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Ripartire dal Gosho - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:43

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Ripartire dal Gosho

Massimo Proietti, Treviso

Mi affidai al Gohonzon come non avevo mai fatto e decisi di diventare un punto di riferimento per la mia famiglia. Volevo tirar fuori la stessa determinazione che mette la carpa per diventare un drago

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Mi affidai al Gohonzon come non avevo mai fatto e decisi di diventare un punto di riferimento per la mia famiglia. Volevo tirar fuori la stessa determinazione che mette la carpa per diventare un drago

Mi sono avvicinato al Buddismo con curiosità ma anche con scetticismo. Recitando Daimoku mi rafforzavo sempre di più, e giorno dopo giorno imparavo a conoscermi. Vidi subito degli aspetti che mi impedivano di avere relazioni felici con la mia famiglia, sia coi miei genitori che con le mie due figlie, che mi consideravano un padre autoritario.
Nel 2008 ricevetti il Gohonzon. Durante un corso studiai il Gosho La Porta del Drago e mi rimase impresso il passo: «Si dice che un gran numero di carpe si raccolgano nel bacino sottostante sperando di risalire la cascata e che quella che riuscirà nell’impresa si tramuterà in un drago. Tuttavia, non una sola carpa su cento, su mille o anche su diecimila riesce a risalire la cascata, nemmeno dopo dieci o venti anni. […] Tale è la difficoltà per una carpa di diventare un drago» (RSND, 1, 890). Da allora questo Gosho è diventato il riferimento da cui riparto per affrontare le difficoltà.
Al ritorno dal corso, desideravo fare un’esperienza in famiglia; mi affidai al Gohonzon come non avevo mai fatto e decisi di diventare un punto di riferimento per loro. Volevo tirar fuori la stessa determinazione che mette la carpa per diventare un drago. Misi l’obiettivo di recitare un’ora di Daimoku al giorno e approfondire le basi di fede, pratica – per sé e per gli altri – studio; iniziai l’attività di protezione al Centro culturale di Roma e mi impegnai a consegnare le riviste alle persone del mio gruppo, mentre incoraggiavo con entusiasmo quelle che ancora non erano abbonate, che in poco tempo si abbonarono. Tutto ciò portò un effetto incredibile: i miei parenti mi vedevano cambiato e le mie figlie, che erano sempre state sprezzanti, più volentieri mi parlavano dei loro problemi e mi ascoltavano.
Nel 2013 fui trasferito per lavoro a Treviso. Iniziò un periodo di grande sofferenza, mi sentivo perso. Il mio Daimoku giorno dopo giorno diventava più debole, trovavo sempre scuse per non frequentare i gruppi e così, di lì a poco, smisi di praticare. Ero disperato e completamente in balia della depressione.
Un giorno “per caso” rilessi La Porta del Drago e, ancora una volta, fui colpito dalla determinazione espressa dal Daishonin. Ispirato nuovamente da quelle parole, ripresi a praticare, disposto a tutto pur di vincere la depressione. Mi misi in contatto coi compagni di fede e ripresi a partecipare agli zadankai. In quel periodo feci shakubuku a tutti i miei colleghi, e due di loro ricevettero il Gohonzon.
A marzo 2014 dovetti affrontare la morte di mio padre. Ebbi la fortuna di poterlo accompagnare recitando Daimoku. Riuscii a essere di sostegno a mia madre e alle mie due sorelle. In quel momento le parole di sensei mi furono di grande conforto: «Il Buddismo insegna la inseparabilità di vita e morte. Il Daishonin ci assicura che i membri di una famiglia uniti dai legami della Legge mistica, si incontreranno di nuovo dopo la morte» (BS, 180, 57).
Dopo pochi mesi anche mia madre si ammalò e l’anno dopo morì. Per superare il senso di vuoto mi impegnai a recitare più Daimoku e decisi con tutto il cuore di realizzare un obiettivo che sembrava impossibile: che le mie figlie abbracciassero il Buddismo.
Grazie a questa rinnovata determinazione Valeria, la maggiore, il 14 novembre ricevette il Gohonzon e oggi è responsabile di hombu. Poi a giugno dell’anno scorso andai a trovare Francesca, la più piccola, che da diversi anni vive negli Stati Uniti. Desideravo creare con lei un legame ancora più profondo, nonostante la distanza. Abbiamo avuto modo di approfondire insieme il valore della pratica buddista e durante una visita al Centro culturale di San Diego, grazie anche alla sorella che ci sosteneva dall’Italia, Francesca ha deciso di ricevere il Gohonzon.
Il mio cuore traboccava di gioia, la “gioia delle gioie”, così come è descritta dal presidente Ikeda quando spiega il beneficio della pratica per gli altri.
La mia vita, mai statica, ancora una volta mi riservava una sorpresa: a settembre, in modo del tutto inatteso e scorretto, venivo licenziato. Nonostante il panico iniziai immediatamente a recitare Daimoku fino a sentire di poter affrontare con assoluta determinazione questa nuova prova.
Ancora una volta mi venne in aiuto il Gosho: «L’uomo saggio merita di essere chiamato tale perché non si lascia sviare dagli otto venti: prosperità, declino, onore, disonore, lode, biasimo, sofferenza e piacere. Non si esalterà nella prosperità né si lamenterà nel declino. Gli dèi celesti sicuramente proteggeranno chi non si piega di fronte agli otto venti, ma se tu nutri un irragionevole rancore per il tuo signore, per quanto tu possa pregarli, essi non ti proteggeranno» (RSND, 1, 705). Decisi di utilizzare la situazione creando valore e al secondo colloquio per trattare l’uscita dall’azienda, pensando all’esempio di sensei e ai suoi incoraggiamenti, finii per fare shakubuku a chi mi aveva licenziato. Dopo qualche tempo raggiunsi l’accordo che desideravo: mi veniva riconosciuto economicamente il valore professionale che desideravo, ma soprattutto il mio valore come essere umano. Ora, per dare nuovo slancio alla mia vita, determino di approfondire sempre di più la relazione col ­maestro, di rilanciare le attività del settore di cui sono responsabile, creando ancora più unità con i miei compagni di fede e di parlare a tante persone del Buddismo, soprattutto ai giovani.

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