Ho incontrato il Buddismo quando avevo ventiquattro anni e in questi quarant’anni ho utilizzato il Daimoku per ogni difficoltà e ostacolo che la vita mi ha messo davanti partecipando costantemente alle attività della Soka Gakkai con diverse responsabilità. Quando ho iniziato a praticare ero una ragazza tendenzialmente timida e depressa, con scarsa fiducia in me stessa. Partecipavo alle riunioni senza aprire bocca. Mi ero laureata da poco in Fisioterapia, in Calabria, e poi ero rientrata in Sardegna.
Avevo in mente un ideale di lavoro che non corrispondeva alla realtà sarda: volevo specializzarmi nel trattamento dei bambini basandomi sugli studi recenti nell’ambito delle neuroscienze e volevo lavorare in equipe con tutte le figure professionali, ma in Sardegna non c’erano strutture in cui potessi lavorare in questo modo. Perciò, nonostante avessi concluso i miei studi in modo eccellente, per un anno ero rimasta a casa dei miei genitori in preda alla sfiducia, senza cercare lavoro. Fu in quel momento che conobbi la pratica buddista e decisi di sfidare il mio pessimismo. Mi misi l’obiettivo di trovare lavoro e iniziai a recitare Daimoku costantemente. Entrai in una cooperativa formata da dieci colleghi, nel giro di poco tempo partì il primo appalto, proprio nel mio paese, e cominciai a lavorare. Negli anni la Cooperativa è cresciuta tantissimo, abbiamo aperto vari centri in diverse parti della Sardegna diventando una delle più grosse cooperative del Sud Italia, con circa trecento dipendenti. Con il tempo iniziarono a lavorare con noi varie figure professionali e si formò un’equipe completa, dove io potevo concentrarmi sulla riabilitazione dei bambini con disturbi del neurosviluppo, proprio come desideravo. Nel mio paese svolgevo un’intensa attività buddista e pian piano sono nati prima uno, poi due gruppi, e infine un settore i cui membri erano sparsi anche nei vari paesi vicini.
Nel frattempo ho iniziato ad affrontare la mia situazione sentimentale. Recitavo tanto Daimoku per trovare la persona giusta con cui creare una famiglia di valore e avere dei figli. Sono stati anni fondamentali in cui ho realizzato quel tipo di trasformazione interiore necessaria per portare avanti una relazione: cercare sostegno nel Gohonzon e non nell’altra persona, diventare una donna forte, approfondire la relazione maestro discepolo…Incontrai un uomo con cui si sviluppò un’amicizia che pian piano si trasformò in amore. Con lui ero me stessa, sentivo che avrei potuto creare una relazione di valore e avere dei figli, ma prima di sposarmi volevo realizzare un grande desiderio: partecipare a un corso in Giappone per rafforzare il legame con il mio maestro. Lo avevo già incontrato nel 1992, durante l’inaugurazione del Centro culturale di Firenze.
Mio padre era morto da pochi mesi e dopo lo spettacolo a cui avevo partecipato con altri membri sardi, a pochi metri dal maestro Ikeda, mi ero sentita avvolta dalla sua compassione paterna. Mi aveva colpito la sua semplicità, la mancanza totale di formalità.
In Giappone mi accorsi di essere incinta e vissi quel viaggio con grandissima gioia. Sensei e i membri giapponesi ci coprirono di attenzioni, in mille modi. Mi colpì in particolare lo spirito di gratitudine dei membri del Kansai, che nasceva dalla conoscenza diretta degli sforzi che Ikeda Sensei aveva profuso nella regione. Al rientro mi sposai, nacque Paolo e dopo due anni nacque Nicola. Nonostante l’impegno di far crescere i figli, ho continuato a investire tanto sul mio lavoro.
Ogni mattina recitavo Daimoku per trasmettere gioia intorno a me, per dare la prova concreta della validità del Buddismo attraverso il mio comportamento, ma volevo anche offrire ai miei pazienti affetti da gravi disabilità una riabilitazione all’avanguardia, che realmente li aiutasse a ottenere una qualità di vita migliore, e questo facendo un lavoro di “rete” con le famiglie, la scuola e l’ambiente sociale nel suo insieme. Ho investito tanto sulla formazione.
Nel 2004, pur essendo i bambini ancora piccoli, grazie al sostegno di mio marito ho potuto conseguire un master sulla riabilitazione dei bambini ipovedenti che ha comportato frequentare i corsi nel nord Italia, per un fine settimana al mese. Nel 2009 ho frequentato per un anno con la stessa modalità l’Università di Pisa, per adeguare il mio titolo di studio alle nuove normative.
Intanto nel Centro presso cui lavoravo a Cagliari si è creato un gruppo di colleghi appassionati e in competizione virtuosa. Il nostro Centro è diventato il più ambìto per il trattamento dei bambini, con colleghi di differenti specializzazioni e una sempre lunga lista d’attesa. Anche i miei figli hanno avuto molta fortuna, sicuramente accumulata grazie ai miei sforzi nell’attività buddista. Il primogenito, dall’età di diciassette anni ha vinto delle borse di studio che gli hanno permesso di conseguire prima il diploma superiore in un liceo internazionale e poi due lauree in una delle migliori Università statunitensi, e attualmente frequenta un dottorato di ricerca. Il secondogenito, dopo un’adolescenza travagliata, all’età di diciotto anni è diventato membro della Soka Gakkai. Si è iscritto a un corso di laurea a Torino dove è stato accolto e coccolato dalla grande famiglia Soka e ha iniziato a praticare sempre più regolarmente. Nel 2023 si è laureato e ha iniziato a lavorare subito in un’ottima azienda, e ora è responsabile di settore giovani uomini.
Nel 2023 sono andata in pensione a sessantaquattro anni, come avevo deciso.
Ho accanto un uomo che pur non praticando il Buddismo mi ha sempre sostenuta, è sempre stato un ottimo padre e una persona molto impegnata nella società. Io mi sento più giovane e gioiosa di quando avevo vent’anni, sicuramente molto più forte e decisa.
Ora desidero coltivare gli interessi che ho trascurato mentre lavoravo: parlare meglio l’inglese, approfondire la storia e la cultura sarda e impegnarmi in progetti che riguardano la sostenibilità ambientale.
Continuo a praticare e a portare avanti l’attività buddista con gioia e gratitudine, e desidero fortemente che il settore di cui sono responsabile diventi pieno di giovani!
Anche se il mio maestro non è più in vita, sento ancora più forte il legame con lui e la responsabilità di portare avanti questa pratica che, come scrive Sensei
«può curare la profonda malattia dell’epoca attuale causata da un’assenza di umanità, dalla mancanza dell’impegno di porre al primo posto il benessere e la dignità delle persone» (Il mondo del Gosho, 503)
