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Consapevoli del proprio valore - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:18

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Consapevoli del proprio valore

Questo articolo è volto a incoraggiare ognuno di noi – e in particolare le donne – a percepire il valore della propria vita, sviluppando profondo rispetto e fiducia in se stessi. Nichiren Daishonin afferma che recitare Nam- myoho-renge-kyo significa entrare nel “palazzo della propria vita”, che non è altro che lo stato vitale del Budda. È una lotta con noi stessi, con la nostra oscurità che ci impedisce di credere che questo palazzo maestoso esista dentro di noi, proprio nel nostro cuore

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La felicità non esiste al di fuori di noi.
Per questo il Daishonin scrive: «Quando invochi myoho e reciti renge, devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa» (RSND, 1, 3).
Nella società assistiamo all’acutizzarsi del problema della dipendenza affettiva, che sembra riguardare soprattutto le donne. La domanda che ci poniamo in queste pagine è cosa possiamo fare noi per non cadere vittime di questa tendenza. Come sviluppare una forza interiore e una saggezza tale da discernere chiaramente le cose per ciò che sono e non permettere mai più, a nessuno, di mancarci di rispetto.
Per costruire una solida fiducia in noi stesse è fondamentale mettere il Gohonzon al centro della nostra vita e fare della relazione con il maestro un pilastro nel nostro cuore.
In questo modo non saremo preda delle illusioni, né in balìa delle sofferenze. Sensei ci assicura che quando il potere del Daimoku riempirà il nostro essere diventeremo persone con una profonda dignità interiore. Egli crede profondamente nelle donne e afferma che il riconoscimento del proprio valore è la chiave per realizzare un radicale cambiamento della società.
Quindi, la lotta che ciascuna di noi conduce per affermare il proprio valore non riguarda solo noi stesse ma il cambiamento di tutti, uomini e donne. Scrive infatti il maestro Ikeda: «Nel Sutra del Loto la figlia del re drago, immersa in un’atmosfera di pregiudizi e discriminazioni contro le donne, riesce a rompere il sistema di valori che vigeva in quel momento mediante la sua Illuminazione. Attraverso la manifestazione della sua Buddità essa dimostra che tutto il genere umano può ottenere l’Illuminazione […]. Coloro che basano la propria vita sulla Legge mistica possono davvero vivere in totale libertà, con uno stato vitale sconfinato. Le vite di queste persone risplendono di luce infinita».

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Forti e indipendenti

Giulia Coppola, psicologa, risponde ad alcune domande sulla dipendenza affettiva

Che cos’è la dipendenza affettiva dal punto di vista clinico?
La dipendenza affettiva non è inserita tra i disturbi psicologici ufficialmente riconosciuti. Tuttavia gli studiosi sono da tempo concordi nel definirla come un problema psicologico che riguarda gli affetti e le relazioni, del tutto assimilabile alla dipendenza da alcool o stupefacenti. Statisticamente vengono coinvolte maggiormente le donne e si tratta di una difficoltà relazionale per cui, pur di ottenere affetto, stima e riconoscimento del proprio valore, si accettano compromessi di ogni genere, verso una dimensione che annulla la propria dignità: si è portati ad acconsentire alle richieste esterne, non riuscendo a mettere confini a quanto si è disposti a subire.
In altre parole, la strada per ottenere affetto è quella di annullarsi come persona, mettendosi al servizio del partner: l’unica via è piegarsi alla volontà dell’altro, accantonando desideri e volontà propri.

Come si manifesta?
La persona che vive una dipendenza affettiva sente la propria vita come insignificante senza la presenza del partner. Rinuncia a gran parte della sua vita pur di stare con l’oggetto del suo amore e crede che sia naturale rinunciare ai propri spazi e bisogni per lui/lei. Così si genera un meccanismo che si alimenta da solo: la persona sente che ha un bisogno assoluto e continuo dell’altro e, concentrandosi su questo bisogno, si allontana gradualmente sempre più da se stessa, dalle proprie potenzialità e risorse, dalle proprie capacità e progetti.
In questo modo si acutizza sempre più quella sensazione di essere “nulla” senza l’altro, e si rafforza il circolo vizioso che alimenta la dipendenza.

Come nasce la dipendenza affettiva? Esplorando la storia della persona con questo disagio probabilmente emergerà una difficoltà legata alle relazioni nella famiglia d’origine. I continui bisogni di cura e attenzione sono riconducibili alle richieste che fanno i bambini ai loro genitori.
I bisogni non soddisfatti che hanno sperimentato da piccoli li hanno portati a diventare “quasi adulti” in cerca di amore.
I genitori potrebbero aver avuto a loro volta dei “vuoti”, delle mancanze da parte delle rispettive famiglie di origine che poi hanno trasmesso ai figli, i quali provano a colmarli trovando oggetti – come nel caso dell’alcool, droga, gioco d’azzardo ecc. – o persone con cui compensare quei vuoti, illudendosi che ciò faccia da scudo alla sofferenza.

Perché le donne cadono così facilmente in meccanismi di dipendenza affettiva?
Il punto è che le donne spesso si sottovalutano e questo ha molto a che fare con la componente culturale, oltre a quella di genere e ambientale – e per questo incorrono nel rischio di sviluppare una dipendenza dagli affetti.
La difficoltà a immaginarsi sole, perché pensano di non esserne capaci o di non poter trovare un altro uomo, le porta a sviluppare un attaccamento al partner per cui: “anche se lui mi bastona, comunque mi ama”.
Trovano una sorta di giustificazione per ciò che subiscono come se da un lato sentissero di meritarselo e dall’altro sperassero che prima o poi lui cambierà. Il punto è sempre una svalutazione di se stesse, che è alla base della loro vita, che le porta a soffrire ancora di più. Solo aiutandole a rafforzarsi e a valorizzarsi potranno scegliere di lasciare il proprio partner violento e ritrovare se stesse.

Come sviluppare la capacità di prendersi cura di se stesse e proteggersi?
Il punto è ricostruire insieme la storia della persona affinché diventi consapevole della natura del suo disagio, e trovare metodi diversi per affrontare il suo dolore di figlio/a, in modo da non cercare più dei “sostituti” ma arrivare al punto fondamentale per poter andare avanti.
Come per le dipendenze da sostanze, gioco d’azzardo ecc., è fondamentale iniziare un percorso terapeutico per sperimentare un nuovo modo di prendersi cura di sé, che non sia più dipendente da qualcosa di esterno, ma faccia uscire da loro stesse la soluzione.
Ed è necessario far emergere la resilienza che ognuna possiede dentro di sé per riuscire a essere indipendenti e capaci. In questo modo si impara a costruire una solidità che nessun uomo o figura esterna potrà distruggere.

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«Abbiate il massimo rispetto di voi stessi»

di Daisaku Ikeda

Alcune persone, una volta iniziata una relazione, hanno difficoltà a dire “no” all’altra persona per paura di perderla. In questi casi è come trovarsi su un’auto da corsa senza freni: pur pentendosi di esservi saliti non è facile scenderne.
In molti casi le persone quando iniziano una relazione amorosa pensano di conservare la propria libertà e indipendenza ma, arrivate a un certo punto, si rendono conto di essere diventate prigioniere di quella relazione.
Ognuno di voi è infinitamente prezioso: spero che abbiate il massimo rispetto di voi stessi. Ripeto, non scegliete le scorciatoie: vi causeranno solo sofferenza. Sappiate scegliere sempre la strada migliore per il vostro benessere. La realtà è che l’amore ideale è possibile solo tra due persone indipendenti, mature e sincere.
Perciò è essenziale che decidiate per prima cosa di migliorare voi stessi.
È avvilente cercare sempre l’approvazione del proprio partner. Una tale relazione finisce con l’essere priva di affetto, risulta superficiale e non esprime un vero amore. Se nella vostra relazione sentite dal profondo del cuore di non essere considerati come dovreste, spero abbiate il coraggio e la dignità di interrompere un rapporto così infelice.
Il vero amore non si manifesta tra due persone che si soffocano a vicenda; può solo nascere tra due persone forti, sicure della propria individualità. Una persona superficiale avrà solo relazioni superficiali. Se volete provare il vero amore è importante prima di tutto sviluppare sinceramente una forte identità.
Il vero amore non è certo fare ciò che l’altra persona vuole, o cercare di essere ciò che non si è.
Se qualcuno vi ama profondamente, non vi spingerà mai ad agire contro la vostra volontà, né vi coinvolgerà in qualcosa di pericoloso per voi.
Inoltre, mi farebbe piacere vedere gli uomini più cortesi e più attenti verso le donne.
Gli uomini dovrebbero sempre ricordarsi di rispettare le donne, sostenendole nel migliore dei modi. Piuttosto che dipendere dalle donne come dei bambini, dovrebbero diventare forti, compassionevoli e adulti, in modo da prendersi a cuore la felicità delle loro compagne per tutta la vita. Questa è la qualità che gli uomini dovrebbero coltivare ed è anche l’espressione del vero amore (In cammino con i giovani, Esperia, pag. 33).

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Padrona del mio sentire

di Barbara Amoroso

La parola “dipendenza” poggia agli antipodi della parola Buddità. La dipendenza affettiva si camuffa tra i meandri del vivere sociale, in famiglia, con gli amici, e non è semplice percepirla come tale.
Negli ultimi mesi è una costante che io mi sieda davanti al Gohonzon con l’ansia battente per affrontare questo aspetto nelle molteplici relazioni che mischiano le carte delle emozioni in modo vorticoso. È disorientante.
E cosa può fare il demone del sesto cielo per allontanarci da kosen-rufu? Disorientarci.
Il mio maestro in ogni parola che dedica a donne e giovani donne tocca questo punto, con la delicatezza di un padre che non ti getta in faccia la tua debolezza, bensì ti prepara ad affrontarla. Josei Toda diceva alle giovani donne del Kayo-kai di scegliere l’uomo che sapevano avrebbero sostenuto a ogni costo, senza dubitare (cfr. RU, 7, 115).
Il presidente Ikeda mi sta allenando a essere indipendente, allora perché mi rende così irrequieta il fatto che “lui” non mi dia le conferme che desidero? Qualcosa non torna…
Per fortuna ci sono le compagne di fede e quando apri il tuo cuore condividendo le lotte personali, trovi la forza di illuminare ogni cosa col Daimoku e intravedere l’inganno: ho delegato le mie emozioni e il mio essere degna di amore a qualcun altro.
Quando ho riconosciuto questo meccanismo davanti al Gohonzon, credo di avere sgranato gli occhi. E allora quel “mi manchi come l’aria” perché nella mia testa sei l’unica persona in grado di farmi sentire in un certo modo, si rivela per ciò che è: un’illusione.
Ora che ho visto il gioco posso cambiarlo e mettere le cause per un amore di grande valore.
Voglio imparare a coltivare le emozioni in modo autonomo, voglio conoscermi e riconoscere la persona meravigliosa con cui costruire la mia vita, rompendo la dinamica di dipendenza che non mi permetterebbe mai di sentirmi appagata in nessuna relazione.
Il maestro Ikeda ci incoraggia così: «Pregate affinché possiate incontrare una persona meravigliosa e avere il matrimonio ideale per voi. Desidero che lucidiate la vostra vita attraverso la fede e che brilliate nel vostro unico modo» (Il Voto dell’Ikeda Kayo-kai, pag. 76).
Lo sforzo quotidiano è enorme, e solo un alto stato vitale, le parole del presidente Ikeda e le azioni costanti per kosen-rufu stanno nutrendo quel vuoto affettivo apparentemente incolmabile.
Nel mentre il “demone” tenta di nuovo di disorientarmi, inducendomi a dubitare di me stessa, del fatto che la mia vita è preziosa esattamente così com’è.
Il dubbio si insinua e dubito di ciò che percepisco, mi sminuisco e lascio che ciò che mi disturba diventi lentamente sofferenza.
E io divento colei che non è mai abbastanza per meritare attenzioni, cura, rispetto, amore.
La via d’uscita? Rimettermi al centro, fidarmi delle parole del mio maestro, recitare Daimoku e mantenere il voto di realizzare kosen-rufu. Perché kosen-rufu significa “felice io insieme agli altri”.
Se la mia felicità non è contemplata tra noi due, non è amore.
È una sfida quotidiana, ma ogni giorno divento più forte e cresce la fiducia che chi vorrà lottare insieme a me mi sta già cercando, e proprio perché sentirà il fluire della mia esistenza indipendente da chiunque e da qualunque cosa, vorrà scegliere di tuffarsi in questo flusso di vita insieme…

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Il principe azzurro non esiste

Irene Agnello, psicologa analista, si occupa di emergenze sociali, rifugiati, migranti e donne vittime di violenza

Si può affermare che le donne abbiano difficoltà a sentire il proprio valore?
È vero, le donne hanno difficoltà a percepire il proprio valore, io stessa ne ho avuta tanta, nonostante abbia realizzato tante cose positive, perché il tema del valore di se stessi è molto delicato in ogni essere umano. Per le donne in particolare questa difficoltà è legata a una cultura patriarcale per cui devi rispondere a un modello in cui la dipendenza dall’uomo e dalle “regole” culturali è centrale per la nostra identità.
Naturalmente la difficoltà a riconoscere il proprio valore dipende anche dal vissuto personale, dai legami affettivi che hai avuto con la madre e con il padre. Se vieni da una famiglia in cui i legami erano“squilibrati”, ti porti dietro questa difficoltà. La dipendenza affettiva è soprattutto conseguenza di questi legami primari. Io credo sia più un problema delle generazioni attuali, dal momento in cui le donne hanno iniziato ad avere un ruolo e un’autonomia professionale.
Un tempo, quando le donne stavano a casa tra di loro, ti sposavi magari qualcuno che altri avevano deciso per te e non ti aspettavi molto. Oggi investiamo molto di più sull’amore, scegli la persona di cui ti innamori, ti prendi la responsabilità della tua scelta e di quel legame che per te è una sorta di investimento, quindi in qualche modo sei più fragile, più esposta.
Se ti innamori di una persona non vuoi lasciarla andare perché hai investito tanto su di lui, o lei, e non ti rimane niente. Questa è la considerazione che viene fuori dopo la fine di una relazione: “Ho perso un sacco di tempo!”.
C’è la tendenza a concentrarsi sul possesso piuttosto che guardare alla relazione vissuta come una propria esperienza da cui imparare.
Sicuramente le donne negli ultimi sessant’anni hanno investito diversamente nel rapporto sentimentale.
Tutta la cultura letteraria e cinematografica di ascendenza romantica e la fantasia del principe azzurro hanno alimentato e messo in evidenza questi aspetti di dipendenza.

Come si riconosce una relazione distruttiva?
Un rapporto destinato a diventare distruttivo inizia quasi sempre con un amore “enorme” per cui ti viene detto: «Ma che bisogno hai di vedere le persone della tua famiglia, se hai me? Che bisogno hai di vedere la tua amica?».
È normale all’inizio di una relazione concentrarsi molto sull’altro, ma poi bisogna ristabilire un equilibrio, se invece questa richiesta di esclusività e di rinuncia ad altri interessi e legami da parte del partner continua, bisogna preoccuparsi. È ciò che nei centri antiviolenza chiamiamo “spirale della violenza”: poco a poco l’altro comincia a chiederti di rinunciare e inizia a svalutare ogni tua risorsa: la famiglia d’origine, un tuo interesse, una passione personale…
Se sei innamorato lì per lì è facile pensare “Va bene, per questa volta rinuncio”.
Ognuno di noi innamorandosi ha rinunciato a qualcosa, ad esempio a uscire con un’amica, ma quel che accade è che dopo un po’ il partner comincia a denigrare e offendere, e ti chiede di rinunciare a tutto “per lui”. Possiamo dire che quando si pretende un’eccessiva centralità del rapporto bisogna stare attente. Non bisogna rinunciare in nome dell’amore ad altri interessi, le passioni nella vita sono molteplici. Ogni rapporto troppo esclusivo è a rischio di violenza.

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Non ho paura

di Chiara Valeri

Adesso lo so: il messaggio subliminale che subivo senza saperlo è “io non ti amo”. Mai direttamente enunciato, perché enunciarlo avrebbe posto fine al gioco. Una dinamica che mi ha irretita per mesi, costellata di piccoli segnali di distanza, allusioni a mezza bocca e sottili parole denigratorie quando meno te lo aspetti, come per ferirti nell’intimità… Perché lo ha detto? Che c’entrava? Vado oltre ogni volta, perché mi sono assunta la responsabilità di questa relazione e penso che stia a me farla funzionare.
Ma questo pensiero è la trappola che mi impedisce di dar credito alle mie percezioni. Intanto ci sono gli aspetti che concorrono a costruire un’illusione di quotidiana normalità.
Gli amici, le cene, la famiglia, andiamo persino a vedere le case in vendita, insieme. Eppure qualcosa dentro di me si sta incrinando, sto scivolando in una condizione vitale che mi allarma. Sento che c’è qualcosa che non va.
Inizio a fare Daimoku più forte affidandomi totalmente al Gohonzon, nonostante l’attaccamento viscerale al mio progetto di vita con lui. «Voglio vedere fino in fondo, Gohonzon non ho paura! Adesso, non domani, qualunque cosa sia, voglio vedere la verità!». Recito Daimoku per aprire gli occhi, sento forte la responsabilità di proteggere la mia vita, la mia felicità.
Il desiderio è davvero potente, ma il Gohonzon lo è di più. Daimoku dopo Daimoku, finché insieme al coraggio del Budda esce fuori l’azione più semplice, la domanda più vera che in quel contesto suona quasi indecente: «Ma tu mi ami?». Semplice, schietta e risolutiva, che toglie spazio a qualsiasi ambiguità. Ho rotto il gioco. Ma ora il mio cuore è forte e l’evidenza è folgorante come un lampo: “Io merito questo?”.
È un attimo, un moto di ribellione e rispetto della mia vita che insorge da non so quale profondità. Il Gohonzon è più forte del karma e dell’illusione, e la decisione è presa.
Non è stato indolore. Ho attraversato con il Daimoku tutta la brutalità di quell’abbandono. Ho lottato per non cedere al senso di colpa che si riaffacciava, insieme al dubbio lancinante di aver sbagliato. Ma il giorno in cui ho preso quella decisione ricordo che il mio cuore scoppiava di gratitudine, con la percezione profonda e inequivocabile di essermi salvata. Quel giorno ho sentito tutto il potere, tutta la forza e la dignità della mia vita.

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Le parole del Gosho

Nichiren Daishonin incoraggia sempre a credere nel valore che esiste nella nostra vita.

Il conseguimento della Buddità in questa esistenza
«Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica ma un insegnamento inferiore. […] Perciò, quando invochi myoho e reciti renge devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa» (RSND, 1, 3).

Il reale aspetto del Gohonzon
«Non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te. Il Gohonzon esiste solo nella carne di noi persone comuni che abbracciamo il Sutra del Loto e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo. Il corpo è il palazzo della nona coscienza, l’immutabile realtà che regna su tutte le funzioni della vita» (RSND, 1, 738).

La torre preziosa
«Nell’Ultimo giorno della Legge, non esiste altra torre preziosa che gli uomini e le donne che abbracciano il Sutra del Loto. Perciò ne consegue che coloro che recitano Nam-myoho-renge-kyo, qualunque sia la loro condizione sociale, sono essi stessi la torre preziosa.[…] Perciò Abutsu-bo è la torre preziosa stessa, e la torre preziosa è Abutsu-bo stesso. Al di fuori di questa consapevolezza tutto il resto è inutile» (RSND, 1, 264).

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