nel 2013, dalla voce di mia figlia Alessia. Non capivo cosa diceva, ma non mi importava perché l’essenziale era cercare una cura che la facesse guarire.
Alessia aveva una forma grave di cancro e se quella pratica poteva aiutarla, andava benissimo. La sua malattia è durata tre anni. Tre anni di lotte e speranze, durante i quali sono stati pochi i momenti in cui l’ho vista cedere.
Nello stesso periodo mi sono trovata a vivere la morte di mia madre e la malattia di mio marito; credevo di impazzire, ma il mio pensiero costante era per Alessia. L’amore per un figlio non si può descrivere e il pensiero di poterla perdere mi distruggeva, anche se non mi davo per vinta.
Ho sempre saputo di avere una figlia meravigliosa, ma durante gli anni della malattia ho scoperto la vera Alessia: ha sorriso fino alla fine. Ci vuole un grande cuore per sorridere con la consapevolezza di non poter arrivare a domani, e lei quel cuore lo aveva. Sono orgogliosa e fiera di essere sua madre. Alessia è morta il 9 febbraio 2014, a trentasette anni.
Il vuoto del dopo è stato terribile, non avevo più nessuna certezza, la rabbia e il dolore si erano impossessati di me e desideravo soltanto raggiungerla.
Con mio marito non parlavamo più, ognuno si era rinchiuso nel proprio dolore.
Mio figlio, nel frattempo trasferitosi a Livorno, ci chiedeva di raggiungerlo. Noi andavamo da lui per pochi giorni ma poi dovevamo tornare a Firenze, nella casa dove avevamo vissuto tutti insieme.
Verso la fine di maggio trovandoci a Livorno siamo andati al parco e una signora ci ha visto piangere e ci ha chiesto se avevamo bisogno di qualcosa; le abbiamo raccontato il nostro dolore e lei ci ha detto che aveva perso il marito, ma praticando il Buddismo di Nichiren ­Daishonin riusciva a dare un senso alla sua vita. Mio marito è stato colpito dalla forza e dalla serenità che ci ha trasmesso.
Un giorno tra le cose di Alessia ho trovato il libretto di Gongyo e mi è tornata in mente la frase che recitava.
Così ho deciso di andare al Centro culturale di Firenze con mio marito.
Una volta lì, abbiamo recitato Nam-myoho-renge-kyo insieme ad altre persone, e quel suono ci è entrato nel cuore. La sera con mio marito abbiamo realizzato che quel giorno, per la prima volta dopo tanto tempo, ci eravamo sentiti meno oppressi dal dolore. Così abbiamo deciso di provare a recitare Daimoku: non avevamo niente da perdere.
Il primo incontro con i responsabili della zona non lo dimenticherò mai, erano pieni di umanità, mi sembrava di conoscerli da sempre.
Iniziare non è stato facile, ma recitare Nam-myoho-renge-kyo mi faceva stare meglio, e mentre recitavo Daimoku e studiavo il Buddismo insieme a mio marito, mi sembrava di capire meglio alcuni aspetti della mia vita.
Mio marito, che non leggeva quasi niente, in poco tempo ha letto tutti i volumi de La rivoluzione umana e ha iniziato La nuova rivoluzione umana. Quanto a me, ne La saggezza del Sutra del Loto ho trovato gli incoraggiamenti che hanno cambiato il mio atteggiamento verso la vita: «Per gli esseri umani è naturale temere la morte ed esserne rattristati. Ma affrontando e vincendo il dolore e la tristezza che sempre si accompagnano alla morte, sviluppiamo compassione e simpatia per le sofferenze altrui e rafforziamo la nostra umanità» (Saggezza, 2, 203).
A novembre 2014 abbiamo ricevuto il Gohonzon e siamo diventati membri della Soka Gakkai. Il beneficio più grande è stato ricominciare a vivere. Poco tempo dopo abbiamo deciso di vendere la casa di Firenze e trasferirci a Livorno e trovare una sistemazione per il cavallo di Alessia. Abbiamo realizzato questi obiettivi nei tempi stabiliti e da allora viviamo a Livorno vicino a nostro figlio. Ho scritto una lettera al presidente Ikeda per trasmettergli la mia gratitudine e lui mi ha risposto. Questo mi ha riempita di gioia!
Oggi mi viene spontaneo incoraggiare chi soffre, riesco a comprendere di più le sofferenze degli altri, so che ci sono altre madri che stanno vivendo questo dolore e forse posso fare qualcosa per loro raccontando la mia storia.
Mio figlio in un biglietto ha scritto: «Cara mamma e caro babbo, quando Alessia ci ha lasciato ho avuto paura di vedervi morire di dolore giorno per giorno, ma invece avete deciso di vivere e di provare a cercare ogni giorno un sorriso… Per questo non vi ringrazierò mai abbastanza».
Anche io voglio ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine. Alessia mi manca tantissimo, ma voglio dare valore alla mia vita e anche alla sua per quello che mi ha insegnato e mi ha lasciato.
Nichiren Daishonin scrive: «Non potrà mai accadere che una donna che recita Nam-myoho-renge-kyo non si riunisca al suo adorato figlio» (RSND, 1, 968).

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La forza della fede

«Attraverso la sua morte percepii, per la prima volta, il senso dell’eternità della vita»

di Chiara Menghi, Roma

Ho cominciato a praticare a diciannove anni grazie a mia madre. Le liti violente fra lei e mio padre erano sempre più frequenti, ma grazie alla sua pratica e al suo coraggio, nell’arco di quindici anni la loro relazione si trasformò completamente. Durante l’adolescenza avevo tentato di ostacolarla, poi però cominciai anche io a praticare, diventai membro e infine anche mio fratello, compiuti sedici anni, entrò nella Soka Gakkai.
La rivoluzione umana di mamma è stata per me dimostrazione della potenza del Daimoku e del funzionamento del Gohonzon, e il rapporto con mio padre ha sempre rappresentato la più grande occasione di crescita e di cambiamento.
A ottobre di due anni fa venne diagnosticato a mio padre un carcinoma all’ipoglottide e dovette sottoporsi a un lungo ciclo di radioterapia. Mi crollò il mondo addosso, avevo la sensazione che la vita fosse finita.
Volevo sperimentare una preghiera che mi permettesse di tirare fuori un coraggio che non avevo. Mi chiesi quale fosse l’azione più coraggiosa che potessi fare e la risposta fu: shakubuku. Avrei fatto Daimoku col desiderio di parlare a tutti del Buddismo, avrei sconfitto la paura, aperto la mia vita, e da quest’azione avrei tratto la forza necessaria.
Unita al cuore del mio maestro, rinnovai ancora una volta il mio voto di portare avanti con coraggio la mia rivoluzione umana.
Il 18 novembre 2017 ero in Umbria per delle gare di equitazione. Cominciò a diluviare e insieme a tutti gli allievi ci riparammo in un box e cominciammo a parlare, fin quando una di loro mi chiese del Buddismo: iniziò un vero e proprio zadankai. Quando sciogliemmo la “riunione” camminavo a tre metri da terra. Più tardi mi si avvicinò Giovanna, una ragazza con cui avevo avuto un forte attrito, chiedendomi di raccontarle la mia esperienza sul Buddismo. Proprio lei… non potevo crederci! La decisione che avevo preso davanti al Gohonzon, legata alla malattia di mio padre, di fare shakubuku, era stata più forte dei miei limiti, delle mie paure, del mio piccolo io ed era inarrestabile. Le aprii il mio cuore e dopo circa due settimane l’accompagnai al suo primo zadankai. Giovanna cominciò a praticare, insieme a sua madre e a sua sorella!
Durante questi mesi mio padre affrontò la radioterapia e io lo sostenni con tutte le mie forze.
Arrivai a percepire che tutti gli aspetti della vita sono connessi e per la prima volta sentii che la cosa migliore che potevo fare per sostenere la vita di mio padre era far fiorire la mia, visto che sono profondamente unite. Proprio in quel periodo, inaspettatamente, mi sono innamorata ed è sbocciata una storia d’amore.
Intanto decisi di continuare a sfidarmi nell’attività per gli altri, tutte le mattine facevo due ore di Daimoku con l’obiettivo di arrivare al 16 marzo, giorno di kosen-rufu, con una grande vittoria da regalare al mio maestro. Furono giorni intensissimi nei quali compresi, attraverso la paura quotidiana della morte, la potenza della vita. Giovanna decise di ricevere il Gohonzon. Fu pazzesco percepire con tanta intensità che la vita è immensa, meravigliosa anche nella più profonda sofferenza. A metà aprile papà cominciò ad aggravarsi e fu ricoverato per un crollo dovuto agli effetti della radioterapia.
Arrivò il corso giovani a Chianciano: fino all’ultimo istante io e mio fratello non sapevamo se fosse saggio partecipare, ma poi decidemmo di partire per rafforzare la nostra fede e sostenere ancora meglio papà. Al corso ricevetti incoraggiamenti continui da parte di tutti. Tornando andai subito a trovarlo, e gli lessi degli incoraggiamenti di sensei che apprezzò molto.
La notte del 2 giugno se ne andò mentre recitavamo Daimoku accanto a lui. Attraverso la sua morte percepii, per la prima volta, il senso dell’eternità della vita. Avevo molta gratitudine: tutta la famiglia aveva cominciato a praticare grazie a lui. Ad agosto sono andata in Giappone insieme a mio fratello e al mio compagno. Siamo stati al Daiseido, abbiamo recitato Gongyo con la voce di sensei, un’emozione fortissima in cui ho rinnovato il mio voto di dedicare la vita a kosen-rufu.
Con Giovanna abbiamo accompagnato una nostra amica allo zadankai, lei è diventata una vera campionessa di shakubuku: oggi anche sua mamma e sua sorella praticano regolarmente e sua madre sta pensando di ricevere il Gohonzon. Averle aperto il cuore ha allargato la mia vita come non mi era mai accaduto. Sensei scrive: «Nichiren Daishonin dichiara: “Un alberello sotto un grande albero o l’erba vicino a un grande fiume non ricevono direttamente la pioggia o l’acqua, tuttavia prosperano attingendo la rugiada dall’albero grande o attirando l’umidità del fiume” (RSND, 1, 752). Ciò significa che quando c’è anche un solo membro della Soka Gakkai che recita Nam-myoho-renge-kyo per sé e per gli altri, in quella famiglia, in quel posto di lavoro, in quella comunità, egli diventerà un solido e ben radicato “grande albero della felicità”. Tutti coloro che entreranno in relazione con quella persona, indipendentemente dal fatto di praticare o meno il Buddismo del Daishonin, potranno attingere immancabilmente alla felicità e alla buona fortuna che derivano dalla fede nella Legge mistica» (NR, 614, 5).

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L’importante è come utilizziamo la nostra vita

Daisaku Ikeda introduce la storia di Akemi Yamada con queste parole: «La durata o la brevità della nostra vita non sono la cosa principale. Recitare Nam-myoho-renge-kyo mentre siamo vivi è di per sé la più grande felicità e, dopo la morte, grazie alla relazione col Buddismo creata in questa vita torneremo velocemente sul palcoscenico di kosen-rufu. È come se andassimo a schiacciare un pisolino per riposarci un po’ e poi svegliarci freschi e riposati. Se una persona mantiene una fede forte fino alla fine, ha trionfato. Ci sono molte persone che, nonostante avessero una malattia incurabile, fino all’ultimo momento hanno pregato per kosen-rufu e per la felicità dei loro amici membri, e hanno continuato a incoraggiare gli altri. La loro vita e il loro coraggio di fronte alla morte hanno rincuorato e ispirato innumerevoli persone. In questi casi, dopo la morte si rinascerà rapidamente con un corpo sano»

Nell’ottobre del 1982, a soli quattordici anni, Akemi morì, ma lungo tutto il corso della malattia visse felice e allegra. In ospedale incoraggiava anche gli adulti, condividendo il suo spirito e positivo con chiunque incontrasse. Senza dubbio la sua malattia doveva causarle terribili dolori, ma lei continuò a recitare Daimoku e a incoraggiare gli altri.
Quando stava per morire, confidò a una persona: «Non mi preoccupo più della mia malattia o di quel che mi accadrà. Ho smesso di pregare per me stessa. Ci sono tante persone che stanno molto peggio di me. Io prego con tutto il cuore che prima possibile inizino a praticare il Buddismo e scoprano quanto è meraviglioso il Gohonzon». Ai suoi genitori disse: «Pensa se questo fosse successo a te, papà. Saremmo in un guaio terribile! E sarebbe altrettanto terribile se ti fossi ammalata tu, mamma. Se poi la malattia avesse colpito il mio fratellino, sono certa che non sarebbe riuscito ad affrontarla. Sono felice di essermi ammalata io, anziché uno di voi… sono sicura che questo sia il risultato di una promessa che ho fatto prima di nascere. Se chi mi ha conosciuto imparerà qualcosa dalla mia vita, sarò felice».
Io venni a sapere della sua lotta contro la malattia e le mandai delle rose insieme a un ventaglio sul quale avevo scritto le parole “Luce di felicità”, e la fotografia di un campo di iris in fiore che io stesso avevo scattato. Mi riferirono che fu entusiasta di quei regali. Le parole che lasciò a chi le stava vicino furono: «Fede significa avere fede proprio fino all’ultimo», parole a cui diede significato con la sua stessa vita.
Al suo funerale c’era una gran folla. Nei quattordici anni che era durata la sua breve vita, aveva parlato della grandezza della Legge mistica a più di mille persone. Ciò che penso è che Akemi ha vinto. La sua vita e la sua sofferenza hanno avuto un significato, o meglio, tramite la sua lotta è riuscita a dare significato alla sua sofferenza. Akemi disse che la sua malattia era il risultato di una promessa che aveva fatto prima di nascere. Il Buddismo insegna il principio di “scegliere deliberatamente le proprie circostanze”. Ciò vuol dire che i praticanti della Legge mistica scelgono volontariamente di nascere in situazioni dolorose, così da poter dimostrare agli altri il potere del Buddismo attraverso le loro lotte. Questo è il modo di vivere di un bodhisattva.
Se chi abbraccia la fede fosse perfettamente felice fin dall’inizio, le persone non arriverebbero mai a conoscere il potere del Buddismo.
È per questo motivo che alcuni scelgono volontariamente di nascere in situazioni di grande sofferenza, così da poter mostrare agli altri come fare la propria rivoluzione umana. (D. Ikeda, Sfide e visioni per il futuro, esperia, pagg. 119-124)

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