La preghiera è il mezzo per distruggere la paura. È il modo per bandire la tristezza e accendere la speranza. È una rivoluzione che riscrive la sceneggiatura del nostro destino
«Le persone qui non credono nella gerarchia», ha dichiarato Akemi Porteous, responsabile del Gruppo donne della Scozia. «C’è una forte e diffusa consapevolezza dell’eguaglianza di tutte le persone. Né ai ministri del Governo né al primo ministro viene riservato un trattamento speciale. Il popolo scozzese reagisce negativamente alle religioni assolutiste e parrocchiali: ha un forte spirito di autonomia e indipendenza».
Poi ha aggiunto: «Di conseguenza, le attività della Gakkai non possono essere calate dall’alto, con ordini e istruzioni provenienti dai livelli superiori. Ho imparato che ogni cosa deve essere decisa attraverso il dialogo e il consenso, e in questo i membri giocano il ruolo principale. Dopotutto, la Scozia è la terra della libertà!».
La Scozia fu descritta dal primo ministro britannico Winston Churchill con queste parole: «Tra tutte le piccole nazioni della terra, forse solo gli antichi Greci superano gli scozzesi in termini di contributo all’umanità». Lo scenario naturale è aspro, ma il loro carattere è libero e indipendente: sono forti e grandi lavoratori. Gli scozzesi sono convinti che il segreto del successo sia insistere finché non si ottiene il risultato: è questo spirito che ha fatto di loro i leader della rivoluzione industriale. Hanno anche giocato un ruolo importante nella modernizzazione del Giappone. Con il motto “Dove c’è libertà c’è la mia patria”, gli scozzesi sono emigrati in numerosi paesi, e oggi ci sono circa quaranta milioni di persone in giro per il mondo che vantano antenati scozzesi.
Il giorno che visitai l’Università di Glasgow era ventoso e troppo gelido per essere giugno, anche se ciò non dovrebbe sorprendere, dato che Glasgow si trova alla stessa latitudine di alcune zone della Siberia. È proprio quel vento freddo che ha forgiato il carattere indomito degli scozzesi, facendone un popolo pronto ad affrontare qualsiasi sfida. Sono stato felice di avere l’opportunità di conoscere il vero aspetto della Scozia, anche se solo per breve tempo.
Era il 1994. Il giorno del mio arrivo un membro locale esclamò stupito: «Non c’è una nuvola in cielo! Raramente vediamo cieli così limpidi in questo periodo dell’anno!». Se quella giornata si presentò quasi estiva la successiva, quando posai per una foto di gruppo con i membri, fu primaverile, tiepida e leggermente nuvolosa. L’ultimo giorno (il quarto), quando tornai a Londra, cadeva una pioggia sottile e fredda, dai toni autunnali. Mentre il mio terzo giorno in Scozia, quando ricevetti il dottorato ad honorem dall’Università di Glasgow, fu una giornata invernale. Mia moglie commentò: «In questi quattro giorni di permanenza abbiamo avuto la possibilità di sperimentare tutte e quattro le stagioni!».
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Arrivò il momento della cerimonia di premiazione. La sala era immensa, con alti soffitti ad arco. Gli ospiti d’onore vennero accompagnati ai loro posti da un maestro di cerimonie che reggeva una mazza d’argento, mentre una musica d’organo riempiva la stanza. Fu una splendida cerimonia la cui tradizione risaliva a cinque secoli prima.
Mi fu chiesto di sedermi in quella che sapevo essere la “Blackstone Chair”. Fin dal diciannovesimo secolo, gli studenti si erano seduti lì per l’esame orale finale. La sedia è di marmo nero lucido e lo schienale è in mogano, ornato da complesse incisioni. Durante gli esami, sul bordo superiore dello schienale veniva posta una clessidra e allo studente veniva chiesto di rispondere alle domande prima che la sabbia finisse di scorrere.
Realizzando che Adam Smith (1723-90), il padre dell’economia moderna, si era seduto su quella sedia per sostenere il suo esame finale, sentii una profonda commozione. Mi sono interessato alla figura di Smith perché nei suoi studi di economia si schierò dalla parte delle persone: gli operai nelle fabbriche e nei campi, i minatori e i pescatori, le pescivendole sedute nelle capanne sulla spiaggia in mezzo alle correnti d’aria a pulire aringhe giorno dopo giorno, le giovani madri che lavoravano così duramente per trasformare le loro umili case in regni di felicità per i loro bambini.
Smith rivendicava una società che fornisse a questi cittadini e cittadine, persone comuni e buoni lavoratori, una vita decorosa e la possibilità di migliorare la propria sorte. Ma per ottenere questo, dovevano essere liberi. La politica elitaria che difendeva i privilegi di una classe speciale era nemica della produttività. Smith fu quindi un appassionato difensore dell’uguaglianza di tutte le persone. Il poeta scozzese Robert Burns (1759-96), suo contemporaneo e amico, condivideva le stesse preoccupazioni.
Un giorno Burns stava passeggiando per strada con il figlio di una famiglia benestante. Incontrarono un agricoltore e Burns – che era figlio di un contadino e a sua volta agricoltore – lo salutò cordialmente. Il giovane in seguito canzonò Burns per aver mostrato rispetto per una persona di livello sociale così basso, ma Burns difese il proprio comportamento, affermando che non si era rivolto all’esteriorità della classe sociale ma all’uomo stesso, che a suo avviso valeva dieci volte più di loro. Questo era il comportamento del poeta che nella famosa poesia “Un essere umano è un essere umano per tutto questo” scrisse: Un essere umano onesto, benché povero, è il re della vita, per questo.
Le vetrate istoriate dell’atrio dell’Università di Glasgow commemorano grandi figure della storia e della cultura britannica, e il giovane Robert Burns si trova tra loro.
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Akemi Porteous iniziò a praticare il Buddismo del Daishonin nel Gruppo giovani donne a Kobe, in Giappone. Dopo aver sposato Richard Porteous, un marinaio britannico, nel 1974 si trasferì in Inghilterra. Richard Causton, allora direttore generale della SGI-UK, le chiese di assumersi la responsabilità di kosen-rufu in Scozia. Lei accettò immediatamente questa sfida, anche se a quel tempo il suo inglese non era fluente, e in Scozia c’erano davvero pochissimi membri. Dedicò dieci anni a questa attività, finché nel 1984 si arrivò a un momento critico di svolta. Infatti non un solo membro del Gruppo uomini della Scozia partecipò al corso estivo in Gran Bretagna. Per la signora Porteous fu un duro colpo: dunque gli sforzi compiuti fino a quel momento erano stati inutili? Allora prese una decisione: «Farò Daimoku. Inizierò dalla preghiera. L’unica cosa che posso fare è fare Daimoku con tutte le mie forze».
A partire dal 24 agosto 1984 diede inizio a una recitazione di Daimoku settimanale, invitando le persone a prendervi parte nell’orario a loro più congeniale in un arco di otto ore. Non era importante quanto a lungo i membri recitassero Daimoku; ciò che contava era la loro determinazione nel pregare.
Entro l’anno successivo, i membri del Gruppo uomini salirono a dieci, ma era difficile che si dedicassero regolarmente alla pratica. Quando qualche membro smetteva di partecipare a quelle recitazioni, la signora Porteous non riusciva a digerirlo. «Ma questo è l’impegno che mi sono assunta – affermava -. Porterò avanti queste recitazioni di Daimoku anche se dovessi rimanere da sola!».
«La preghiera è il coraggio di non arrendersi. È una lotta per abbattere la nostra debolezza e la sfiducia in noi stessi che ci porta ad abbassare la testa pensando “è impossibile per me realizzare”.
È l’azione con la quale imprimiamo nella profondità della nostra vita la convinzione che possiamo trasformare qualsiasi situazione, senza alcun dubbio.
La preghiera è il mezzo per distruggere la paura. È il modo per bandire la tristezza e accendere la speranza. È una rivoluzione che riscrive la sceneggiatura del nostro destino. Credete in voi stessi! Non umiliatevi mai! Svalutare voi stessi è contrario al Buddismo, perché offende la Buddità presente dentro ognuno di voi.
La preghiera è una sfida per mettere la vita in armonia con il ritmo dell’universo. La vostra vita che è stata abbracciata dall’universo, ora lo abbraccia a sua volta, rendendo l’intero universo vostro alleato, e indirizza la vostra vita nella direzione della felicità. La preghiera è la chiave che apre, porta dopo porta, la piena potenzialità insita in ogni individuo.
Le recitazioni di Daimoku si svolgevano a casa di Akemi e Richard Porteous, a Glasgow. C’era una coppia che viaggiava due ore solo per partecipare. Se talvolta li sfiorava il pensiero di non andare, in quel momento pareva loro di sentire la voce di Akemi: «Qualunque cosa accada, lo farò!». E ogni volta che partecipavano, trovavano Akemi accanto a loro.
Akemi e Richard spesso facevano lunghi viaggi di notte per andare a trovare e incoraggiare i compagni di fede sparsi nei quattro angoli della Scozia. Anno dopo anno, il numero di membri crebbe. Alcuni che avevano smesso per un periodo tornarono a praticare. Poi, il 10 giugno del 1994, ebbe luogo la cinquecentesima recitazione di Daimoku.
Io arrivai in Scozia esattamente tre giorni dopo. Il giorno successivo al mio arrivo scattammo una foto di gruppo nel Giardino botanico di Glasgow. Aveva smesso di piovere, e i volti dei membri in piedi uno accanto all’altro erano più luminosi del cielo azzurro.
Robert Burns morì in giovane età, ma credeva fermamente che un secolo dopo la sua morte sarebbe stato rispettato e apprezzato. Io condivido la sua convinzione: miei cari amici che vi dedicate alla pace, tra cento anni sarete tutti ricordati come grandi pionieri!
A un certo punto uno stormo di colombe apparve nel cielo, volando verso di noi. Quando furono vicino ai nostri membri, quei simboli viventi di pace sembrarono formare un grande otto, e poi si allontanarono verso l’orizzonte. Tutti si scambiarono l’un l’altro sguardi felici: fu una scena davvero emozionante, vissuta da persone che, grazie alla preghiera, avevano trionfato nella vita.
Nel mio cuore, ho rivolto a ognuno il mio più profondo rispetto, come se unissi le mani di fronte a loro inchinandomi in segno di apprezzamento e rispetto.
(10 ottobre 2004)